sabato 28 settembre 2013

Comunicato Stampa | LEGA NORD CREMA - RIFIUTI: La posizione della Sezione Cittadina della Lega. Un contributo al dibattito.

CREMA, 28 settembre 2013 – Nell'approssimarsi dell’inizio, in seno all'Amministrazione Provinciale di Cremona, dell’iter per la definizione del nuovo “piano provinciale dei rifiuti” ed alla luce del dibattito pubblico emerso durante gli ultimi mesi e sfociato in un incontro pubblico sul tema ospitato presso la Sala degli Ostaggi del Palazzo Comunale di Crema, la Sezione Cittadina della Lega Nord ritiene di esprimere, anche quale contributo di idee, la propria posizione politico/amministrativa sulla delicata tematica della gestione dei rifiuti.

La gestione dei rifiuti costituisce un’attività di evidente interesse pubblico e deve perciò essere regolata in modo da assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e delle risorse naturali. La riduzione della quantità di rifiuti prodotti attraverso azioni di prevenzione e la promozione della raccolta differenziata e del riciclo rappresentano per il Movimento obiettivi prioritari in questo settore.

In relazione al principio “chi più ricicla meno paga”, la priorità deve essere quella di ridurre, per quanto possibile, il quantitativo di rifiuti in discarica attraverso la preliminare attuazione della suddivisione degli stessi all’atto della raccolta.
I Comuni giocano una partita importante nella disciplina del settore, potendo intervenire con appositi regolamenti i quali devono assicurare misure adeguate per la tutela igienico-sanitaria in tutte le fasi della gestione.

Non tutti i territori hanno affrontato l’aspetto gestionale dei rifiuti in maniera efficace ed adeguata, risultando notevolmente in ritardo rispetto alle mete prefissate. Da qui la battaglia portata avanti dalla Lega Nord per l’introduzione di specifiche disposizioni che prevedono sia sanzioni per quegli Enti locali che si dimostrino inadempienti,
per contro, devono essere sostenute misure premiali per quei Comuni che si comportano in modo virtuoso e corretto.

Gli Enti locali devono essere responsabilmente coinvolti nelle attività e nei processi di gestione dei rifiuti e contro l’abbandono indiscriminato degli stessi.
La raccolta differenziata e l’utilizzo di impianti in grado di “valorizzare” il rifiuto attraverso il recupero energetico, adottando le migliori tecnologie a garanzia dell’ambiente, rappresentano la strada da perseguire nel rispetto delle nostre comunità locali che devono poter essere indennizzate in caso di presenza di impianti particolarmente impattanti sul proprio territorio.

Ogni Regione deve essere in grado di rispondere a due importanti principi presenti anche nella legislazione comunitaria: il principio di prossimità”, concernente il trattamento dei rifiuti il più vicino possibile al luogo di origine e quello di “autosufficienza”, secondo il quale si deve raggiungere la massima autonomia riguardo allo smaltimento dei rifiuti prodotti sul proprio territorio, piuttosto che contare sull’esportazione degli stessi.
Dal punto di vista gestionale devono essere tutelate le eccellenze del NORD, rappresentate da società pubbliche virtuose, consentendo la possibilità degli affidamenti in house.

I nostri Sindaci e amministratori locali del NORD hanno il dovere di tutelare la propria comunità e vigilare affinché vi sia correttezza nelle procedure di gestione dei rifiuti, non si compiano attività illegali e, in virtù di tutto ciò, venga combattuto ogni eventuale indiscriminato e ingiustificato ingresso sul territorio di competenza di rifiuti di provenienza extraregionale.


In tema di tracciabilità dei rifiuti, l’introduzione di un nuovo meccanismo di controllo quale è il Sistri, non deve però determinare problemi in capo ai soggetti obbligati ad aderire al sistema; si deve evitare di penalizzare le categorie più deboli come gli artigiani, gli agricoltori e le piccole e medie imprese del NORD, sottoponendole ad adempimenti burocratici e costi insostenibili. 

LEGA NORD | Sezione di Crema

mercoledì 18 settembre 2013

Comunicato Stampa | LEGA NORD - MOSCHEA: Interrogazione sulle mancate risposte alla petizione.


CREMA, 18 settembre 2013Facendo seguito a quanto dichiarato nel corso della conferenza stampa organizzata lunedì 9 settembre per sottolineare le mancanze e obiezioni alla lettera con la quale in Sindaco Bonaldi aveva risposto alla petizione popolare contro l’insediamento di un centro culturale arabo in città, per mano del consigliere Torazzi, è stata depositata in consiglio comunale una interrogazione che chiede al Sindaco di specificare ulteriormente la sua risposta soprattutto in riferimento alla seconda richiesta formulata nella petizione, riguardante la possibilità di attuare quanto disposto dall'articolo 36 comma “f” dello Statuto Comunale, vale a dire la “realizzazione di ricerche e sondaggi presso i cittadini” sul tema oggetto della presente petizione.

Una possibilità, quella prevista dalla “magna charta” cremasca e richiamata nella petizione, che pur non essendo mai stata utilizzata fino ad oggi potrebbe sopperire, seppur parzialmente, all’impossibilità stante le norme nazionali di indire referendum tra la popolazione.

Difatti il principio da seguire in Italia, come già avviene in alcuni Paesi europei, dovrebbe essere quello di consultare la popolazione locale prima di dare il via libera a progetti di costruzione di moschee, musalle, minareti o strutture adibite ad ospitare i seguaci di Maometto.

Ad alzare gli scudi contro la realizzazione di luoghi di culto islamici, non solo a Crema, è come sempre solo la Lega Nord. Dopo la maxi-moschea di Ravenna - seconda in Italia per dimensioni - il Carroccio intende ora scongiurare la realizzazione di analoghi insediamenti, in particolare a Parma, dove il sindaco grillino Federico Pizzarotti ha già dato disponibilità a cedere gratuitamente un terreno all’associazione islamica locale.

Per introdurre la consultazione obbligatoria il deputato leghista Nicola Molteni - capogruppo in commissione Giustizia e già molto attivo nella battaglia contro la chiusura dei tribunali - rilancia la proposta di legge Cota-Gibelli, che prevede anche un registro per gli imam, bilanci trasparenti, niente fondi dall’estero, niente scuole islamiche, distanze minime di un chilometro da chiese e sinagoghe, culto solo in italiano. Un principio quest’ultimo richiamato pochi giorni orsono da Don Emilio Lingiardi sulla stampa locale.

LEGA NORD | Sezione di Crema

giovedì 12 settembre 2013

BENEDETTO XVI | discorso di Ratisbona

Sono passati sette anni da quando Papa Benedetto XVI pronunciava questo discorso a Ratisbona, rileggerlo con sempre maggiore attenzione è un esercizio che consiglio vivamente.

Buona lettura,
Matteo

INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DELLA SCIENZA
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Aula Magna dell’Università di Ratisbona
Martedì, 12 settembre 2006
Fede, ragione e università.
Ricordi e riflessioni.
  
Eminenze, Magnificenze, Eccellenze,
Illustri Signori, gentili Signore!


È per me un momento emozionante trovarmi ancora una volta nell'università e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri, contemporaneamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo presso l'Istituto superiore di Freising, iniziai la mia attività di insegnante accademico all'università di Bonn. Era – nel 1959 – ancora il tempo della vecchia università dei professori ordinari. Per le singole cattedre non esistevano né assistenti né dattilografi, ma in compenso c'era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c'era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell'intera università, rendendo così possibile un’esperienza di universitas – una cosa a cui anche Lei, Magnifico Rettore, ha accennato poco fa – l’esperienza, cioè del fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell'unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava esperienza viva. L'università, senza dubbio, era fiera anche delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che anch'esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del "tutto" dell'universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fede, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c'era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva – di Dio. Che anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell'insieme dell'università, era una convinzione indiscussa.

Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue.[1] Fu poi presumibilmente l'imperatore stesso ad annotare, durante l'assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si spiega così perché i suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non quelli del suo interlocutore persiano.[2] Il dialogo si estende su tutto l'ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel Corano e si sofferma soprattutto sull'immagine di Dio e dell'uomo, ma necessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le – come si diceva – tre "Leggi" o tre "ordini di vita": Antico Testamento – Nuovo Testamento – Corano.  Di ciò non intendo parlare ora in questa lezione; vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura dell’intero dialogo – che, nel contesto del tema "fede e ragione", mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.

Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihād, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È probabilmente una delle sure del periodo iniziale, dice una parte degli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava".[3] L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…"[4]

L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio.[5] L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza.[6] In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.[7]
A questo puntosi apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il λόγος". È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce „σὺν λόγω”, con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell'Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: "Passa in Macedonia e aiutaci!" (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una "condensazione" della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco.
In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall'insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo "Io sono", il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso.[8] Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all'interno dell'Antico Testamento, una nuova maturità durante l'esilio, dove il Dio d'Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: "Io sono". Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell'uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l'adeguamento allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l'epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sapienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la "Settanta" –, è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo.[9] Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio.

Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all'affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz'altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all'immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui – come dice il Concilio Lateranense IV nel 1215 –certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l'analogia e il suo linguaggio. Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l'amore, come dice Paolo, "sorpassa" la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l'amore del Dio-Logos, per cui il culto cristiano è, come dice ancora Paolo „λογικη λατρεία“ – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1).[10]

Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell'Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Possiamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l'Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa.
Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente  purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall'inizio dell'età moderna domina in modo crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare tre onde nel programma della deellenizzazione: pur collegate tra di loro, esse tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente distinte l'una dall'altra.[11]

La deellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati della Riforma del XVI secolo. Considerando la tradizione delle scuole teologiche, i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede condizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione della fede dall'esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da essa. Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico. Il sola Scriptura invece cerca la pura forma primordiale della fede, come essa è presente originariamente nella Parola biblica. La metafisica appare come un presupposto derivante da altra fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare ad essere totalmente se stessa. Con la sua affermazione di aver dovuto accantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l'accesso al tutto della realtà.

La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel programma della deellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf von Harnack. Durante il tempo dei miei studi, come nei primi anni della mia attività accademica, questo programma era fortemente operante anche nella teologia cattolica. Come punto di partenza era utilizzata la distinzione di Pascal tra il Dio dei filosofi ed il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella mia prolusione a Bonn, nel 1959, ho cercato di affrontare questo argomento[12] e non intendo riprendere qui tutto il discorso. Vorrei però tentare di mettere in luce almeno brevemente la novità che caratterizzava questa seconda onda di deellenizzazione rispetto alla prima. Come pensiero centrale appare, in Harnack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle ellenizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero culmine dello sviluppo religioso dell'umanità. Gesù avrebbe dato un addio al culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come padre di un messaggio morale umanitario. Lo scopo di Harnack è in fondo di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio. In questo senso, l'esegesi storico-critica del Nuovo Testamento, nella sua visione, sistema nuovamente la teologia nel cosmo dell'università: teologia, per Harnack, è qualcosa di essenzialmente storico e quindi di strettamente scientifico. Ciò che essa indaga su Gesù mediante la critica è, per così dire, espressione della ragione pratica e di conseguenza anche sostenibile nell'insieme dell'università. Nel sottofondo c'è l'autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle "critiche" di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali. Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l'elemento platonico nel concetto moderno della natura. Dall'altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l'esperimento fornisce la certezza decisiva. Il peso tra i due poli può, a seconda delle circostanze, stare più dall'una o più dall'altra parte. Un pensatore così strettamente positivista come J. Monod si è dichiarato convinto platonico.

Questo comporta due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra questione. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione.

Tornerò ancora su questo argomento. Per il momento basta tener presente che, in un tentativo alla luce di questa prospettiva di conservare alla teologia il carattere di disciplina "scientifica", del cristianesimo resterebbe solo un misero frammento. Ma dobbiamo dire di più: se la scienza nel suo insieme è soltanto questo, allora è l'uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del "da dove" e del "verso dove", gli interrogativi della religione e dell'ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla "scienza" intesa in questo modo e devono essere spostati nell'ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la "coscienza" soggettiva diventa in definitiva l'unica istanza etica. In questo modo, però, l'ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell'ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l'umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell'ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un'etica partendo dalle regole dell'evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente.

 Prima di giungere alle conclusioni alle quali mira tutto questo ragionamento, devo accennare ancora brevemente alla terza onda della deellenizzazione che si diffonde attualmente. In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, e stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.

Con ciò giungo alla conclusione. Questo tentativo, fatto solo a grandi linee, di critica della ragione moderna dal suo interno, non include assolutamente l’opinione che ora si debba ritornare indietro, a prima dell’illuminismo, rigettando le convinzioni dell’età moderna. Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all’uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati. L’ethos della scientificità, del resto, è – Lei l’ha accennato, Magnifico Rettore – volontà di obbedienza alla verità e quindi espressione di un atteggiamento che fa parte delle decisioni essenziali dello spirito cristiano. Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza. In questo senso la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell'università e nel vasto dialogo delle scienze.

Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l'opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture. E tuttavia, la moderna ragione propria delle scienze naturali, con l'intrinseco suo elemento platonico, porta in sé, come ho cercato di dimostrare, un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l'ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi ad essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere. Qui mi viene in mente una parola di Socrate a Fedone. Nei colloqui precedenti si erano toccate molte opinioni filosofiche sbagliate, e allora Socrate dice: "Sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell'irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull'essere e lo denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell'essere e subirebbe un grande danno".[13] L'occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. "Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio", ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all'interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell'università.
  


[1] Dei complessivamente 26 colloqui (διάλεξις– Khoury traduce: controversia) del dialogo („Entretien“), Th. Khoury ha pubblicato la 7ma „controversia“ con delle note e un'ampia introduzione sull'origine del testo, sulla tradizione manoscritta e sulla struttura del dialogo, insieme con brevi riassunti delle „controversie“ non edite; al testo greco è unita una traduzione francese: Manuel II Paléologue, Entretiens avec un Musulman. 7e Controverse. Sources chrétiennes n. 115, Parigi 1966. Nel frattempo, Karl Förstel ha pubblicato nel Corpus Islamico-Christianum (Series Graeca. Redazione A. Th. Khoury – R. Glei) un'edizione commentata greco-tedesca del testo: Manuel II. Palaiologus, Dialoge mit einem Muslim, 3 volumi, Würzburg – Altenberge 1993 – 1996. Già nel 1966, E. Trapp aveva pubblicato il testo greco con una introduzione come vol. II dei „Wiener byzantinische Studien“. Citerò in seguito secondo Khoury.
[2] Sull'origine e sulla redazione del dialogo cfr Khoury pp. 22-29; ampi commenti a questo riguardo anche nelle edizioni di Förstel e Trapp. 
[3] Controversia VII 2c: Khoury, pp. 142-143; Förstel, vol. I, VII. Dialog 1.5, pp. 240-241. Questa citazione, nel mondo musulmano, è stata presa purtroppo come espressione  della mia posizione personale, suscitando così una comprensibile indignazione. Spero che il lettore del mio testo possa capire immediatamente che questa frase non esprime la mia valutazione personale di fronte al Corano, verso il quale ho il rispetto che è dovuto al libro sacro di una grande religione. Citando il testo dell'imperatore Manuele II intendevo unicamente evidenziare il rapporto essenziale tra fede e ragione. In questo punto sono d'accordo con Manuele II, senza però far mia la sua polemica. 
[4] Controversia VII 3b – c: Khoury, pp. 144-145; Förstel Bd. I, VII. Dialog 1.6  pp. 240-243.
[5] Solamente per questa affermazione ho citato il dialogo tra Manuele e il suo interlocutore persiano. È in quest'affermazione che emerge il tema delle mie successive riflessioni.  
[6]Cfr Khoury, op. cit.,  p. 144, nota 1.
[7]R. Arnaldez, Grammaire et théologie chez Ibn Hazm de Cordoue. Parigi 1956 p. 13; cfr Khoury p. 144. Il fatto che nella teologia del tardo Medioevo esistano posizioni paragonabili apparirà nell'ulteriore sviluppo del mio discorso.
[8] Per l'interpretazione ampiamente discussa dell'episodio del roveto ardente vorrei rimandare al mio libro "Einführung in das Christentum" (Monaco 1968), pp. 84-102. Penso che le mie affermazioni in quel libro, nonostante l'ulteriore sviluppo della discussione, restino tuttora valide.
[9]Cfr. A. Schenker, L’Écriture sainte subsiste en plusieurs formes canoniques simultanées, in: L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa. Atti del Simposio promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Città del Vaticano 2001, p. 178-186.
[10] Su questo argomento mi sono espresso più dettagliatamente nel mio libro "Der Geist der Liturgie. Eine Einführung", Friburgo 2000, pp. 38-42.
[11] Della vasta letteratura sul tema della deellenizzazione vorrei menzionare innanzitutto: A Grillmeier, Hellenisierung – Judaisierung des Christentums als Deuteprinzipien der Geschichte des kirchlichen Dogmas, in: Id., Mit ihm und in ihm. Christologische Forschungen und Perspektiven. Freiburg 1975 pp. 423-488.
[12] Nuovamente pubblicata e commentata da Heino Sonnemanns: Joseph Ratzinger – Benedikt XVI., Der Gott des Glaubens und der Gott der Philosophen. Ein Beitrag zum Problem der theologia naturalis. Johannes-Verlag Leutesdorf, 2. ergänzte Auflage 2005.
[13] 90 c-d. Per questo testo cfr anche R. Guardini, Der Tod des Sokrates. Mainz-Paderborn 19875, pp. 218-221.

martedì 10 settembre 2013

MOSCHEA & MUSALLA | la replica alla lettera che risponde alla petizione...

Di seguito il comunicato contenente le osservazioni che ho fatto ieri mattina in conferenza stampa rispetto alla lettera di risposta del Sindaco Bonaldi alle richieste contenute nella petizione contro l'insediamento di un centro islamico in città, depositata a fine maggio.


COMUNICATO STAMPA



“MOSCHEA: Dal Sindaco una risposta burocratica e parziale alle richieste contenute nella petizione”.

CREMA, 9 settembre 2013 – Stamane si è svolta, presso la sede della Lega Nord a Crema, una conferenza stampa nel corso della quale gli esponenti locali del carroccio hanno replicato alla lettera (riportata in fondo al post) con la quale il Sindaco Stefania Bonaldi ha risposto alle richieste formulate nella petizione popolare contro l’ipotesi di insediamento di un centro culturale arabo in città.

In apertura il presentatore della petizione, Matteo Soccini, ha espresso un ringraziamento per la risposta, seppur parziale, arrivata in ritardo di un mese, dopo un sollecito a mezzo stampa avvenuto a fine luglio.
Successivamente ha illustrato in maniera puntuale una serie di considerazioni e obiezioni alla risposta del sindaco che si riportano:

  • Il Sindaco non ha risposto sulla richiesta di attuare l'art 36 dello statuto che prevede ricerche e sondaggi tra a popolazione su determinati temi. La sinistra che sempre parla di coinvolgimento dei cittadini e democrazia diretta non vuole attuare quanto previsto dalla “magna charta” della comunità cremasca? Perché?

  • La risposta inviata è fin troppo “burocratica” e nel contempo elude la questione reale dell'impatto sociale in città di una struttura del genere.

  • Parla di moschea, negando che si tratterà di una struttura del genere ma la petizione parla di "qualsiasi forma di luogo di culto" afferente l’Islam.

  • Minimizza parlando di “musalla” al posto di moschea ma le ricordiamo che nel suo intervento al convegno organizzato dalla Lega a fine maggio Magdi Allam aveva ben spiegato come siano la stessa cosa (cambia solo la “capienza”). Questo battere il chiodo sul negare la natura di moschea significa che se le chiedessero di costruirne una vera e propria allora direbbe no?

  • Finalmente, per la prima volta, ammette come esista un problema di conoscenza e possibile pericolosità di coloro che gestiscono questi luoghi, citando esplicitamente come soggetto radicale, nella sua accezione negativa, l’UCOII (Unione delle Comunità Islamiche in Italia)

  • Prendiamo atto della volontà di rilanciare la proposta di una convenzione (idea nata dal Pdl) che riteniamo non sia via percorribile in assenza di un concordato tra lo stato italiano e l’islam (vuole sostituirsi a Roma?)

  • Se anche dovesse arrivare a sottoscrivere tale convenzione come pensa di farla rispettare se non ritiene di avere i poteri di contrastare gli accattoni che picchiano i nostri vecchi in pieno centro?

  • In ultimo nella risposta di esprime la volontà di promuovere una immagine positiva dell'islam. Un punto sul quale ricordiamo che il comune è una istituzione laica e tra i suoi compiti amministrativi non figura quello di "promoter religioso".

In chiusura ha preso la parola il Segretario Cittadino Dino Losa che ha parlato delle prossime mosse della Lega sul tema.

“Innanzitutto presenteremo a breve un’interrogazione, come previsto dall’articolo 35 dello statuto, perché delle richieste presenti nella petizione se ne parli direttamente in consiglio comunale, soprattutto per avere una risposta alla richiesta di ascoltare dimettente i cittadini.
Inoltre manterremo alta l’attenzione sulla questione affinché i cremaschi siano sempre informati sulle azioni compiute dall’amministrazione comunale.”

ecco la risposta inviata dal Sindaco (cliccando sull'immagine dovrebbe divenire leggibile...)



giovedì 5 settembre 2013

The Italian Celts C.S.C. | Happy Birthday!

Oggi ricorre il 6° compleanno del Celtic Supporters Club "The Italian Celts", dalla pagina Facebook ufficiale ecco il post che ricorda l'anniversario:
Sei anni fa appena, il 5 settembre 2007, nasceva il "The Italian Celts CSC". Nessuno di noi, nelle loro migliori ipotesi, avrebbe mai pensato di raggiungere un così tale successo. Un successo dovuto in gran parte al Forum che ha permesso di allargare la nostra presenza in rete e farci conoscere da tante altre persone, poi il Blog e adesso Facebook e Twitter. L'augurio più grande è sempre lo stesso: crescere ancora di più, per diffondere e far conoscere a più persone possibili il Celtic e la sua cultura. Un ringraziamento a tutti voi che con la vostra passione ci aiutate in questa impresa. Buon compleanno The Italian Celts CSC !
Per maggiori info ecco il sito ufficiale: http://memocelts.wordpress.com/ 

mercoledì 4 settembre 2013

Comunicato Stampa | LEGA NORD CREMA “TRIBUNALE: Solo la Lega ha lottato contro la chiusura”.

CREMA, 4 settembre 2013 – In questi giorni assistiamo, da parte soprattutto di esponenti di PD e PDL, ad una tardiva mobilitazione fatta di letterine come il Sindaco di Crema e promesse di marce e calate in quel di Roma come hanno proposto alcuni primi cittadini del PDL.
Iniziative che appaiono oggi, a pochi giorni dalla chiusura, come colpevolmente tardive e temiamo fortemente inefficaci ad ottenere un risultato per il quale solo la Lega Nord in questi mesi ha lottato seriamente sul territorio e soprattutto nelle aule parlamentari.

Sul territorio con l’organizzazione a maggio di un incontro pubblico, aperto a tutti gli amministratori, partiti ed associazioni di categoria, presieduto dall’On. Nicola Molteni che aveva chiaramente delineato come l’unica possibile via per bloccare la chiusura del tribunale fosse una forte iniziativa parlamentare con l’approvazione di una norma che sospendesse gli effetti della legge sul riordino.

Proposito che tutti gli esponenti di PD e PDL intervenuti hanno sottoscritto ma che i loro parlamentari a Roma hanno prontamente disatteso, tanto è vero che la proposta di legge della Lega non è stata approvata.

Nonostante questo, i parlamentari della Lega non si sono scoraggiati ed hanno perseverato nel presentare mozioni, ordini del giorno ed emendamenti, nelle commissioni e nelle aule, grazie soprattutto al lavoro delle Senatrici Erika Rivolta e Silvana Comaroli nonché al già citato On. Molteni.
Documenti che approvati al senato venivano poi bocciati alla camera, il tutto a dimostrare la doppiezza di azione dei partiti che sostengono il governo Letta.

Ad oggi la speranza di fermare l’iter della chiusura è ancora viva nella Lega, non certo per qualche azione demagogica portata avanti dalla politica locale in questi giorni, ma per l’azione che i governatori di Piemonte, Lombardia e Veneto stanno cercando di fare nei confronti del ministro Cancellieri per quantomeno sospendere le procedure di chiusura dei presidi giudiziari.

In ultimo la Lega vuole esprimere la propria solidarietà e sostegno ai lavoratori del tribunale per la loro iniziativa di sensibilizzazione portata avanti lunedì scorso.

Un momento al quale il movimento non ha preso parte, non certo per mancanza di adesione al tema proposto dal lavoratori, ma per segnare una forte differenza tra la Lega e quei partiti, PD e PDL, che sono i veri responsabili di quanto ci auguriamo ancora una volta non possa accadere.

LEGA NORD | Sezione di Crema

martedì 3 settembre 2013

Comunicato Stampa | LEGA NORD CREMA - “SICUREZZA: la Città chiede interventi, il Sindaco risponda!”.

CREMA, 3 settembre 2013 – Per l’ennesima volta ci vediamo nostro malgrado costretti a richiamare il Sindaco Bonaldi, ed oggi anche il maggior partito che la sostiene, a porre fine ad un atteggiamento di incomprensibile sottovalutazione delle problematiche relative alla sicurezza che denunciamo da tempo.

Nelle ultime settimane episodi come l’aggressione ad un anziano da parte di un extracomunitario dedito all’accattonaggio ed altri fatti di inciviltà e vandalismo avrebbero dovuto generare una forte presa di posizione da parte dell’amministrazione purtroppo mai avvenuta.

“Alla lettura del comunicato stampa del Sindaco Stefania Bonaldi ho creduto di essere stato vittima di uno scherzo, - afferma il Segretario Cittadino Dino Losa - ma dopo aver constatato l'assenza di smentite di qualsiasi tipo mi è sembrato di assistere ad un film di fantascienza, dove basta piazzare un piccolo bar in un parco pubblico per allontanare balordi e spacciatori, e dove pattuglie di immigrati, il più delle volte irregolari, mendicano e molestano chiunque abbia la necessità di recarsi presso il nostro ospedale senza che questo venga considerato un reato. Probabilmente in questo film è lecito che questi soggetti vengano altresì sfruttati dalla criminalità organizzata, dopotutto per il nostro Sindaco alimentiamo solo paure”.

Ogni giorno le denunce di situazioni di degrado ed insicurezza aumentano, prima i residenti di Porta Ombriano, poi i commercianti di Piazza Garibaldi, ieri tutte le associazioni del commercio e dei servizi quali ASVICOM, ASCOM e Confesercenti.
Anche loro “alimentano solo paure” ? ? ? come è spesso accusata la Lega  ? ? ?

In un panorama come questo appaiono surreali le dichiarazioni del capogruppo del PD in consiglio comunale secondo il quale “sulla sicurezza l’opposizione è latitante”, forse il consigliere è poco attento a quanto avviene nell’aula consiliare dove mozioni, interrogazioni e richieste di commissioni sulla sicurezza sono presentate più volte da parte dell’opposizione leghista.

Ma forse non tutto è perduto e un ravvedimento da parte dell’amministrazione comunale è alle porte. L’aver contattato da parte del sindaco le associazioni di ex carabinieri e polizia per “iniziative civiche” di pattugliamento della città, oltre ad ammettere implicitamente l’esistenza di un problema negato per troppo tempo, è un fatto positivo.
Peccato che quando era la Lega a proporre iniziative analoghe dalla sinistra piovevano solo strali e accuse varie, ma forse la colpa era nostra, le chiamavamo col loro nome “RONDE” e non con artifici letterali tanto cari ai politicamente corretti che abitano le rive del Serio.

LEGA NORD | Sezione di Crema

lunedì 2 settembre 2013

FINANCIAL TIMES | “La politica di frontiere aperte dell’Italia è assolutamente sbagliata”

Il quotidiano britannico Financial TimesAUTOREVOLISSIMO ORGANO DELLA STAMPA LIBERA E INDIPENDENTE, SEMPRE CITATO E ADORATO DALLA SINISTRA ITALIANA QUANDO IN PASSATO HA PUBBLICATO ARTICOLI DI CRITICA AL CENTRO DESTRA, boccia la politica italiana sull'immigrazione sostenuta dalla sinistra stessa: “Come si può pensare che la continua importazione di immigrati in Italia non aggravi ulteriormente la delicata situazione finanziaria del paese?”

Dal Financial Times:

La popolazione straniera in Italia è triplicata dal censimento del 2001, da 1,3 milioni a 4 milioni. Ciò significa che l’Italia sta importando un milione di stranieri ogni tre o quattro anni. Se questo è un problema per l’Italia, sta agli italiani dirlo (in realtà a noi non è mai stato chiesto, come al resto dei popoli europei, un parere in merito ndr.). Ma sicuramente l’importazione di immigrati non è una soluzione al crescente debito pro capite d’Italia. Gli immigrati sono meno istruiti degli italiani che vanno a sostituire, così aggiungono meno valore alla produzione di ricchezza. Esportano buona parte dei loro risparmi attraverso rimesse, soldi sottratti al consumo interno. E nuove spese sono sostenute per prepararli al lavoro, come ad esempio corsi di lingua italiana o di consulenza legale.
Molti commentano l’immigrazione verso l’Europa senza guardare chi gli immigrati sono, da dove provengono e la composizione futura che potranno avere le società europee con la loro presenza. In un’epoca di problemi di debito pubblico come questa, è un’indifferenza non ragionevole. Una futura “nuova generazione” di italiani multietnici non vorrà sostenere la “vecchia generazione” con la quale non ha nulla in comune. Né sostenere il debito pubblico contratto prima che loro (o i loro genitori) arrivassero nel paese.
Un altro problema è che l’Italia è la terra di Dante, La Divina Commedia e la Cappella Sistina. Può essere possibile convincere un americano o un australiano a credere (o dire) che l’arrivo di migranti è un “arricchimento” culturale. E’ improbabile che possa accadere per l’Italia. Ed è altrettanto improbabile che lo sia fiscalmente, una ricchezza.
Fonte: www.mattinonline.ch