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martedì 10 agosto 2021

MEMORIA | 20 ANNI SENZA GIANFRANCO


Post di introduzione alla giornata dedicata al Professore da Terre di Lombardia
Era il 10 di agosto del 2001, era un venerdì d'estate, uno di quei giorni nei quali il pensiero correva al fine settimana incombente ed al ferragosto cui mancavano pochi giorni. Era un giorno dal quale sono trascorsi ormai vent'anni.

Venti anni senza Gianfranco Miglio.
Venti lunghi anni nei quali le sue parole, i suoi scritti, il suo pensiero non hanno mai lasciato le menti ed i cuori di chi lo ha conosciuto, chi l'ha ascoltato, chi l'ha letto.
Venti anni dopo Terre di Lombardia lo ricorderà per tutta la giornata proponendovi articoli vecchi e nuovi, citazioni, e ricordi.

Il nostro modo per RICORDARTI!
Il nostro modo per RINGRAZIARTI!
Il nostro modo per DIRTI, CI MANCHI!

domenica 9 maggio 2021

I Moti di Milano del 1898


Articolo per "Terre di Lombardia"

I moti di Milano furono una rivolta di una parte della popolazione di Milano contro il governo, che si svolse tra il 6 e il 9 maggio del 1898. Gli scontri avvennero a seguito di manifestazioni da parte di lavoratori che scesero in strada contro la polizia e i militari per protestare contro le condizioni di lavoro e l’aumento del prezzo del pane dei mesi precedenti, come avvenne anche in altre città italiane nello stesso periodo.

Le notizie da Milano portarono il governo a dichiarare lo stato d’assedio con il passaggio di poteri al generale Fiorenzo Bava Beccaris. Egli agì duramente fin dall’inizio per soffocare ogni possibile forma di protesta; l’utilizzo indiscriminato delle armi da fuoco e, in particolare, di cannoni all’interno della città portarono il risultato desiderato, ma anche numerose vittime, spesso semplici astanti. I «cannoni di Bava Beccaris» passarono alla storia come simbolo di un’insensata e sanguinosa repressione.

Gli avvenimenti furono considerati parte della reazione conservatrice alla svolta politica in atto all’epoca in Italia, «un colpo di coda, l’ultimo sussulto degli ambienti retrivi di Corte, della destra liberale incline al “principato costituzionale” alla prussiana, dei fautori della interpretazione restrittiva dello Statuto albertino».

Due anni dopo i fatti, il 29 luglio 1900, il militante anarchico Gaetano Bresci – all’epoca dell’eccidio emigrato negli Stati Uniti – intese vendicare i morti di Milano uccidendo il re d’Italia, Umberto I.

La situazione a Milano e il prezzo del pane

La questione del pane era molto sentita a Milano; il pane era l’elemento principale di nutrimento per le fasce più basse della popolazione. Nel 1886 quando agli ispettori daziari si richiese di far rispettare il regolamento del 1870 che implicava il pagamento del dazio a chi portava in città più di mezzo chilo di pane, si verificarono diversi tumulti a Porta Tenaglia da parte degli operai che «solevano al mattino portare portare seco loro un chilogrammo di pane e uno di riso di cui si servivano poi per il loro sostentamento durante la giornata»; il 1º aprile ci fu anche una manifestazione in piazza del Duomo con diversi arrestati. Il 3 aprile il Consiglio comunale ripristinò la “tolleranza” per chi introduceva il pane in città; era la prima volta che il Consiglio cedeva alle proteste di piazza e ci furono critiche da parte dei conservatori.

Nella seconda metà del 1897 la scarsità del raccolto dei cereali provocò un aumento del costo del pane. Il governo non prese provvedimenti, nonostante le richieste di abolizione del dazio sull’importazione del grano, che avrebbe permesso di abbassare i prezzi. Nel gennaio 1898 ci furono i primi moti di protesta in altre zone d’Italia; a Milano si intensificarono i ritrovi dei partiti di opposizione che denunciavano l’inazione governativa, ma invitavano a non trascendere con azioni violente; nonostante queste rassicurazioni il prefetto Antonio Winspeare si mostrava preoccupato che «perdurando l’attuale stato di cose ed avvenendo nuovi aumenti del prezzo del pane, la cosa potrà divenire seria» e proibì le riunioni pubbliche. Il governo stabilì una diminuzione provvisoria del dazio sul grano dal 25 gennaio al 30 aprile, però si ebbero solo minimi effetti sul prezzo del pane.

A marzo ci furono vari segnali preoccupanti per l’amministrazione comunale. Il 4, in occasione del 50º anniversario dello Statuto Albertino, all’Arena Civica si riunirono 12 000 persone per ascoltare i comizi socialisti; in piazza del Duomo la Marcia Reale venne sonoramente fischiata. Il 6 il radicale Felice Cavallotti fu ucciso in duello da Ferruccio Macola a Roma; i funerali si svolsero a Milano il 9 marzo.

Il 20 marzo le celebrazioni del 50º anniversario delle Cinque giornate videro la contrapposizione di due distinti cortei, al mattino quello delle associazioni liberali e al pomeriggio la commemorazione «radico-repubblicana-socialista-anarchica»; il secondo era «più numeroso e importante del primo». Nello stesso periodo si segnalarono diversi articoli de L’Osservatore Cattolico, diretto dall’intransigente don Davide Albertario, a difesa dell’associazionismo cattolico contro i moderati.

Di fronte a queste manifestazioni pubbliche i conservatori lamentavano la debolezza del governo.

Ad aprile lo scoppio della guerra ispano-americana bloccò la possibilità di importazione di cereali dagli Stati Uniti. A Milano cresceva la preoccupazione per le manifestazioni del 1º maggio, che però trascorse senza incidenti. A turbare i precari equilibri, il 4 maggio giunse il decreto di richiamo alle armi della classe 1873.

Le truppe presenti

Dal 2 maggio venne data facoltà ai prefetti di affidare, in caso di estesi tumulti, la gestione della pubblica sicurezza all’autorità militare.

A Milano aveva sede il III corpo d’armata, comandato fin dal 1887 dal tenente generale Fiorenzo Bava Beccaris; il tenente generale Luchino Del Mayno era a capo della divisione Milano dal 1895.

Secondo le relazioni ufficiali, all’inizio di maggio del 1898 le forze totali disponibili per il presidio di Milano ammontavano a circa 2 000 uomini di fanteria, 600 di cavalleria e 300 di artiglieria a cavallo. Altri furono chiamati di rinforzo dopo l’inizio dello stato d’assedio.

I fatti

La ricostruzione dei fatti in studi storici è basata principalmente sull’esame della documentazione ufficiale. Il socialista Paolo Valera pubblicò varie testimonianze già a partire dal 1899; sull’argomento realizzò numerosi articoli nel periodico La folla da lui fondato nel 1901. Queste pubblicazioni, tese a screditare le relazioni ufficiali e in modo particolare Bava Beccaris, presentano però «diverse forzature».

È considerata di particolare interesse una lettera inviata da Eugenio Torelli Viollier a Pasquale Villari il 3 giugno 1898; dimessosi due giorni prima dalla direzione del Corriere della Sera, egli intendeva sfogarsi riportando un resoconto degli avvenimenti di Milano che non aveva potuto pubblicare.

A Milano il 6 di maggio agenti della polizia arrestano, nel corso di una agitazione, alcuni operai della Pirelli; verso sera, durante i tumulti davanti alla questura, due dimostranti restano sul selciato.

Il giorno seguente le organizzazioni operaie dichiarano lo sciopero generale e i milanesi scendono nelle strade. Poiché i questurini non sono sufficienti, la cavalleria viene incaricata di riportare l’ordine. Ma l’ordine non torna, non c’è verso. In molti quartieri popolari vengono alzate le barricate. Nel pomeriggio del 7 maggio il Governo decreta lo stato di assedio affidando il comando della piazza al generale Fiorenzo Bava Beccaris. Altri morti si aggiungono ai primi.

L’8 maggio è domenica, Milano è insorta come cinquanta anni prima contro gli austriaci, solo che stavolta nobili e borghesi stanno dall’altra parte. Il generale comandante ordina di sparare sulla folla. Col cannone ad alzo zero.

Il giorno 9 la rivolta viene gradualmente sedata; nel pomeriggio i bersaglieri espugnano l’ultima barricata in largo la Foppa.

Il 10 maggio si ebbe la riapertura di quasi tutti gli stabilimenti e della maggior parte delle attività. Non si registrarono altri incidenti degni di nota a Milano.

Monza furono repressi alcuni tumulti, per i quali già da domenica 8 erano state inviate truppe. A Luino ci furono proteste presso una caserma per ottenere la liberazione di un operaio che era stato arrestato giorni prima; guardie e carabinieri spararono sulla folla, provocando 4 morti e 10 feriti; da Milano e da Varese vennero inviate truppe di rinforzo.

Sempre il giorno 10 iniziarono a giungere dalla Svizzera notizie dell’organizzazione di un gruppo di operai italiani diretti in Italia per sostenere i tumulti. Mercoledì 11 lo stato d’assedio venne esteso alla provincia di Como e vi vennero inviate truppe, temendo un’aggressione armata al confine svizzero; venne richiesto un intervento al consiglio federale svizzero per fermare la possibile invasione. Il 15 maggio il treno che trasportava un gruppo di circa 200 operai, unici ad aver completato il viaggio attraverso i cantoni, fu scortato alla frontiera e consegnato alle forze dell’ordine italiane.

I dati ufficiali indicarono in totale 83 morti, cioè 81 civili, un agente di pubblica sicurezza e un soldato.

In tutti i territori sottoposti al generale Bava Beccaris furono arrestate in totale circa 2000 persone e ci furono circa 1140 deferiti al tribunale di guerra.

Si svolsero 129 processi con 828 imputati, dei quali 224 erano minorenni e 36 erano donne; nel complesso ci furono 688 condanne e 140 assoluzioni. Circa 300 condanne furono con pene inferiori a 6 mesi e 85 con pene tra 5 e 16 anni di reclusione. La condanna a 16 anni fu per il socialista Dino Rondani, nel frattempo fuggito in Svizzera.

Le udienze si svolsero in una sala a pianterreno dell’ala sinistra del Castello Sforzesco, all’epoca oggetto di restauro da parte di Luca Beltrami e sede del Museo del Risorgimento e di altre istituzioni.

L’attenzione generale si concentrò in particolare su due processi, quello «dei giornalisti» e quello «dei politici».

Il processo detto «dei giornalisti» vide 24 imputati; solo alcuni erano effettivamente giornalisti. Vennero accusati principalmente in quanto appartenenti a gruppi anarchici, socialisti o repubblicani. Caso particolare fu quello di don Albertario perché i suoi articoli «gareggiavano cogli altri di violenza così da attaccare con sottile ironia la Monarchia e le istituzioni, seminando l’odio di classe fra contadini e padroni e fra le altre classi sociali e distogliendo buona parte del clero da quell’opera di pacificazione che per la sua missione sarebbe destinato a compiere, costituendo in tal modo un fomite alla rivolta anche con articoli violenti, quando questa era già scoppiata».

Il processo detto «dei politici» iniziò il 27 luglio e ebbe come imputati i deputati Luigi De Andreis (repubblicano), Filippo Turati e Oddino Morgari (socialisti). Nonostante l’immunità parlamentare, i tre erano stati arrestati durante lo stato d’assedio: De Andreis a Milano durante una perquisizione al giornale Il Secolo; Turati in questura a Milano dove si era presentato per avere informazioni sull’arresto di Anna Kuliscioff; Morgari era stato fermato a Roma. La Camera dei deputati aveva concesso l’autorizzazione a procedere contro di loro nella seduta del 9 luglio con 207 voti a favore, 57 contrari e 16 astenuti. Vennero accusati «perché, col mezzo di opuscoli, discorsi e conferenze, col mezzo dell’istituzione di circoli, comitati, riunioni e leghe di resistenza, e allo scopo, concertato e stabilito fra essi e altri capi ora latitanti di partiti sovversivi, di mutare violentemente la costituzione dello Stato e la forma di governo, riuscirono a suscitare la guerra civile e a portare la devastazione e il saccheggio nella città di Milano nei giorni 6, 7, 8 e 9 maggio ora decorso, cooperando anche immediatamente e direttamente all’azione, e procurando di recarvi assistenza e aiuto».

La sentenza del 1º agosto 1898 condannò De Andreis e Turati a 12 anni, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, all’interdizione legale durante l’espiazione della pena e al pagamento delle spese processuali. Morgari fu assolto.

Con la fine dello stato d’assedio e il ritorno di varie pubblicazioni soppresse, iniziò una serie di appelli per l’amnistia nei confronti dei condannati.

Il 29 dicembre 1898 fu concessa un’amnistia per alcune pene stabilite dai tribunali militari di Milano, Firenze e Napoli: furono condonate le condanne fino a due anni di reclusione e le altre condanne vennero ridotte di due anni; per i minorenni e per le donne l’amnistia fu estesa per condanne fino a tre anni di reclusione; furono condonate le pene pecuniarie. In questa amnistia rientrò, ad esempio, la condanna di Anna Kuliscioff; don Albertario si vide la condanna ridotta a un anno.

Nel gennaio 1899 iniziarono le pubblicazioni della rivista Pro Amnistia che raccoglieva numerosi appelli; il primo numero conteneva scritti di Ernesto Teodoro Moneta, Filippo Meda, Claudio Treves, Edoardo Porro, Augusto Murri, Paolo Valera, Olindo Guerrini, Max Nordau e Adolfo Zerboglio.

Il 3 febbraio 1899 la Camera dei deputati dichiarò decaduti Turati e De Andreis in seguito alla loro condanna; furono dichiarati vacanti i collegi elettorali di Milano V e di Ravenna I. Turati, ancora in carcere, fu ricandidato da socialisti, radicali e repubblicani nel collegio di Milano V e la sua elezione fu data per scontata, tanto che non si presentarono altri candidati; il 2 giugno la Camera annullò l’elezione.

Con decreto del 4 giugno 1899 Umberto I concesse una nuova amnistia senza limitazioni. Turati fu nuovamente candidato alle elezioni suppletive per il collegio Milano V che si tennero il 13 agosto; fu rieletto sconfiggendo nettamente il candidato moderato.

venerdì 17 luglio 2020

#NEVERendum // 1.000 giorni senza risposta


Mille sono i giorni che saranno trascorsi il prossimo 18 luglio da una data molto familiare ai cittadini lombardi, vale a dire quel 22 ottobre del 2017 nel quale si svolse, in contemporanea col Veneto, il Referendum per l’Autonomia della nostra regione. Consultazione che ebbe un grande successo, nonché un plebiscito, per la richiesta di conferimento di maggiore autonomia alla Lombardia.

Per ricordare tale evento, e la mai sopita volontà autonomista dei lombardi, proprio sabato 18, con inizio alle 15:30, l’Assemblea Nazionale Lombarda ha organizzato una manifestazione davanti a Palazzo Lombardia a Milano.
Un evento cui ha aderito anche Terre di Lombardia, associazione culturale che avrò il piacere di rappresentare.

Terre di Lombardia resta un’associazione culturale. Ciononostante il tema dell’Autonomia Lombarda resta l’elemento maggiormente distintivo della battaglia per l’affermazione dei principi di libertà e di identità del nostro territorio.

Lo Abbiamo fatto Per tutto il periodo che ha preceduto il referendum e a maggiore lo faremo il prossimo sabato 18 luglio aderendo all'iniziativa che celebra i 1000 giorni trascorsi da quella Consultazione senza che la stessa abbia prodotto risultati istituzionali concreti.

Lo faremo senza vessilli e simboli di partito, ma da cittadini che amano la Lombardia e che sognano l’autonomia della stessa.

Terre di Lombardia continua il suo cammino a fianco del Popolo Lombardo.”


Così il Presidente Gianni Fava

venerdì 29 maggio 2020

29 MAGGIO // FESTA della LOMBARDIA


Il mio contributo scritto per Terre di Lombardia

Nell'844° anniversario della Battaglia di Legnano, che vide contrapporsi i liberi comuni riuniti nella Lega Lombarda da un lato e l’Imperatore Federico Barbarossa dall'altro, come ogni anno ricorre oggi la Festa della Lombardia.

Una giornata di ricordo, celebrazione e festa che non può non assumere quest’anno un significato particolare ed ancor più sentito.

Parole da scrivere ve ne sarebbero così tante che non basterebbe l’intera giornata per leggerle, ma l’unica che veramente ci sentiamo di vergare è “GRAZIE”.

GRAZIE a tutti coloro che in questi mesi sono stati impegnati nelle strutture sanitarie della nostra regione, come in tutto il mondo, per curare le persone colpite dal coronavirus.

GRAZIE a tutti coloro che hanno prestato un lavoro prezioso ed indispensabile per contrastare l’emergenza quali le aziende impegnate nella sanità, i farmacisti, le forze dell’ordine, il corpo nazionale dei vigili del fuoco, i volontari, ecc.

GRAZIE alle donne ed agli uomini che hanno continuato a lavorare nei settori indispensabili.

GRAZIE ai lavoratori autonomi, agli imprenditori e alle aziende che hanno fatto grande la Lombardia per resistere in un momento di estrema difficoltà.

GRAZIE a tutti i cittadini della Lombardia per il senso di responsabilità che hanno mostrato, e continuano a dimostrare, nell'attenersi alle prescrizioni emanate dalle autorità.

GRAZIE a tutti coloro che da altre regioni e nazioni hanno espresso la loro solidarietà nei confronti della Lombardia in questi mesi difficili.

GRAZIE anche a quanto hanno mostrato al mondo la propria ignoranza e imbecillità insultando la Lombardia ed i suoi cittadini, che non serbano rancore, ma anzi vi invitano quanto prima a venire da noi per curare nelle nostre strutture il vostro disagio mentale.

GRAZIE a TUTTI! 😌
GRAZIE di CUORE! ❤️

mercoledì 6 febbraio 2019

Carlo Cattaneo | il mio ricordo nel 150° anniversario dalla scomparsa di un grande di Lombardia.


CARLO CATTANEO, storico, economista e uomo politico, (Milano, 15 giugno 1801 – Castagnola, Lugano, 6 febbraio 1869).

Partecipò alle Cinque giornate di Milano; repubblicano e federalista, dovette però cedere il campo ai moderati filo-piemontesi e nel 1848 si ritirò a Parigi e quindi in Svizzera. Eletto nel 1860 deputato, non entrò mai alla Camera per non prestare il giuramento monarchico. Fu consigliere di G. Garibaldi, sperando di affermare il principio federale. Prevalso il partito dell’annessione, ritornò in Svizzera. Nel 1867 accettò di nuovo la candidatura a deputato, sempre tenendosi lontano dai lavori parlamentari. C. diede al positivismo italiano un carattere prettamente sociale. L’attenzione, nei suoi scritti, al legame tra Europa e moto italiano e al significato politico delle vicende del ‘48, rende la sua opera un capitolo molto importante della storiografia sul Risorgimento.

VITA


Alunno di G. D. Romagnosi, laureatosi in diritto a Pavia nel 1824, si dette all'attività pubblicistica; assiduo collaboratore degli Annali universali di statistica (dal 1833 al 1838), si occupò di ferrovie, bonifiche, dazi, commerci, agricoltura, finanze, opere pubbliche, geografia, letteratura, linguistica, storia e filosofia. Nel 1839 iniziò quel “repertorio mensile di studî applicati alla cultura e prosperità sociale”, cui altri diede il nome di Politecnico e che durò fino al 1844. In quest’anno pubblicò le Notizie naturali e civili su la Lombardia. Estraneo alle sette e alle congiure, venne in sospetto all'Austria soprattutto per la sua attività di studioso; nel gennaio 1848, infatti, fu proposto per la deportazione, sospesa per ordine del viceré. Attraverso la ricerca scientifica il C. proponeva un vasto programma di riforme politiche, inteso ad assicurare gradualmente al Lombardo-Veneto l’indipendenza nell'ambito di una federazione di popoli soggetti all'Austria, primo passo verso una federazione indipendente del popolo italiano (programma allargatosi, nel sett. 1848, a quello degli “Stati Uniti d’Europa”). Durante le Cinque giornate di Milano fu a capo del Consiglio di guerra, iniziando così la fase della sua politica attiva; fu parentesi assai breve: repubblicano e federalista, dovette cedere il campo ai moderati filo-piemontesi e nell'agosto si ritirò a Parigi (ove, sempre nel 1848, pubblicò L’insurrection de Milan, tradotta in italiano e ampliata l’anno successivo), poi in Svizzera, a Castagnola, ove restò fino al 1859, insegnando filosofia al liceo cantonale di Lugano. Ritornato a Milano il 25 ag. 1859, fece risorgere il Politecnico; eletto nel 1860 deputato, non entrò mai alla Camera per non prestare il giuramento monarchico. Dal settembre fu a Napoli consigliere di Garibaldi, sperando di affermare il principio federale. Prevalso il partito dell’annessione, ritornò a Castagnola e nel 1861 e nel 1865 rifiutò la candidatura per l’elezione a deputato che nel 1867 invece accettò pur non prendendo parte ai lavori parlamentari per non prestare giuramento.

PENSIERO E OPERE

Scolaro e continuatore di G. D. Romagnosi, il C. iniziò il positivismo italiano, con un carattere prettamente sociale, rifacendosi soprattutto a C.-H. de Saint-Simon. Psicologo più che filosofo, nella Psicologia delle menti associate (1859-66), rimasta allo stato di frammenti, cercò di realizzare un’interpretazione sociale dello sviluppo psicologico dell’individuo. Nelle scienze penali precorse i moderni concetti di responsabilità. Nella linguistica, le sue osservazioni sul fenomeno del “sostrato” furono riprese e sviluppate da G. I. Ascoli; notevoli, inoltre, le critiche mosse alle teorie delle migrazioni dei “popoli” indoeuropei, formulate dalla prima linguistica romantica (critiche confermate dall'ulteriore sviluppo della linguistica indoeuropea). L’aver sottolineato il legame tra Europa e moto italiano, l’aver affrontato vigorosamente, sia pure in forma ovviamente polemica nei confronti dell’incerta e ambigua politica sabauda, il significato politico delle vicende del ’48, fanno dell’opera di C. un momento molto importante della storiografia sul Risorgimento. D’altra parte, il suo federalismo, imperniato sul tema dell’autogoverno, garanzia e fonte di dignità, di civiltà, di libertà concreta, “filo ideale” per comprendere la storia d’Italia (La città considerata come principio ideale delle istorie italiane, 1858), continuò a esercitare un notevole influsso nelle discussioni postunitarie (e oltre) sul decentramento e le autonomie locali.

IL PENSIERO FEDERALISTA

Cattaneo viene ricordato per le sue idee federaliste impostate su un forte pensiero liberale e laico: dopo il 1860 acquisterà prospettive ideali vicine al nascente movimento operaio-socialista. All'alba dell’Unificazione italiana, Cattaneo era fautore di un sistema politico basato su una confederazione di stati italiani sullo stile della Svizzera; avendo stretto amicizia di vecchia data con politici ticinesi come Stefano Franscini, aveva ammirato nei suoi viaggi l’organizzazione e lo sviluppo economico della Svizzera interna che imputava proprio a questa forma di governo.

Cattaneo è più pragmatico del romantico Giuseppe Mazzini, è un figlio dell’illuminismo, più legato a Pietro Verri che a Rousseau, e in lui è forte la fede nella ragione che si mette al servizio di una vasta opera di rinnovamento della società. Pur essendogli state dedicate numerose logge massoniche e un monumento realizzato a Milano dal massone Ettore Ferrari, una sua lettera a Gian Luigi Bozzoni del 7 agosto 1867, consente di escludere la sua appartenenza alla massoneria, per sua esplicita dichiarazione, sovente in quel periodo tenuta segreta e negata.

Per Cattaneo scienza e giustizia devono guidare il progresso della società, tramite esse l’uomo ha compreso l’assoluto valore della libertà di pensiero; il progresso umano non deve essere individuale ma collettivo, attraverso un continuo confronto con gli altri.
La partecipazione alla vita della società è un fattore fondamentale nella formazione dell’individuo: il progresso può avvenire solo attraverso il confronto collettivo. Il progresso non deve avvenire per forza, e, se avviene, avverrà compatibilmente con i tempi: sono gli uomini che scandiscono le tappe del progresso.

Cattaneo nega l’idea di contratto sociale, gli uomini si sono associati per istinto: “la società è un fatto naturale, primitivo, necessario, permanente, universale…”; è sempre esistito un “federalismo delle intelligenze umane”: è sorto perché è un elemento necessario delle menti individuali.
Pur riconoscendo il valore della singola intelligenza, afferma però, che più scambio e confronto ci sono, più la singola intelligenza diventa tollerante; in questo modo anche la società sarà più tollerante: i sistemi cognitivi dell’individuo devono essere sempre aperti, bisogna essere sempre pronti ad analizzare nuove verità.

Così come le menti si devono federare, lo stesso devono fare gli stati europei che hanno interessi di fondo comuni; attraverso il federalismo i popoli possono gestire meglio la loro partecipazione alla cosa pubblica: “il popolo deve tenere le mani sulla propria libertà”, il popolo non deve delegare la propria libertà ad un popolo lontano dalle proprie esigenze.
La libertà economica è fondamentale per Cattaneo, è la prosecuzione della libertà di fare: “la libertà è una pianta dalle molte radici” e nessuna di queste radici va tagliata sennò la pianta muore. La libertà economica necessita di uguaglianza di condizioni, le disparità ci saranno ma solo dopo che tutti avranno avuto la possibilità di confrontarsi.

Cattaneo fu un deciso repubblicano e una volta eletto addirittura rinunciò ad entrare in parlamento rifiutandosi di giurare dinanzi all'autorità del Re.
Oggi Cattaneo viene richiamato quale iniziatore della corrente di pensiero federalista in Italia.
Nel 1839 fondò il periodico Il Politecnico, rivista che divenne un punto di riferimento degli intellettuali lombardi, avente come intento principale l’aggiornamento tecnico e scientifico della cultura nazionale.

Guardando all'esempio degli Stati Uniti d’America (presidenzialista) e della Svizzera cantonale (improntata alla democrazia diretta), definì il federalismo come “teorica della libertà” in grado di coniugare indipendenza e pace, libertà e unità. Cattaneo scrisse a riguardo: “Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d’Europa”. Cattaneo e Mazzini videro negli Stati Uniti d’America e nella Svizzera i due unici esempi di vera attuazione dell’ideale repubblicano.

Federalista repubblicano laico di orientamento radicale-anticlericale, fra i padri del Risorgimento, era alieno dall'impegno politico diretto, e puntava piuttosto alla trasformazione culturale della società. La rivista Il Politecnico fu per lui il vero Parlamento alternativo a quello dei Savoia.
In accordo con il Tuveri redattore del Corriere di Sardegna, Cattaneo intervenne in merito alla questione sarda in chiave autonomistica locale.
In tal senso, denunciò l’incapacità ed incuranza del governo centrale nel trovare una nuova destinazione d’uso al mezzo milione di ettari (più di un quinto della superficie dell’isola) che avevano costituito i soppressi demani feudali, sui quali le popolazioni locali esercitavano il diritto di ademprivio, per usi civici.

domenica 29 gennaio 2017

i Giorni della Merla


I cosiddetti giorni della merla sono, secondo la tradizione, gli ultimi tre giorni di gennaio (29, 30 e 31) oppure gli ultimi due giorni di gennaio e il primo di febbraio. Sempre secondo la tradizione sarebbero i tre giorni più freddi dell’anno. Le statistiche meteorologiche disponibili per gli ultimi decenni contrastano con il detto popolare per cui si ipotizza che le temperature medie di un tempo fossero inferiori alle attuali.
L’origine della locuzione “i giorni della merla (o Merla)” non è ben chiara. Ad esempio Sebastiano Pauli pubblica nel 1740 due ipotesi di spiegazione:
“I giorni della Merla” in significazione di giorni freddissimi. L’origine del quel dettato dicon esser questo: dovendosi far passare oltre Po un Cannone di prima portata, nomato la Merla, s’aspettò l’occasione di questi giorni: ne’ quali, essendo il Fiume tutto gelato, poté quella macchina esser tratta sopra di quello, che sostenendola diè il comodo di farla giugnere all'altra riva. Altri altrimenti contano: esservi stato, cioè un tempo fa, una Nobile Signora di Caravaggio, nominata de Merli, la quale dovendo traghettare il Po per andare a Marito, non lo poté fare se non in questi giorni, ne’ quali passò sovra il fiume gelato.
Secondo altre fonti la spiegazione della locuzione deriverebbe da una leggenda secondo la quale, per ripararsi dal gran freddo, una merla e i suoi pulcini, in origine neri come i maschi della stessa specie, si rifugiarono dentro un comignolo, dal quale emersero il 1º febbraio, tutti grigi a causa della fuliggine. Da quel giorno tutti i merli femmina ed i piccoli furono grigi. La leggenda, infatti, vuole giustificare in maniera favolistica il forte dimorfismo sessuale che si osserva nella livrea del merlo (turdus merula), che è bruna/grigia (becco incluso) nelle femmine, mentre è nera brillante (con becco giallo-arancione) nel maschio.

Secondo una versione più elaborata della leggenda, una merla era regolarmente strapazzata da gennaio, mese freddo e ombroso, che si divertiva ad aspettare che lei uscisse dal nido in cerca di cibo, per gettare sulla terra freddo e gelo. Stanca delle continue persecuzioni, la merla un anno decise di fare provviste sufficienti per un mese, e si rinchiuse nella sua tana, al riparo, per tutto il mese di gennaio, che allora aveva solo ventotto giorni. L’ultimo giorno del mese, la merla, pensando di aver ingannato il cattivo gennaio, uscì dal nascondiglio e si mise a cantare per sbeffeggiarlo. Gennaio se ne risentì così tanto che chiese in prestito tre giorni a febbraio e si scatenò con bufere di neve, vento, gelo, pioggia. La merla si rifugiò alla chetichella in un camino e lì restò al riparo per tre giorni. Quando la merla uscì, era sì salva, ma il suo bel piumaggio si era ingrigito a causa della fuligine del camino, e così essa rimase per sempre con le piume grigie.

Come in tutte le leggende, esiste un fondo di verità: infatti nel calendario romano il mese di gennaio aveva solo ventinove giorni.
Sempre secondo la leggenda, se i giorni della merla sono freddi, la primavera sarà bella; se sono caldi, la primavera arriverà in ritardo.


immagine tratta da www.viverecremona.it
Nel cremonese, come in tanti altri territori della Lombardia, è tradizione riproporre i canti popolari della merla negli omonimi giorni per rivivere l’antica atmosfera contadina. In particolare ad Annicco, Casalmaggiore, Cornaleto, Crotta d’Adda, Formigara, Gombito, Pizzighettone, Soresina, San Bassano, Sesto ed Uniti, Stagno Lombardo, Trigolo, Pianengo e altri, si usa riunirsi dinnanzi a un grande falò o sul sagrato di una chiesa o in riva al fiume, a seconda della tradizione, per intonare insieme al coro abbigliato con abiti contadini (le donne con gonna e scialle, gli uomini con tabarro e cappello) e degustare vino e cibi tradizionali. I testi delle canzoni differiscono leggermente da un paese all'altro, ma mantengono come denominatore comune i temi dell’inverno e dell’amore. Solitamente il coro gioca con la parte maschile e quella femminile, intonando simpatici battibecchi come nel canto rappresentato a Stagno Lombardo. I giorni della Merla in provincia di Cremona sono il 30, 31 gennaio e 1º febbraio. La leggenda infatti cita che ci fu un gennaio particolarmente mite e in quegli anni i merli erano di colore bianco. Infatti sbeffeggiavano Gennaio per il fatto che l’inverno stesse finendo senza che ci fosse stato un gran gelo. Ciò fece arrabbiare Gennaio che pur essendo verso la fine del mese, si vendicò facendo arrivare un freddo polare… da qui il detto duù t’i dò, öön t’el prumetarò, cioè “due te li do e uno te lo prometterò”, per il fatto che anche Febbraio ci mise del suo. Per il gran freddo i merli, allora bianchi, si dovettero rifugiare all’interno dei comignoli, diventando tutti neri.

articolo scritto per Terre di Lombardia

domenica 6 marzo 2016

LOMBARDIA | Roberto Maroni ospite alla prima serata conviviale di Terre di Lombardia

Nella serata di giovedì scorso, nella splendida cornice dell’Hosteria del 700 di Cremona, si è svolta la prima serata conviviale di Terre di Lombardia.

Un incontro con ospite d’onore e relatore Roberto Maroni, Presidente della Regione Lombardia, che ha trattato del tema “La Lombardia di domani, tra autonomia e sviluppo”, cui hanno presenziato anche Gianni Fava, Assessore Regionale all'Agricoltura nonché testimonial dell’associazione, e Giandomenico Auricchio, Presidente della Camera di Commercio di Cremona.

Ad introdurre la conviviale il Presidente dell’associazione Cedrik Pasetti che ha ripercorso il primo anno di attività di Terre di Lombardia ed annunciato alcuni degli appuntamenti in programma per i prossimi mesi, dalla borsa di studio per gli studenti delle facoltà di agraria della regione, al patrocinio di diverse iniziative sul mantovano, fino al convegno in occasione del quindicinale dalla scomparsa del professore Gianfranco Miglio.


Terre di Lombardia – ha detto Pasetti nel suo intervento – è una realtà culturale in grande crescita, sempre più intenzionata a promuovere le eccellenze del territorio lombardo, sostenendo le tradizioni locali, ma con un approccio nuovo in termini di comunicazione: dall'enogastronomia alla storia, dalle bellezze del paesaggio e dell’architettura alle tradizioni popolari, la ricchezza della Lombardia è uno stimolo inesauribile a fare sempre meglio”.

Il microfono è poi passato nelle mani del Governatore Maroni che ha subito affrontato un tema di stretta attualità, vale a dire il processo di riforma delle autonomie locali iniziato con la riforma Delrio, non ancora conclusa, che vedrà la Regione impegnata a formulare una sua proposta di riorganizzazione dei territori nelle nuove aree vaste.

“La riforma del sistema delle autonomie – ha argomentato Maroni -, in questa fase segnata dal passaggio dalle vecchie province all'incognita dei nuovi contenitori definiti di “area vasta”, rappresenta un’occasione importante che Regione Lombardia vuole cogliere ascoltando le istanze dei territori per costruire un progetto credibile da presentare al governo entro la fine di giugno. Il tutto senza dimenticare il prossimo referendum sull'autonomia della nostra regione”.

Le linee guida annunciate dal presidente lombardo saranno indirizzate “ad una radicale semplificazione dei livelli amministrativi, il tutto nel segno della sburocratizzazione e della riduzione dei costi: partendo dai due pilastri dell’organizzazione quali sono i comune e la regione e lasciando come ente intermedio quello che io amo chiamare Cantone memore della mia vicinanza geografica alla Svizzera (Maroni è di Varese n.d.r.)”.

Aree vaste, o Cantoni che dir si voglia, i cui confini saranno definiti come annunciato al termine della fase di consultazione avviata con l’insediamento di una apposita commissione in Regione cui partecipano anche l’associazione dei comuni e le camere di commercio lombarde.

“Cremona potrebbe essere unita a Mantova o anche ad altre realtà – da detto Maroni, che rivolgendosi ai cremaschi in sala ha aggiunto – così come Crema dovrà sciogliere la riserva sulla sua collocazione. Cremona, Milano, Bergamo, Lodi? Tutto ipotesi da valutare senza pregiudizi. Il tutto tenendo conto anche della riforma delle camere di commercio”, volgendo lo sguardo verso Giandomenico Auricchio, Presidente della camera di Cremona, seduto al suo fianco cui ha ribadito che la proposta di riforma nascerà in particolare dalle richieste delle varie attività produttive, per creare una formazione omogenea che, come tale, fornisca richieste più coerenti e dunque ammissibili che soddisfino le esigenze del territorio e di chi vi lavora.


La conviviale è stata inoltre l’occasione per rivelare, da parte di Maroni, un’anteprima riguardante la promozione del turismo. “Dal 29 maggio, ricorrenza della battaglia di Legnano con la vittoria della Lega Lombarda sul Barbarossa – ha annunciato Maroni – partirà l’anno del turismo lombardo. Dobbiamo valorizzare le nostre bellezze”.“Pochi giorni fa ero a San Pellegrino Terme, davanti a me avevo due bottiglie di acqua: la prima, targata San Pellegrino, aveva la scritta della località di produzione (in Provincia di Bergamo, n.d.r.) in piccolo; la seconda, Acqua Panna che fa sempre parte del gruppo San Pellegrino, riportava la scritta “Toscana” molto visibile, in grande. Anche questi semplici aspetti riguardano il marketing e la valorizzazione del territorio: noi dobbiamo recuperare il tempo perduto”.

Per questo l’idea di dedicare un mese dell’anno a ciascuna delle dodici province della Lombardia, nel quale dare spazio alle iniziative e alla promozione enogastronomica, turistica e culturale di ogni territorio e non solo il capoluogo.

“Non siamo inferiori a regioni bellissime come Toscana e Umbria – ha sottolineato con orgoglio Maroni – ma dobbiamo imparare a farci conoscere meglio. Abbiamo 10 siti Unesco dei 50 sparsi in tutta Italia, ma spesso non li abbiamo nemmeno visitati. Questa iniziativa intende essere un ulteriore passo per recuperare terreno”.

In chiusura del suo intervento, riportando il discorso sulla riforma delle autonomie, il Presidente Maroni ha dato appuntamento ad una prossima serata conviviale con Terre di Lombardia, verso la fine del mese di maggio, durante la quale accogliere la sintesi delle istanze che il territorio elaborerà, il tutto per poi farne sintesi nel progetto generale che sarà presentato al Governo di Matteo Renzi.

domenica 12 luglio 2015

#LOMBARDIA | il suo grande patrimonio #Unesco

La Lombardia è ‪‎arte, ‪‎storia,‬ ‪‎cultura,‬ ‪‎tradizioni,‬ ‪‎identità ed anche ‪‎modernità, perché chi guarda solo al passato non potrà mai vincere le battaglie di domani e tutelare veramente l'eredità dei nostri padri.

martedì 10 febbraio 2015

Terre di Lombardia | una nuova avventura tra cultura, autonomia e identità


Nel tardo pomeriggio di oggi, insieme agli amici Cedrik Pasetti, Michela Bettinelli, Donato Novellini e Matteo Bernardelli, ho posto la mia firma in calce all'atto costitutivo di una nuova associazione culturale chiamata "Terre di Lombardia".
Una nuova avventura dedicata alla Lombardia che si dipanerà tra cultura, autonomia e identità con lo sguardo rivolto al futuro senza per questo dimenticare quello che siamo e coloro che questo territorio hanno costruito nei secoli.
Per saperne di più non vi resta che continuare a leggere il post...


CULTURA, AUTONOMIA E IDENTITÀ

L’Associazione Culturale “Terre di Lombardia” ha come scopo la valorizzazione e la divulgazione della conoscenza della cultura della Lombardia nonché della sua storia e la tutela del suo territorio. 
In particolare l’Associazione intende promuovere e gestire attività culturali, nel campo della politica, dell’economia e delle discipline artistiche nonché contribuire allo sviluppo socio-economico della regione Lombardia ispirato ad un riformismo fondato su principi di autonomia, identità, sussidiarietà e solidarietà.

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