Visualizzazione post con etichetta secessione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta secessione. Mostra tutti i post

martedì 12 febbraio 2019

LLIBERTAT PRESOS POLITICS // VISCA CATALUNYA LLIURE


Oriol Junqueras, Jordi Turull, Joaquim Forn, Raül Romeva, Dolors Bassa, Josep Rull, Meritxell Borràs, Carles Mundó, Santi Vila, Jordi Sànchez, Jordi Cuixart e Carme Forcadell, sono i 12 prigionieri politici catalani per i quali inizia oggi, davanti al tribunale di Madrid, il processo per "ribellione" nel quale rischiano condanne per un totale di 177 anni di carcere.

Accade oggi a Madrid, Spagna, Europa a oltre quarant'anni dalla fine (teorica!?!?) del regime fascista di Francisco Franco.

E di fronte ad una tale "infamia" capita di trovare sui social sedicenti "leghisti", indegni di definirsi tali, che condividono le iniziative del partito neofranchista spagnolo di VOX...

sabato 1 settembre 2018

No alla "Secessione dei ricchi", dicono i PARASSITI...

“Il Veneto, la Lombardia e sulla loro scia altre undici Regioni si sono attivate per ottenere maggiori poteri e risorse. Su maggiori poteri alle Regioni si possono avere le opinioni più diverse. Ma nei giorni scorsi è stata formalizzata dal Veneto (e in misura più sfumata dalla Lombardia) una richiesta che non è estremo definire eversiva, secessionista.”
Questo il titolo e l’incipit di una petizione, dal titolo "NO ALLA SECESSIONE DEI RICCHI", che potete trovare su change.org, promossa da tale Gianfranco Viesti, che chiede tra l’altro:
“che nessun trasferimento di poteri e risorse a una Regione sia attivato finché non siano definiti i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (art. 117, lettera m della Costituzione); e che il trasferimento di risorse sulle materie assegnate alle Regioni sia ancorato esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza.”
Tradotto in linguaggio corrente i “parassiti”, come li definirebbe Gianfranco Miglio, non vogliono che la Lombardia ed il Veneto, sulla scorta dei referendum del 22 ottobre 2017, ottengano maggiore autonomia e mantengano a servizio dei propri cittadini una quota maggiore del residuo fiscale che ogni anno lombardi e veneti creano.
È quantomai evidente come lorsignori temano che possa finalmente “finire la pacchia” cit.

Un motivo in più per proseguire nella battaglia autonomista iniziata con il referendum promosso in Lombardia da Roberto Maroni e Gianni Fava, e poi proseguita con Attilio Fontana e Stefano Bruno Galli.

Dimenticavo...

Scorrendo l’elenco delle adesioni alla petizione il primo nome che compare è quello di tale Diego Fusaro, autoproclamato filosofo contemporaneo, alquanto e malauguratamente seguito da molti amici leghisti.
Per quanto mi riguarda ennesima conferma di quanto un idiota...

giovedì 11 gennaio 2018

GIANFRANCO MIGLIO | IL CENTENARIO DALLA NASCITA


Nel centenario dalla nascita vi propongo uno scritto lontano nel tempo ma tremendamente attuale, buona lettura.

Ciò che attendiamo dagli Alleati e ciò che loro daremo

Articolo pubblicato su Il Cisalpino, n.1, del 27 aprile 1945.

L’insidia più pericolosa per l’idea federalista è il cosiddetto decentramento amministrativo regionale; più o meno esplicitamente promesso da alcuni partiti. Contro tale insidia mettiamo in guardia soprattutto gli amici del nostro movimento - e sono legione - militanti nella Democrazia Cristiana.

Il decentramento amministrativo regionale è un cavallo di battaglia piuttosto anzianotto, proveniente dalle scuderie del vecchio Partito Popolare, dove da puledro fece bella mostra di sé, senza peraltro riuscire mai a smuovere di una spanna il carro del regionalismo, affondato fino ai mozzi nella ghiaia del lealismo monarchico - e perciò unitario – che quel partito fu indotto ad ostentare per cancellare il ricordo del “non expedit”.

La regione è un’unità con sicuro fondamento nella storia e nelle tradizioni -sottolineano i regionalisti. Ma siffatta affermazione - almeno per la Valpadana - è un ritrito luogo comune, senz'alcun fondamento né storico, né geofisico, né economico. Rileggetevi a tal proposito le storie padane, o, se vi torna più comodo, rileggetevi le opportune voci dell’Enciclopedia Treccani: fonte non sospetta di federalismo. L’unica regione settentrionale che vanti un’unità multi secolare è la Liguria.

Essa sola ci appare configurata all’incirca com’è ora fin dai tempi danteschi (1300), quando la geografia non conosceva ancora né un Piemonte, né una Lombardia, né un’Emilia, né un Veneto, né una Venezia Giulia o Tridentina costituite in unità politiche od amministrative.

Cent’anni più tardi il “ducato” di Milano – ossia la Lombardia politica -comprende 25 “città” e si estende a tutto il Ticino svizzero, a circa un terzo dell’attuale Piemonte, a gran parte dell’Emilia, ad alcune provincie venete, mentre il Veneto veneziano è ancora limitato ad una striscia costiera. Il Piemonte si configura all'incirca come l’attuale regione solo con la pace di Aquisgrana (1748), la quale gli attribuisce però l’intera Lomellina e l’Oltrepo pavese, mentre dal medesimo trattato la Lombardia politica esce ridotta alle sole provincie di Varese, di Como, di Milano ed a porzioni delle provincie di Pavia, di Cremona e di Mantova.

La Venezia Tridentina è sempre limitata alla diocesi di Trento. Il Veneto politico invade largamente la Lombardia, alla quale sottrae Bergamo, Brescia e Crema, il territorio emiliano è ripartito fra tre diversi stati. Napoleone nel 1799 riduce il Veneto all'incirca entro i confini moderni, ma fonde la Lombardia, l’Emilia centrorientale e le Romagne nell'unità politica della Repubblica Cisalpina, mentre col successivo Regno Italico (1810) il Piemonte fino al Sesia, la Liguria, l’Oltrepo pavese, Piacenza e Parma vengono incorporati all'impero francese.

Dov’è dunque la vantata antichità che valorizzi storicamente le circoscrizioni regionali del Settentrione? In realtà la ripartizione dell’Italia nelle attuali 18 regioni venne proposta da Pietro Maestri - l’ostaggio delle cinque giornate - e fu accolta per la prima volta nelle pubblicazioni ufficiali del regno solo nel 1863: conta meno di un secolo: un’inezia per un popolo che vanta millenni di storia.

Noi siamo nettamente contrari al regionalismo “storico”. Esso segnerebbe un regresso nella nostra educazione politica perché riattizzerebbe fatalmente residui motivi campanilistici più di quanto riuscirebbe ad addestrare le nostre masse alle responsabilità dell’autogoverno, ossia alla vera democrazia.
Se noi ci fermassimo ai limitati spazi regionali, noi non potremmo rivendicare che una piccola frazione delle libertà e delle autonomie che ci occorrono per addestrare i cittadini di ciascun “Cantone” italiano al consapevole contemperamento delle aspirazioni di classe e, degli interessi locali con le necessità dell’intera Confederazione Italica e con le esigenze di una pacifica collaborazione internazionale.

Teniamo infatti a ben sottolineare che il nostro federalismo vuol essere tirocinio che prepari gli italiani al progressismo internazionalista. Il mondo marcia verso l’internazionale politica oltre che economica: se così non fosse anche la seconda guerra mondiale sarebbe un’inutile strage.
Urge pertanto di rieducare politicamente gli italiani con sana pedagogia democratica e con intenso addestramento elettorale, il che può ottenersi, meglio e più rapidamente che per ogni altra via, nel circuito di circoscrizioni cantonali che abbiano tanto contenuto politico-amministrativo da richiamare costantemente l’interesse diretto di larghe masse di cittadini.

Ma che cos'è dunque il “Cantone” per il quale si battono i federalisti cisalpini? E’ un razionale spazio geofisico, economicamente e demograficamente individuato e costituito di unità capace di fornire materia per una vita politico-amministrativa autonoma e fattiva, col minimo possibile di ciarpame burocratico. La Liguria, il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia e le Tre Venezie, ossia tutta l’Italia settentrionale nel suo insieme costituisce un’armonica unità geografica, economica, etnica e spirituale, ben degna di governare sé stessa: sarà il “Cantone Cisalpino”, con capitale in Milano, baricentro della Val Padana, sarà il cantone campione che rimorchierà l’Italia intera sull'erta del risorgimento nazionale.

E quali dovrebbero essere gli altri “Cantoni” d’Italia? Ligi al principio democratico i federalisti cisalpini rispetteranno la piena libertà dei fratelli peninsulari di ordinare i rispettivi cantoni nel modo che essi riterranno migliore. Non è tuttavia chi non veda come la Sicilia e la Sardegna abbiano dalla natura stessa, oltre che dalla storia, dall'indole della popolazione, dal proprio dialetto, dal propri interessi economici il diritto di costituirsi a “Cantone Siculo” e “Cantone Sardo”, rispettivamente con capitale a Palermo ed a Cagliari.

Con altrettanta evidenza Napoli – metropoli intellettuale e storica del Mezzogiorno - ha ben diritto di costituirsi a capitale d’un “Cantone” che difenda ed armonizzi ed acceleri la rinascita economica della Calabria, della Lucania, delle Puglie, della Campania, del Molise e fors’anche dell’Abruzzo.
Meno evidente è invece l’interesse delle regioni centrali a costituirsi in un unico cantone con capitale in Roma oppure con capitale in Firenze, lasciando l’Urbe retta a Territorio federale autonomo, o piuttosto in un “Cantone” Tosco-Umbro-Marchigiano - il cantone a schietta economia mezzadrile - gravitante su Firenze, ed in un “Cantone” Laziale gravitante su Roma. Ne devono giudicare le popolazioni interessate. L’Urbe - decongestionata dalla pletorica burocrazia che vi si annida e che vi si anniderebbe in qualsiasi Italia a struttura centralizzata – sarà sempre la sede naturale e necessaria dei Governo Federale, la Patria comune delle genti italiche.

Il nostro è un abbozzo. I cisalpini, che la comune fede democratica convoglia nel movimento federalista da diversi partiti politici - non intendono minimamente forzare i fratelli peninsulari e costituirsi in quattro piuttosto che in otto cantoni. La razionalità dei cantoni peninsulari emergerà dalla libera discussione e valutazione degli interessi locali e tale razionalità sarà la migliore garanzia dell’efficienza della futura vita politico-amministrativa dei Cantoni italici.

venerdì 22 dicembre 2017

CATALUNYA | vincono gli Indipendentisti e sparisce Rajoy


Ieri si è votato in Catalogna, alla fine di una delle campagne elettorali più eccezionali e imprevedibili degli ultimi anni in Europa. Le elezioni erano state convocate dal primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, dopo l’inizio di una grave crisi tra governo catalano e stato spagnolo: cioè dopo il referendum sull'indipendenza della Catalogna dell’1 ottobre e la successiva dichiarazione d’indipendenza approvata dal Parlamento catalano, entrambe giudicate illegali dal governo spagnolo. Il voto di ieri, nelle intenzioni di Rajoy, avrebbe dovuto disinnescare il progetto indipendentista, ma le cose sono andate diversamente.

Il blocco indipendentista – formato da Junts per Catalunya (JxCat), la lista dell’ex presidente Carles Puigdemont, Esquerra Republicana (ERC), la sinistra indipendentista dell’ex vicepresidente Oriol Junqueras, e la CUP, la sinistra radicale – ha ottenuto di nuovo la maggioranza parlamentare: 70 seggi, due in più di quelli necessari per controllare il Parlamento catalano.

La lista più votata del blocco indipendentista è stata quella dell’ex presidente Carles Puigdemont, che ha dichiarato: "In qualità di Presidente legittimo, mi complimento con i cittadini catalani per la partecipazione record. Il risultato non può essere messo in dubbio: la Repubblica Catalana ha battuto la monarchia del 155. Mariano Rajoy Brey ha perso, il Governo legittimo deve tornare a guidare il paese e tutti i prigionieri politici devono essere liberati. L'Europa deve prendere nota che la ricetta di Rajoy non funziona"

Primo partito Ciudadanos che, per bocca del suo leader nazionale Alberto Rivera, lascia trasparire chiaramente l'impronta neofranchista che gli ha permesse di svuotare il seppur esiguo bacino elettorale del Partito Popolare di Rajoy che ha raccolto solo tre seggi. 

Ha dichiarato infatti Rivera: “Non siamo stati duri noi, ma molle il Pp che per 35 anni ha costruito il proprio potere a Madrid scendendo a patti con i nazionalisti e concedendo loro quel che volevano", punta il dito il leader del primo partito catalano, sostenendo che "quando si passano tre decenni a cedere spazio a chi cerca di occuparlo tutto, finisci per trovarti fuori. Ed è quello che è successo".

Per la seconda volta in pochi giorni, la prima è avvenuta in Corsica, un vento caldo di libertà sferza un'Europa incapace di comprendere come il modello dello "stato-nazione" si stia incrinando ogni giorni di più.

Un vento che ostinatamente soffia anche in un certo NORD, quello della Valle del Grande Fiume.

mercoledì 28 dicembre 2016

Süd-Tirol Ist Nicht Italien!

Diritto all'Autodeterminazione dei Popoli

Principio in base al quale i popoli hanno diritto di scegliere liberamente il proprio sistema di governo (autodeterminazione interna) e di essere liberi da ogni dominazione esterna, in particolare dal dominio coloniale (autodeterminazione esterna). Proposto durante la Rivoluzione francese e poi sostenuto, con diverse accezioni, da statisti quali Wilson e altri, tale principio implica la considerazione dei diritti dei popoli, in contrapposizione a quella degli Stati intesi come apparati di governo (Stato. Diritto internazionale). In tal senso, si pone potenzialmente in conflitto con la concezione tradizionale della sovranità statale; la sua attuazione deve inoltre essere contemperata con il principio dell’integrità territoriale degli Stati.

Affermato nella Carta Atlantica (14 agosto 1941) e nella Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945; art. 1, par. 2 e 55), il principio di autodeterminazione dei popoli è ribadito nella Dichiarazione dell’Assemblea generale sull'indipendenza dei popoli coloniali (1960); nei Patti sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali (1966); nella Dichiarazione di principi sulle relazioni amichevoli tra Stati, adottata dall'Assemblea generale nel 1970, che raccomanda agli Stati membri dell’ONU di astenersi da azioni di forza volte a contrastare la realizzazione del principio di autodeterminazione e riconosce ai popoli il diritto di resistere, anche con il sostegno di altri Stati e delle Nazioni Unite, ad atti di violenza che possano precluderne l’attuazione.

Nel diritto internazionale, l’affermazione dell’autodeterminazione dei popoli – frutto di un processo graduale a lungo contrastato dai paesi occidentali e fortemente collegato, nella prassi, alla fortunata azione dell’ONU a favore della completa decolonizzazione – è ormai acquisita sul piano consuetudinario limitatamente al divieto di tre specifiche fattispecie, qualificate come crimini internazionali: la dominazione coloniale, l’occupazione straniera e i regimi di segregazione razziale (apartheid) o altrimenti gravemente lesivi di diritti umani fondamentali.

lunedì 10 agosto 2015

in MEMORIA di Gianfranco MIGLIO


Gianfranco MIGLIO

(Como, 11/01/1918 - 10/08/2001)

"Dal confine alpino al crinale dell'appennino tosco-emiliano l'Italia transpadana e cispadana ha una sua specifica ragion d'essere, una sua fisionomia economica produttiva storica e perfino linguistica da richiedere, per il suo pieno sviluppo, anche a beneficio dell'intera nazione, una sua posizione esatta e spiccata in seno all'Italia che sta nascendo. L'unità d'Italia non potrà essere fatta che su altre basi [...] La Liguria, il Piemonte, la Lombardia, l'Emilia e le Tre Venezie, ossia tutta l'Italia settentrionale nel suo insieme costituisce un'armonica unità geografica, economica, etnica e spirituale, ben degna di governare se stessa."

(da Il Cisalpino, 22 luglio 1945)

lunedì 3 agosto 2015

#PANTHEON | Miglio, Cattaneo, Salvadori

Gianfranco Miglio, Carlo Cattaneo e Bruno Salvadori
Ascoltando le parole di Gianfranco MIGLIO mi sono appassionato a parole per troppo tempo dimenticate quali FEDERALISMO, AUTONOMIA e SECESSIONE, non solo quali meri termini accademici da studiare in qualche aula universitaria, ma come IDEALI da perseguire.

Leggendo gli scritti di Carlo CATTANEO ho compreso cosa sia la LOMBARDIA e l'orgoglio di esserne figlio e il privilegio di viverci ogni giorno.

Militando nella sezione intitolata a Bruno SALVADORI ho iniziato un percorso, che prosegue nonostante tutto ancora oggi, fatto di vittorie e sconfitte, gioie e incazzature (gli amici sanno a cosa mi riferisco...).

Ed è pensando a questi tre grandi uomini, a quello per cui hanno vissuto, che: "un'Italia sociale e nazionale, secondo la visione risorgimentale, mazziniana, corridoniana, futurista, dannunziana, gentiliana, pavoliniana e mussoliniana."

NON È IL PAESE IN CUI VOGLIO VIVERE!
NON È IL FUTURO CHE VOGLIO PER LA MIA TERRA!

giovedì 5 marzo 2015

#LIBERTA' | Gianfranco Miglio parla di Secessione ospite di Gad Lerner

Trascrizione dell'intervista andata in onda nell'ottobre 1990 su Rai 3, all'interno della trasmissione "Nella Tana della Lega"

GAD LERNER: Gianfranco Miglio, professore di Scienze della politica all'Università Cattolica di Milano.
Lei che è un intellettuale raffinato, cosa ne pensa del linguaggio e anche dei gesti che abbiamo appena visto di Umberto Bossi?

GIANFRANCO MIGLIO: Non mi meravigliano assolutamente. Un uomo politico che vuole tenere il contatto con l’opinione pubblica, con determinati strati del suo elettorato deve corrispondere anche a certe attese, sotto questo profilo la conoscenza di quello che è la carriera degli uomini politici che hanno contato nella storia politica ci induce a non meravigliarci affatto, perché c’è un Bossi che è quello che abbiamo visto qui e c’è un Bossi, invece, con cui si ragiona, con cui si discutono i problemi pacatamente e non diversamente da quello, almeno per quanto mi riguarda, che mi è capitato nel discutere con altri uomini politici italiani. 


LERNER: Lo sa che i giornali la indicano un po’ come il teorico, quasi il padre spirituale delle Leghe?

MIGLIO: No, guardi, questa è stata una coincidenza oggettiva, per due ragioni; la prima è la mia convinzione che lo stato nazionale italiano non abbia basi, di conseguenza finché non risolveremo quel problema noi potremo sperimentare tutte le soluzioni costituzionali ma nessuna sarà veramente soddisfacente.

LERNER: Un’Italia non esiste, un’Italia unita?

MIGLIO: Un’Italia, una nazione Italia non c’è. Ho sentito che anche recentemente De Felice lo ha detto in una delle vostre trasmissioni di canale 3. Ecco, l’altro motivo è il fatto che io sono fortemente partecipe dell’indignazione del Paese, io sono uno dei tanti, dei parecchi milioni di italiani che non ne possono più di questo sistema politico ed amministrativo.

(Scrosciante applauso dalla sala)

LERNER: Non credo che il professore … mi scusi se interrompo questa intervista… vedo che i simpatizzanti della Lega hanno occupato le prime file di questo teatro con una scelta più che legittima, non credo che il professor Miglio gradisca di essere applaudito o fischiato perché più che allo stadio è abituato alle aule universitarie e comunque di certo tutti gli altri nostri ospiti sono venuti per ragionare sul fenomeno della Lega; i vostri applausi o fischi da questo punto di vista non cambiano assolutamente nulla, grazie.
A pagina 168 del suo libro più recente, che tanta discussione ha suscitato, Una costituzione per i prossimi trent'anni, adopera una parola molto pesante, secessione; crede davvero nella possibilità che il Nord d’Italia abbandoni il resto del Paese attraverso una secessione?

MIGLIO: Mah, io credo che, se non si arriva a correggere i difetti del nostro sistema politico amministrativo di cui parlavo prima, è fatale che la parte più europea dell’Italia si disponga a separare le sue sorti da quelle del resto del Paese; nessuno può essere costretto a vivere in un Paese che non sente più come il suo. E, d’altra parte, la formazione della Lega Nord è già il presupposto di questa condizione che, badi, è durata sempre nella nostra storia, c’è sempre stata potenziale unità della Valle Padana anche attraverso le diverse divisioni politico costituzionali e giuridiche.

Quindi non la considero affatto, così, una minaccia vaga; se, come io credo, nel ’93 ci accorgeremo che, anche per volontà di una parte della nostra classe politica, noi non entriamo effettivamente nel mercato omogeneo europeo, o ci entriamo restando fuori dalla porta, ecco allora questi problemi di coerenza con i propri ideali di vita si porranno e allora il rischio di una secessione si presenta. Del resto viviamo nell'epoca in cui i russi stanno cercando di forgiare una costituzione che permetta il diritto di andarsene, cioè quello che io chiamo il diritto di stare con chi si vuole, gli jugoslavi stanno rischiando una guerra civile per arrivare a quello.


LERNER: Lo scenario è proprio di queste ore. Lei ha parlato di una parte dell’Italia più europea, nel suo libro addirittura scrive di una attitudine antropologica, che sarebbe un po’ come dire quasi un difetto congenito degli italiani del centro e del sud a instaurare rapporti clientelari se non addirittura mafiosi con i politici; davvero pensa questo?

MIGLIO: Nel mio libro io dico che sono due modelli di esistenza e di vita che io rispetto entrambi. Naturalmente io sento di appartenere, per tutta una serie di ragioni, al modello dell’Europa fredda, però anche quello mediterraneo è un modello; dico semplicemente che non sono conciliabili, sono due modelli che non possono essere intrecciati, messi insieme.

LERNER: Cosa pensa che faranno i partiti politici tradizionali per combattere le Leghe?

MIGLIO: Mah, guardi, ormai io credo che in un anno e mezzo non si può neanche cominciare a cambiare il sistema politico e il modo di governare a amministrare; io credo che metteranno in atto il consiglio che ha dato loro De Rita, che è: “Comprateli!”.

LERNER: Il presidente del CNEL, Giuseppe De Rita.

MIGLIO: Ma non dare soldi a Bossi, a Speroni, a Castellazzi eccetera, no, cercare di comprare gli elettori, le categorie. Io, quello che temo, è che in questo anno e mezzo si allargheranno i cordoni della borsa, che non è la borsa della stato, è la nostra borsa, perché sono danari che sono tolti dalle nostre tasche per ridistribuirli a quelle categorie che appaiono più inviperite e sono quelle che minacciano di più di votare per la Lega, questo è il rischio che ha la Lega.

LERNER: Professor Miglio, nella prossima legislatura lei sarà un senatore della Lega?

MIGLIO: Guardi, io nell'intervista che mi ha fatto Staglieno termino spiegando perché non ho mai voluto un mandato parlamentare; c’è un’incompatibilità strutturale fra il mio carattere e il mandato parlamentare, vorrei mantenere questa coerenza.
Certo che sarei lieto di poter contribuire, con quel poco che so, a guarire il meccanismo costituzionale del mio Paese, ma spero fino in fondo di poterlo fare senza un mandato politico.


LERNER: Grazie professor Miglio.