mercoledì 30 novembre 2016

#IoVotoNO | le grandi bugie di Renzi sul referendum


1 - NON È VERO CHE CON IL SÌ AL REFERENDUM «QUALCOSA COMINCERÀ A MUOVERSI» 

Sarà, al contrario, la paralisi definitiva. La Costituzione diverrà praticamente intoccabile. Ogni modifica richiederà infatti il voto di una Camera e di un Senato eletti con leggi diverse, in tempi diversi, da soggetti diversi. Verosimilmente quindi composti da maggioranze diverse. Il tutto di fatto a supporto di chi sarà al Governo, che avrà in mano presidenza della Repubblica, Corte costituzionale e tutti gli organi di garanzia... 

2 - NON È VERO CHE CON LA RIFORMA RISPARMIEREMO 500 MILIONI 

Quello è il costo dell’attuale Senato che, contrariamente a quanto racconta Renzi, non sarà soppresso. La Ragioneria dello Stato ha calcolato minori spese per soli 50 milioni. Presto riassorbiti con gli interessi dalle nuove incombenze. A fronte di risparmi decisamente modesti, si renderà infatti necessario assumere ulteriore personale per svolgere i nuovi compiti di studio, controllo, verifica e proposta attribuiti al Senato. Inoltre, con la nuova legge elettorale lo Stato spenderà centinaia di milioni in più. Sono quindi una bufala le risorse che dovrebbero liberarsi per il reddito di cittadinanza o per aumentare le pensioni minime. 

3 - NON È VERO CHE IL BICAMERALISMO PARITARIO ESISTE SOLO IN ITALIA 

Il bicameralismo paritario che la riforma ha nel mirino (e che noi intendiamo aggiornare salvaguardando la rappresentanza dei cittadini, altrimenti tanto vale sopprimere una Camera), esiste nelle due più grandi democrazie del mondo: Usa e Svizzera. Il monocameralismo è caratteristica comune di Paesi autoritari come Cina, Arabia Saudita, Turchia, Indonesia, Corea del Nord... 

4 - NON È VERO CHE LA RIFORMA RISPECCHIA LA VOLONTÀ DEGLI ELETTORI 

È stata votata da un Parlamento giudicato illegittimamente eletto dalla Corte Costituzionale: doveva curare solo l’ordinaria amministrazione. È passata grazie al voto decisivo di 150 parlamentari eletti nelle file dell’opposizione, impegnati soprattutto a salvare la legislatura per conservare lo stipendio fino al 2018. 

5 - NON È VERO CHE CON LA RIFORMA LE LEGGI SARANNO APPROVATE PIÙ VELOCEMENTE 

Oggi le leggi finanziarie che introducono i principali interventi economici, vengono approvate mediamente in 50 giorni. Su imprese e giustizia il tempo medio di approvazione è di 46 giorni. Il decreto Svuotacarceri ha visto la luce in soli 38 giorni. Con la riforma, il solo passaggio al Senato (che potrà essere richiesto sistematicamente da 1/3 dei senatori) impegnerà fino a 40 giorni. Sarà preceduto da un tempo indeterminato alla Camera e seguito da una seconda lettura per discutere le modifiche proposte dal Senato. 

6 - NON È VERO CHE LA RIFORMA SEMPLIFICHERÀ LE PROCEDURE LEGISLATIVE 

L’attuale articolo 70 della Costituzione sulla funzione legislativa, è composto da sole 9 parole; il nuovo articolo 70 ne avrà ben 451. Oggi sono utilizzabili 4 percorsi legislativi; con la riforma ne avremo almeno 8. E secondo alcuni costituzionalisti le procedure potrebbero arrivare addirittura a 9, se non 10 o più. A dimostrazione di come la confusa e frammentaria formulazione delle norme impedisca di individuare con precisione tutte le possibili varianti. La riforma contiene fra l’altro svariati rinvii ad altre leggi su aspetti sostanziali delle nuove norme, che risultano quindi incomplete nel loro contenuto (vedi l’articolo 57 sulla composizione del Senato). 

7 - NON È VERO CHE INUOVI SENATORI SARANNO SCELTI DAI CITTADINI 

Saranno nominati dai consiglieri regionali e il 5% dal presidente della Repubblica, per giunta con pesanti scompensi di rappresentanza fra una Regione e l’altra. Inoltre, grazie alla «clausola di supremazia», il Governo potrà chiedere al Parlamento di modificare o abrogare qualsiasi legge regionale politicamente sgradita. 

8 - NON È VERO CHE I SENATORI NON PERCEPIRANNO PIÙ ALCUNA RETRIBUZIONE 

Avranno una diaria, il rimborso delle spese di viaggio, vitto, alloggio e di segreteria. Trattandosi di figure già impegnate come sindaco o consigliere regionale, c’è da chiedersi come potranno conciliare gli impegni in Senato e quelli sul territorio. 

9 - NON È VERO CHE LA RIFORMA SEMPLIFICHERÀ I RAPPORTI CON LE REGIONI 

Il contenzioso sviluppatosi fra Stato e Regioni all’indomani della riforma del 2001, in questi 15 anni è stato in gran parte superato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. La riforma riaprirà lo scontro, generando altro caos. L’utilizzo di espressioni generiche come «lo Stato ha legislazione esclusiva circa le disposizioni generali e comuni» su governo del territorio, scuola, università, politiche sociali, tutela della salute ecc., creerà nuovi conflitti e paralisi decisionale. 

10 - NON È VERO CHE LA RIFORMA ATTRIBUISCE AL SENATO FUNZIONI SPECIFICHE E BEN DELIMITATE 

L’articolo 55 comma 4 si limita a disporre che «il Senato della Repubblica... esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica», senza fornire alcuna indicazione in merito all’attuazione del principio. Quale può essere l’effettivo contenuto delle prescritte «funzioni di raccordo»? Quali saranno le modalità per esercitarle? L’attuale sistema delle Conferenze Stato-Regioni deve ritenersi superato? Approssimazione e superficialità possono avere pericolose conseguenze. Soprattutto nell’ambito dei rapporti interistituzionali dove, quando i confini delle attribuzioni e dei compiti risultano incerti, si sviluppano facilmente prassi inattese e tutt’altro che efficienti. 

11 - NON È VERO CHE LA RIFORMA SCONGIURA POSSIBILI CONFLITTI ISTITUZIONALI FRA CAMERA E SENATO 

Per risolvere problemi relativi ad esempio alla scelta del procedimento legislativo bicamerale o monocamerale, l’articolo 70 comma 6 si affida a decisioni prese d’intesa fra i presidenti delle Camere «secondo le norme dei rispettivi regolamenti». Ma cosa succede se i presidenti non troveranno l’intesa? Cosa potranno stabilire al riguardo i regolamenti? E quale sarà l’organo deputato a dirimere in via definitiva il conflitto di competenza fra Camera e Senato? 

12 - NON È VERO CHE LA RIFORMA RIDURRÀ GLI SPRECHI 

Il centralismo ha sempre ottenuto l’effetto opposto. Fra 1999 e 2015 la diminuzione di personale è stata consistente in Regioni, Province e Comuni. Non altrettanto nell’Amministrazione centrale. Una ricerca di Unimpresa segnala che negli ultimi due anni il debito di Regioni e Comuni è calato di 15 miliardi. Quello dello Stato è cresciuto di 100 miliardi... 

13 - NON È VERO CHE LA RIFORMA RAFFORZERÀ LA PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI 

Le firme per presentare disegni di legge di iniziativa popolare, salgono da 50.000 a 150.000. E i parlamentari potranno ancora cambiare partito senza mollare la poltrona. Circa i referendum propositivi e di indirizzo (affinché gli italiani non debbano in particolare continuare a inchinarsi alle scelte dell’Unione Europea senza mai potersi esprimere), la riforma rinvia tutto a una futura legge costituzionale. Un’autentica presa in giro! Per non parlare delle clausole che subordinano l’Italia all’Ue.

giovedì 24 novembre 2016

VINCENZO DE LUCA | 'o parassita della clientela


Alla "commedia napoletana", in ogni sua accezione, positiva o negariva che sia, si deve l'aver proposto nei decenni, accanto a formidabili attori e commediografi, anche personaggi la cui limpidezza è paragonabile alla peggio fogna di Calcutta.

Uno di questi, ribalzato alle cronache in questi giorni per l'augurio di morte a Rosy Bindi, è tal De Luca Vincenzo da Salerno.
Già sindaco di quella città e oggi Presidente della Regione Campania. Un personaggio che avrebbe certamente ispirato Antonio De Curtis per qualche film oppure Eduardo De Filippo per una sua commedia.
Autorevole rappresentante del Partito Democratico.

Un vero, nonché verace, politicante espressione della migliore "elite" del mezzogiorno italico abituata a sguazzare tra clientele, favori in cambio di voti, sprechi, ecc, ecc...
Esemplificativo in tal senso quanto riportato da un articolo del Corriere della Sera da cui ho estratto le parti più succose che riporto di seguito.

La definizione migliore per certi soggetti l'aveva fantasticamente coniata il compiato Gianfranco Miglio che li apostrofava con un semplice, ma efficace, "PARASSITA".
Parassita nei confronti di chi lo potete facilmente immaginare...
«Qui non ci sono giornalisti e possiamo finalmente parlare tra di noi...». Comincia così Vincenzo De Luca.
È martedì 15 ed in un albergo a due passi dalla stazione centrale di Napoli, il governatore arringa più di duecento amministratori. Obiettivo: fare vincere il Sì al referendum. Come? E questo è il punto. In venticinque minuti inneggia tra il divertito e il compiaciuto al clientelismo, parla di fondi pubblici ricevuti e da distribuire, invita i sindaci in sala a preoccuparsi nei prossimi giorni solo ed esclusivamente del referendum, mette a disposizione uomini del suo staff istituzionale. E come se non bastasse, chiede una rendicontazione scrupolosa di quel che si farà, ammette di averla sparata grossa, cioè di «aver fatto demagogia», quando alla presenza di Matteo Renzi ha chiesto duecentomila nuove assunzioni negli uffici pubblici meridionali.

Il senso di tutto il discorso è chiaro. «Vi piace Renzi non vi piace Renzi a me non me ne fotte un c...», dice De Luca. Quel che importa — la vera ossessione — è il risultato referendario. Leggere la sintesi dell’intervento di De Luca ai sindaci, pubblicata da Fabrizio d’Esposito su Il Fatto Quotidiano, però non basta. Bisogna ascoltare l’audio, sul sito dello stesso giornale, per coglierne la portata vera, il machiavellismo ridotto ai minimi termini, la dimensione pragmatica della politica elevata a sistema.  


«Abbiamo fatto — dice — una chiacchierata con Renzi. Gli abbiamo chiesto 270 milioni di euro per Bagnoli e ce li ha dati. Altri 50 e ce li ha dati. Mezzo miliardo per la Terra dei fuochi e ha detto sì. Abbiamo promesse di finanziamenti per Caserta, Pompei, Ercolano e Paestum. Sono arrivati fiumi di soldi: 2 miliardi e 700 milioni per il Patto per la Campania, altri 308 per Napoli...Che dobbiamo chiedere di più?». Poi spiega che una sconfitta al referendum potrebbe compromettere questa fruttuosa interlocuzione con il governo. 

Quindi suggerisce la strategia. «Dobbiamo parlare con i nostri riferimenti. Il mondo delle imprese. Gli studi professionali: utilizzeremo i fondi europei per finanziarli, non l’abbiamo mai fatto in Campania. Il comparto della sanità: questa non è la Toscana, qui il 25% è dei privati, migliaia di persone. Io credo, per come ci siamo comportati, che possiamo permetterci di chiedere a ognuno di loro di fare una riunione con i propri dipendenti e di portarli a votare».

Infine, ecco l’esempio da seguire. È Franco Alfieri, sindaco di Agropoli, non candidato dal Pd alle regionali perché «impresentabile», poi promosso a consulente della Regione con delega all’agricoltura e alla pesca. De Luca lo introduce col tono del presentatore TV, tra gli applausi del pubblico: «Prendiamo lui, notoriamente clientelare. Come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela organizzata, scientifica, razionale come Cristo comanda. Ah, che cosa bella!».

Il compito di Alfieri sarà «di portare a votare la metà dei suoi concittadini, 4 mila persone su 8 mila». E così lo esorta: «Franco, vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come c... vuoi tu! Ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso».

lunedì 21 novembre 2016

Heysel | in memoriam

Ed anche l'ennesima trasferta in terra belga è passata, una due giorni tra amici vecchi e nuovi, grandi birre e un calcio vissuto con passione.

Sono ormai dieci anni che seguo, non solo a Bruxelles ma in giro per il Belgio, l'Union Saint Gilloise, tante partite con ogni sorta di risultato e tutte quelle casalinghe viste dagli spalti dello Stade Marien, la casa Unionista.

Tutte sino a ieri sera. In questa stagione, per via di regolamenti che definire ridicoli è il minimo, l'Union si è dovuta cercare una nuova casa.

La scelta è caduta su uno stadio molto grande, ristrutturato per i campionati europei del duemila, cui è stato dato un nuovo nome, quello di un Re molto amato.

Altre volte lo avevo visto, ma solo da fuori, e sabato sera per la prima volta ci sono entrato.
Non è stato come entrare in altri stadi che ho visitato negli anni passati.
Dalla tribuna, quella centrale dove si ritrovano i tifosi di casa lo si vede bene, è proprio accanto, vuoto come la gran
parte di tutti gli altri settori dello stadio, forse per altri vuoto ma non per me.

Ogni volta che giravo lo sguardo erano altre le immagini che vedevo, immagini sgranate come trasmesse da un vecchio televisore, uno dei primi a colori.
Ma i colori che vedevo era pochi.
Il bianco, il nero, il rosso e il verde di un campo di calcio dove non correvano calciatori ma si riversavano persone.


Guardavo e ricordavo.
Ricordavo un ragazzino di nove anni seduto davanti ad un televisore che non capiva cosa stesse accadendo.
Ricordavo quel ragazzino che, voltandosi, vedeva il proprio padre seduto in poltrona fermo a fissare quella scatola senza dire nulla.


Ricordavo e pensavo...
Quel ragazzino ero io, lo stadio l'Heysel, il settore quello "zeta".

giovedì 3 novembre 2016

Spesa pubblica locale, risparmi per 23 miliardi con gli standard della Lombardia


Secondo una ricerca dell'Ufficio Studi Confcommercio, i servizi pubblici locali in Italia potrebbero costare poco più di 102 miliardi di euro contro gli attuali 174, il 13% in meno. Regioni a statuto speciale "regine" della spesa, Lombardia la più virtuosa.
"La riduzione delle inefficienze e degli sprechi nelle Amministrazioni pubbliche è la condizione necessaria, sebbene non sufficiente, per intraprendere un percorso di graduale, sicura e generalizzata riduzione del carico fiscale su famiglie e imprese".
E' la conclusione contenuta nel Rapporto dell'Ufficio Studi Confcommercio "La spesa pubblica locale", presentato nell'ambito del convegno "Meno tasse meno spesa, binomio della ripresa" svoltosi a Roma presso la sede nazionale della Confederazione.

Dallo studio emerge chiaramente come sia di vitale importanza per il nostro Paese riportare la spesa pubblica sotto controllo, agendo con più incisività attraverso la spending review. E, per una volta tanto, non si parte da zero, visto che negli ultimi anni alcuni progressi sono stati fatti, anche se ancora sufficienti. Come nel caso della spesa per consumi finali, che tra il 2012 e il 2014 si è ridotta di quasi 1,4 miliardi scendendo dal 19,6% al 19,5% in rapporto al Pil. Anche se, nello stesso periodo, le uscite complessive delle Amministrazioni pubbliche sono cresciute di poco più di 6 miliardi, passando dal 50,8% al 51,1% in termini di incidenza sul Pil. Se si sposta il dettaglio sulla spesa delle Regioni, si scopre che quella con la minore spesa pro capite in assoluto (2.963 euro) è la Puglia, seguita dalla Lombardia (2.579 euro) e dalla Campania (2.676 euro).

La spesa massima è appannaggio della Val d'Aosta (6.943 euro), che precede Trentino Alto Adige e Sardegna. Si tratta di un quadro piuttosto eterogeneo, in cui le Regioni a statuto speciale spendono ben più delle altre: mediamente 3.814 euro, cioè il 28,7% sopra la media nazionale e il 36% in più rispetto alle Regioni a statuto ordinario (2.812 euro). Interessante anche il fatto che le tre Regioni a statuto ordinario più piccole, Umbria, Molise e Basilicata, presentano una spesa media (3.137 euro) del 5,8% superiore alla media e in ogni caso emerge che la spesa locale è in qualche misura soggetta a economie di scala: maggiore è la popolazione servita, minore è il costo pro capite.

In totale la spesa pubblica gestita localmente è pari a 176,4 miliardi di euro: secondo l'Ufficio Studi Confcommercio ai livelli attuali dei servizi pubblici si potrebbero risparmiare più di 74 miliardi di euro, pari al 42% del totale nazionale. In altre parole, ai prezzi della Lombardia (la Regione benchmark per il calcolo degli sprechi perché presenta livelli di servizio superiori a tutte le altre Regioni) i servizi pubblici locali in Italia potrebbero costare 102,3 miliardi di euro. Tolto il 70% che andrebbe reinvestito nel miglioramento dell'output pubblico resterebbero quasi 23 miliardi di euro di potenziali risparmi netti, pari al 13% della spesa attuale. Quasi la metà potrebbe provenire dalle Regioni a statuto speciale, nelle quali risiede solo il 15,2% dei cittadini, mentre nelle regioni più grandi si potrebbero risparmiare circa 4,2 miliardi di euro.