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domenica 18 gennaio 2015

IDEE & RIFLESSIONI | Il buonismo che ci acceca

Carenze culturali e politiche sono retoriche supplenze di identità ambigue

di Piero Ostellino
Il miserevole spettacolo che l’Italia politica e giornalistica sta dando sulla strage di Parigi e il suo seguito è figlio allo stesso tempo — salvo minoritarie e lodevoli eccezioni — di carenza culturale e di stupidità politica. Entrambe sono la retorica supplenza della nostra identità ambigua e compromissoria. Perciò, in nome della convivenza con l’Islam, auspichiamo di fondare un nuovo Illuminismo, non sapendo palesemente che ce n’è già stato uno sul quale abbiamo fondato la nostra civilisation, mentre sono loro che non lo hanno ancora fatto e che dovrebbero farlo.
Ci si è lamentati che le forze dell’ordine francesi non fossero riuscite a catturare rapidamente i due lombrosiani criminali artefici della strage parigina. Ignoriamo, o fingiamo di ignorare, che ciò era dovuto al fatto che il cosiddetto estremismo islamico naviga nel mare delle collusioni e delle complicità con l’islamismo che chiamiamo ostinatamente moderato. Che moderato non è e che si è profondamente radicato nel continente con l’immigrazione. È stupefacente che a non capirlo sia proprio quella stessa sinistra che, da noi, aveva felicemente contribuito a isolare il terrorismo delle Brigate rosse prendendo realisticamente atto che esso navigava nel mare delle complicità antiliberali e anticapitalistiche generate dal «lessico familiare» comunista. L’ignoranza che, da noi, circonda il caso francese rivela l’incapacità culturale, non solo della sinistra, di capire che cosa è stata, in Occidente, l’uscita dal Medioevo, la separazione della politica dalla religione, la cancellazione del dominio della fede religiosa sulla politica e la nascita dello Stato moderno; incapacità di capire che si accompagna a quella di prendere atto, per converso, che l’Islamismo è ancora immerso nel Medioevo ed è soprattutto incapace di uscirne.
Le patetiche invocazioni al dialogo, alla reciproca comprensione che si elevano da ogni chiacchierata televisiva, da ogni articolo di giornale, sono figlie di un buonismo retorico, politicamente corretto, incapace di guardare alla «realtà effettuale» con onestà intellettuale. Non stiamo dando prova neppure approssimativa di essere gli eredi di Machiavelli, bensì, all’opposto, riveliamo di essere i velleitari nipotini di Brancaleone da Norcia, lo strampalato protagonista di una saga cinematografica. Il miserevole spettacolo che diamo è anche la conseguenza dell’insipienza culturale di una sinistra che — perduto il rapporto organico con l’Unione sovietica, spazzata via dalle «dure repliche della storia» — non sa, o non vuole, darsi una identità. La nostra insipienza politica è generata dall’incultura. Non abbiamo perso l’occasione, anche questa volta, di mostrare d’essere un Paese da Terzo Mondo al quale, come non bastasse, un Papa pauperista detta la linea fra l’ottuso entusiasmo di fedeli che mostrano di credere ben poco nel messaggio di Cristo e molto più di essere i sudditi di una gerarchia che assomiglia a una corporazione o a un partito. Avevo definito l’Islam, in un precedente articolo, una teocrazia, aggiungendo che qualsiasi tentativo, da parte nostra, di trovare con esso una qualche forma di conciliazione si sarebbe rivelato, a causa della contraddizione logica e storica, illusorio.
Che piaccia o no al buonismo, siamo diversi. È inutile nascondersi dietro il dito di un universalismo di facciata che non regge alla prova della logica e della storia. Siamo anche migliori, avendo noi conosciuto, e praticato da alcuni secoli — a differenza di loro che sono, e vogliono restare, una teocrazia — la separazione della religione dalla politica. Pur con tutti i nostri limiti, pratichiamo l’insegnamento dell’Illuminismo e siamo entrati da tempo nella Modernità, mentre loro ne sono ancora fuori e non danno neppure segno di volerci entrare. Viviamo in regimi che praticano la tolleranza nei confronti di chi non la pensa allo stesso nostro modo o professa una religione diversa dalla nostra; siamo società che, per dirla con Isaiah Berlin, professano e rispettano la «pluralità di valori». Chi non la pensa come noi, non è considerato e trattato come un nemico. Loro ci considerano «infedeli» rispetto alle loro convinzioni e alla loro prassi; un nemico da sterminare come hanno fatto nei confronti della redazione del settimanale satirico parigino il cui torto era di aver fatto dell’ironia sul loro credo. Per noi, gli islamici sono gente che la pensa in un modo diverso. Da figlio del Cristianesimo e del liberalismo mi chiedo come si possano uccidere uomini e donne in nome del proprio dio.
Il criminale che torna sui suoi passi per finire un agente ferito e a terra è una bestia, con tutto il rispetto per gli animali. Le nostre reciproche culture sono inconciliabili ed è persino ridicolo auspicare che ci si possa incontrare almeno a metà strada. Dovremo convivere, sapendo che ci vorrebbero colonizzare e dominare attraverso quel «cavallo di Troia» che è l’immigrazione e che noi stessi incoraggiamo. Lo ripeto. Non siamo noi che dobbiamo riscoprire le nostre radici. Sono loro che devono rinunciare alle loro. Sempre che vogliano convivere pacificamente. Cosa di cui dubito.
tratto da www.corriere.it del 10 gennaio 2015

Chi è Piero Ostellino (da wikipedia)

Laureato in Scienze politiche presso l'Università di Torino, si è specializzato in sistemi politici dei paesi comunisti. Ha fondato nel 1963 il Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi di Torino e, nel 1964, la rivista “Biblioteca della Libertà” che ha diretto fino al 1970. Del Centro Einaudi è ora presidente onorario. Ha diretto dal 1990 al 1995 l’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) di Milano ed è stato membro del comitato scientifico dell’Università della Carolina del Nord. È autore di numerosi saggi di carattere storico e politico.

Dal 1967 scrive sul Corriere della Sera, giornale del quale è stato corrispondente da Mosca dal 1973 al 1978 e da Pechino nel 1979 e 1980, inviato speciale, nonché direttore dal 1984 al 1987. Attualmente ne è editorialista e titolare della rubrica settimanale “Il dubbio”.

martedì 13 gennaio 2015

IDEE & RIFLESSIONI | Vogliono uccidere la nostra anima

Gli autori dell’attacco al «Charlie Hebdo» non sono pazzi criminali, li muove un’ideologia politica. Più l’Occidente si autocensura, più diventeranno audaci

di Ayaan Hirsi Ali
Dopo la carneficina di mercoledì, forse l’Occidente metterà finalmente da parte le tante scuse artificiose impiegate finora per negare ogni nesso tra violenza e Islam radicale.

Questo non è stato un attacco sferrato da uno squilibrato, da un lupo solitario. Non è stata un’aggressione per mano di delinquenti qualunque. Era stata programmata per fare più morti possibile, durante una riunione di redazione, con armi automatiche e un piano di fuga. Gli assassini volevano seminare il terrore, e ci sono riusciti. Ma di cosa ci sorprendiamo? Se c’è una lezione da imparare, è che tutto ciò che noi crediamo dell’Islam non ha alcun peso. Questo tipo di violenza, la jihad, rappresenta quello in cui credono gli islamisti. Il Corano è disseminato di appelli alla jihad violenta, ma non solo. In troppa parte dell’Islam, la jihad si è evoluta in un’ideologia moderna. La «bibbia» del jihadista del ventesimo secolo è «Il concetto coranico della guerra», scritto dal generale pakistano S.K. Malik.

Nella sua analisi l’anima umana - e non il campo di battaglia fisico - rappresenta il centro dove portare il conflitto. E il modo migliore di colpire l’anima è attraverso il terrore, «il punto in cui il mezzo e il fine si ricongiungono». Ogni volta che giustifichiamo la loro violenza in nome della religione, ci pieghiamo alle loro richieste. Nell'Islam, è un grave peccato rappresentare o denigrare il profeta Maometto. I musulmani sono liberi di crederci, ma perché devono imporlo ad altri? L’Islam, con i suoi 1.400 anni di storia e un miliardo e mezzo di fedeli, dovrebbe riuscire a tollerare qualche vignetta. L’Occidente deve costringere i musulmani, specie quelli della diaspora, a rispondere a questa domanda: che cosa è più offensivo per un credente, l’uccisione, la tortura, la schiavitù, la lotta armata e gli attacchi terroristici in nome di Maometto, o la produzione di disegni, film e libri che si fanno beffe degli estremisti e della loro visione di ciò che Maometto rappresenta?
Per rispondere a Malik, la nostra anima in Occidente crede nella libertà di coscienza e parola. Sono le libertà che formano l’anima della nostra civiltà. Ed è proprio in questo che gli islamisti ci hanno attaccato. Tutto dipende da come reagiremo. Se ci convinciamo di combattere contro un manipolo di pazzi criminali, non saremo in grado di fornire risposte. Dobbiamo riconoscere che gli islamisti di oggi sono motivati da un’ideologia politica, radicata nella dottrina fondante dell’Islam. Sarebbe un notevole cambiamento di rotta per l’Occidente, che troppo spesso ha reagito alla violenza jihadista con tentativi di conciliazione. Cerchiamo di blandire i capi di governo islamici che premono per costringerci a censurare stampa, università, libri di storia, programmi scolastici. Loro alzano la voce, e noi obbediamo. In cambio cosa otteniamo? I kalashnikov nel cuore di Parigi. Più ci sforziamo di attenuare, placare, conciliare, più ci autocensuriamo, più il nemico si fa audace ed esigente.

C’è una sola risposta a questo vergognoso attacco jihadista contro Charlie Hebdo : l’obbligo di media e leader occidentali, religiosi e laici, di proteggere i diritti elementari di libertà di espressione, che sia la satira o altro. L’Occidente non deve più inchinarsi, non deve più tacere. Dobbiamo inviare ai terroristi un messaggio univoco: la vostra violenza non riuscirà a distruggere la nostra anima.
tratto da www.corriere.it del 9 gennaio 2015

Chi è Ayaan Hirsi Ali (da wikipedia)

è una politica e scrittrice somala naturalizzata olandese, nota soprattutto per il suo impegno in favore dei diritti umani e in particolare dei diritti delle donne all'interno della tradizione Islamica.

Figlia del signore della guerra somalo Hirsi Magan Isse, ha vissuto in Somalia, Etiopia, Kenya e Arabia Saudita. A cinque anni fu sottoposta ad infibulazione. Nel gennaio 1992 il padre conosce in moschea un giovane somalo (residente in Canada e tornato in patria per procurarsi una donna da sposare) e in un'ora decide di dargli in moglie Ayaan che aveva 22 anni. La ragazza rifiuta, ma le nozze si combinano ugualmente. Il marito appartiene al clan Osman Moussa, uno tra i più in vista nella società somala. Dopo le nozze organizza il viaggio in aereo alla volta del Canada, per la giovane moglie. Giunta in Germania per uno scalo intermedio, Ayaan decide di scappare. Prende un treno per i Paesi Bassi e chiede asilo politico come rifugiata. Motivo: essere stata costretta ad un matrimonio combinato che l'ha privata della libertà. Per non essere rintracciata dalla famiglia, sceglie di non usare più il suo vero cognome, Magan, ed opta per Ali (il nome originario del nonno).

Ottiene lo status A, il migliore, che comprende il diritto di rimanere in Olanda per tutta la vita e di richiedere la cittadinanza dopo cinque anni. Ayaan si iscrive all'Università e consegue la laurea in Scienze politiche. Un giorno dell'estate del 2001 guardando il telegiornale apprende che in una scuola alcuni insegnanti gay sono stati molestati da allievi musulmani. Il servizio mostra anche un imam che li difende: secondo lui l'omosessualità è una malattia contagiosa in grado di infettare gli studenti. Di getto scrive una lettera e la indirizza ad uno dei quotidiani più letti in Olanda, NRC Handelsblad. Nella lettera sostiene che quell'atteggiamento non appartiene a un solo imam, ma è molto diffuso nel mondo islamico e spiega che l'islam è una religione che non accetta la libertà individuale, fino a giustificare i soprusi contro le donne e contro i diversi.

Quel gesto istintivo segna l'inizio del suo impegno politico. Nel 2002 diventa famosa nel paese attraverso alcune apparizioni televisive dove esprime con nettezza il suo pensiero critico sull'islam. I suoi interventi destano scalpore presso la comunità musulmana perché per la prima volta a criticare l'islam è una di loro e, per giunta, una donna. In ottobre di quell'anno cade il governo e il paese è chiamato alle elezioni anticipate. Neelie Kroes, importante esponente del partito liberale "Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia" (VVD), chiede a Hirsi Ali se vuole candidarsi nella sua lista. Ayaan accetta, viene collocata al numero 16 (in Olanda si vota su liste bloccate), che le dà la sicurezza di essere eletta. Decide che la sua missione sarà inserire il problema delle donne musulmane nell'agenda politica del suo Paese d'adozione.

A tutti quelli che glielo chiedevano, rivelava apertamente che al suo arrivo in Olanda si era firmata con un cognome diverso dal suo e non aveva detto tutta la verità sui motivi che l'avevano portata a lasciare il suo paese d'origine. La cosa però non crea scandalo e Hirsi Ali viene eletta il 22 gennaio 2003 al parlamento olandese. Nel 2004 scrive la sceneggiatura del film cortometraggio "Sottomissione" (Submission), in cui si denunciano gli abusi che subiscono le donne nel mondo islamico. Il 2 novembre dello stesso anno il regista del film Theo van Gogh viene assassinato. Da allora Hirsi Ali vive protetta da una scorta armata. In poco tempo diventa una persona scomoda. Per i suoi vicini di casa è una persona troppo ingombrante: notano che la sua abitazione è perennemente sorvegliata da una scorta armata. Si rivolgono al tribunale affinché dia ordine alla Hirsi Ali di cambiare domicilio. Nel 2006 la Corte d'appello di L'Aia, con una sentenza senza precedenti, dà ragione ai vicini di casa della scrittrice, intimandole di cambiare quartiere.

Capito il vento che tira, Ayaan Hirsi Ali si dimette da deputata e lascia volontariamente l'Olanda, per trasferirsi negli Stati Uniti, a Washington. Ritorna nei Paesi Bassi, anche se solo per brevi periodi, ma nell'ottobre del 2007 il governo olandese decide che le scorte armate debbano essere riservate ai cittadini residenti nel territorio nazionale, facendole capire che se rientra in patria lo fa a suo rischio e pericolo. Immediatamente la vicina Danimarca le ha offerto protezione, sulla base di un programma volto a sostenere gli scrittori minacciati di morte dai terroristi islamici. La scrittrice ha ringraziato ma ha affermato di voler rimanere negli Stati Uniti. Oggi lavora nell'American Enterprise Institute, un importante centro studi.

venerdì 4 novembre 2011

CHARIA HEBDO | tolleranza islamica...

Per questa copertina la sede della redazione del settimanale satirico francese "CHARLIE HEBDO" è stata distrutta da un incendio, causato dal lancio di una bomba molotov.
Traduzione: "100 colpi di frusta,
se non  morite dal ridere".
Io sostengo Charlie Herdo e la stampa libera.