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venerdì 10 giugno 2016

San Pantaleone, Patrono di Crema

Ricorre oggi, 10 giugno, la festa per il Santo Patrono della Città di Crema, San Pantaleone.

Pantaleone, o anche Pantaleo
(in greco: Παντελεήμων, Panteleimon; Nicomedia, … – Nicomedia, 27 luglio 305), è stato un santo greco antico.

Secondo la Passio era un cristiano, medico personale del cesare Galerio, che subì il martirio durante le persecuzioni di Diocleziano: patrono dei medici (insieme ai santi Cosma e Damiano) e delle ostetriche, è venerato come santo da numerose Chiese cristiane ed è considerato uno dei quattordici santi ausiliatori (viene invocato contro le infermità di consunzione).

Secondo la tradizione agiografica, era figlio del pagano Eustorgio, uomo molto ricco di Nicomedia, e di Eubula, che lo educò al cristianesimo: successivamente, si era allontanato dalla religione ed aveva studiato medicina, arrivando a diventare medico di Galerio.

Ritornò al cristianesimo grazie al prete Ermolao e, alla morte di suo padre, entrò in possesso di una grande fortuna: spinti dall’invidia, alcuni colleghi lo denunciarono all’imperatore durante la persecuzione di Diocleziano. L’imperatore avrebbe voluto risparmiarlo e cercò di persuaderlo ad abiurare. Pantaleone, però, confessò apertamente la sua fede e, per mostrare di essere nel giusto, risanò un paralitico: ciò nonostante, egli fu dapprima condannato al rogo, ma le fiamme si spensero, poi ad essere immerso nel piombo fuso, ma il piombo si raffreddò miracolosamente; a questo punto Pantaleone fu gettato in mare con una pietra legata al collo, ma il masso prese a galleggiare; venne condannato ad feras, ma le belve che avrebbero dovuto sbranarlo si misero a fargli le feste; fu poi legato ad una ruota, ma le corde si spezzarono e la ruota andò in frantumi. Si tentò anche di decapitarlo, ma la spada si piegò e gli aguzzini si convertirono. Pantaleone pregò Dio di perdonarli, motivo per il quale egli ricevette pure il nome di Panteleemon (in lingua greca, colui che di tutti ha compassione).

Infine, quando egli diede il suo consenso, gli fu tagliata la testa.

Culto

Benché le notizie sulla sua vita siano palesemente favolose e ricavate da scritti molto tardi, la storicità di Pantaleone sembra essere dimostrata dalla diffusione e dall’antichità della sua venerazione, già attestata, tra gli altri, da Teodoreto di Cirro (Graecarum affectionum curatio, Sermo VIII, De martyribus), Procopio di Cesarea (De aedificiis Justiniani I, IX; V, IX) e dal Martirologio geronimiano (Acta Sanctorum, November, II, 1, 97).

Il Martirologio romano fissa per la memoria di san Pantaleone la data del 27 luglio.

Pantaleone è oggetto di venerazione in Oriente, dove viene chiamato “il grande martire” ed è invocato come taumaturgo. Sul monte Athos, Grecia, il monastero della comunità russa, uno dei venti ancora oggi esistenti sulla santa montagna, è a lui dedicato (monastero di San Panteleimon).

Reliquie


Reliquie del santo si trovano nella basilica di Saint-Denis a Parigi e altre nella città di Porto in Portogallo. La reliquia del braccio di san Pantaleone è conservata nella chiesa di “San Pantalon” (così è chiamato dai veneziani san Pantaleone) a Venezia; la sua testa è conservata a Lione; altre sue reliquie sono nella cripta della chiesa dei Santi Giovanni e Reparata a Lucca. Un’urna è conservata presso un bellissimo santuario a lui dedicato a Borgo, frazione di Montoro Inferiore, completamente restaurato nel 2013. Il suo sangue (raccolto, secondo la tradizione risalente al XII secolo, da Adamantio, testimone del martirio) era originariamente conservato in un’unica e grande ampolla, custodita nella chiesa a lui dedicata (oggi monumento ai caduti) a Ravello. In seguito quest’ampolla, con l’unione di questa ed altre due chiese in quella agostiniana, fu traslata nel duomo, e i vescovi di Ravello incominciarono a donarne piccole quantità ad altre comunità: perciò in seguito l’ampolla è stata chiusa tra due grate di ferro, murate. Così nacquero le ampolle (molto più piccole) custodite a Costantinopoli, Montauro, Martignano, Caiazzo, nella chiesa del Santissimo Salvatore all'Immacolata di Irsina e nel monasterio de la Encarnación di Madrid.

L’ampolla conservata nel duomo di Ravello presenta il fenomeno dell’annuale liquefazione del sangue, che avviene nel mese di luglio o in occasione di miracoli ottenuti dal santo. È conservata nella cappella dedicata al santo, realizzata nel 1643 dal vescovo Bernardino Panicola, che ne fece la traslazione con una solenne processione per la città. Lo stesso fenomeno si verifica anche nelle ampolle custodite a Limbadi (VV), Montauro, Vallo della Lucania e nel monasterio de la Encarnación a Madrid, inoltre una piccola parte di sangue è conservata in un’ampolla custodita nella chiesa di San Tomaso a Padova,qui il sangue è sempre liquido e di colore rosso.

Nella chiesa del Purgatorio a Lanciano si conservano, secondo la tradizione, la spada che troncò la testa del santo, il carrello dentato con cui venne martoriato il corpo, la fiaccola con cui gli vennero bruciate le ferite e un tronco di ulivo che germogliò a contatto con il suo corpo.


articolo che ho scritto per www.terredilombardia.info

domenica 12 luglio 2015

#LOMBARDIA | il suo grande patrimonio #Unesco

La Lombardia è ‪‎arte, ‪‎storia,‬ ‪‎cultura,‬ ‪‎tradizioni,‬ ‪‎identità ed anche ‪‎modernità, perché chi guarda solo al passato non potrà mai vincere le battaglie di domani e tutelare veramente l'eredità dei nostri padri.

domenica 15 febbraio 2009

1159, NOI NON DIMENTICHIAMO!

Ecco perché chiunque si dica vero cremasco
non può amare che la sua città!

NOVEMBRE 1158: Dopo un periodo di disordini che lo tennero impegnato a lungo in Italia, Federico detto “il barbarossa” convocò a Roncaglia una dieta alla quale parteciparono principi, vescovi, consoli e insigni giuristi provenienti da Bologna. L’imperatore puntava al riconoscimento, anche sul piano giuridico, dei diritti accampati dall’impero sui territori del nord Italia, e ci riuscì. Divenne così il sovrano di contee, marchesati e ducati nonché supremo magistrato e quindi amministratore della giustizia. Lui solo poteva innalzare mura, battere moneta e imporre tasse.

Seppur votate all’unanimità le decisioni prese a Roncaglia furono di difficile applicazione e anzi suscitarono violente opposizioni. Piacenza, che vi si oppose, ebbe accorciate le mura e riempiti i fossati. Crema aveva invece cacciato i legati imperiali…

7 LUGLIO 1159: undicimila marchi. Questo fu il prezzo che i cremonesi, i più fedeli servitori dell’impero tra tutte le città italiane, offrirono a Federico affinché assalisse e distruggesse Crema.Le milizie cremonesi furono presto raggiunte sotto le mura cremasche dalle truppe imperiali cui si aggiunsero poi l’esercito di Enrico “il leone”. Crema poteva contare sull’aiuto di 400 fanti Milanesi comandati dal console Manfredi Dugnano. Iniziava un assedio che si sarebbe protratto per ben otto mesi e che avrebbe mostrato tutto il valore della città.

L’assedio di Crema è sicuramente da annoverare tra quelli più famosi che ricordi la storia sia per l’eroismo dei difensori che per la crudeltà dimostrata dall’imperatore.

Giorno dopo giorno la città era bersagliata da una pioggia di massi scagliati da macchine appositamente costruite e doveva resistere a vari tentativi d’assalto delle truppe imperiali. I cremaschi non cedevano e anzi sotto la guida dell’architetto Marchisio controbattevano colpo su colpo usando altri macchinari da lui diretti. Di tanto in tanto poi alcune audaci sortite facevano registrare perdite tra le fila degli invasori. Mese dopo mese l’irritazione del Barbarossa si faceva evidente, fino a sfociare in un atto di spregevole bassezza che non potrà mai togliere la parola disonore dalla sua figura. Fece costruire dai suoi alleati cremonesi, una gigantesca torre di legno cui legò sul davanti numerosi ostaggi Cremaschi e Milanesi. Egli era convinto che i difensori non avrebbero mai osato colpire i propri concittadini facendo così arrivare l’enorme macchina a contatto con le mura dando il via alla presa della città.
Si sbagliava…

Non appena fu chiara ai cremaschi la situazione, un senso di angoscia li prese e cadde il silenzio. Ad un tratto una voce si levò: era quella di un cremasco che aveva riconosciuto fra gli ostaggi i suoi figli:

“Fortunati coloro che muoiono per la patria e per la libertà. Non temete la morte, che può renderci liberi. Se voi foste giunti alla nostra età non l’avreste voi disprezzata come facciamo noi”.

Uccidere padri, figli e fratelli divenne il tragico passaparola sulle mura. Partirono nugoli di frecce e pietre tra le maledizioni lanciate nei confronti dell’imperatore il cui piano fallì. La torre infatti fu sul punto di sfasciarsi e venne ritirata. La vendetta cremasca non si fece attendere: i prigionieri tedeschi, cremonesi e pavesi furono trascinati sulle mura e impiccati. La risposta del Barbarossa fu la forca per altri nove cremaschi.Nel frattempo i milanesi cercavano di alleggerire l’assedio di Crema impegnando gli imperiali sul lago di Como e stringendo alleanza con i piacentini, anch’essi messi al bando.

IL TRADIMENTO: a far pendere la bilancia della vittoria dalla parte dell’imperatore e dei suoi servi fu il cruciale tradimento di Marchisio che, allettato dall’oro offerto da Federico, privò i cremaschi di una personalità importante e anzi permise agli imperiali di scardinare i sistemi difensivi che egli ben conosceva.Vennero costruite alcune torri molto alte sulla cui cima stavano appostati i balestrieri con il compito di coprire soldati scelti ed ausiliari intenti nel distendere lunghi pali attraverso i quali sarebbero potuti arrivati alle mura. La difesa degli assediati fu veramente drammatica. Dopo una giornata di scontri violentissimi i cremaschi si ritirarono nella cinta interna della città per difendersi ulteriormente.La situazione era gravissima e la resa sembrava l’unica strada da intraprendere. Venne richiesto l’intervento del Patriarca Pellegrino di Aquileia affinché col suo potere ottenesse una resa accettabile.

25 GENNAIO 1160: ventimila cremaschi abbandonarono la città successivamente invasa dall’esercito imperiale il quale la saccheggiò e la incendiò.

I cremonesi si accanirono sulle briciole gioendo per la rovina della nemica Crema dimostrando quale fosse l’odio che teneva divise le due comunità.

Otto mesi erano passati dall’inizio dell’assedio. Otto mesi in cui una comunità dimostrò tutto il suo valore, la sua tenacia, il suo essere esclusivamente e inequivocabilmente “unica”, non assimilabile a qualsivoglia vicino (per primo i cremonesi). Così come venne abbattuta, col tempo Crema rinacque e la sua gente non smise mai di riconoscersi in lei. Così era allora, così è adesso e così sarà per sempre!

Urgugliùs da ès Kremàsch!