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martedì 10 agosto 2021

MEMORIA | 20 ANNI SENZA GIANFRANCO


Post di introduzione alla giornata dedicata al Professore da Terre di Lombardia
Era il 10 di agosto del 2001, era un venerdì d'estate, uno di quei giorni nei quali il pensiero correva al fine settimana incombente ed al ferragosto cui mancavano pochi giorni. Era un giorno dal quale sono trascorsi ormai vent'anni.

Venti anni senza Gianfranco Miglio.
Venti lunghi anni nei quali le sue parole, i suoi scritti, il suo pensiero non hanno mai lasciato le menti ed i cuori di chi lo ha conosciuto, chi l'ha ascoltato, chi l'ha letto.
Venti anni dopo Terre di Lombardia lo ricorderà per tutta la giornata proponendovi articoli vecchi e nuovi, citazioni, e ricordi.

Il nostro modo per RICORDARTI!
Il nostro modo per RINGRAZIARTI!
Il nostro modo per DIRTI, CI MANCHI!

venerdì 17 luglio 2020

#NEVERendum // 1.000 giorni senza risposta


Mille sono i giorni che saranno trascorsi il prossimo 18 luglio da una data molto familiare ai cittadini lombardi, vale a dire quel 22 ottobre del 2017 nel quale si svolse, in contemporanea col Veneto, il Referendum per l’Autonomia della nostra regione. Consultazione che ebbe un grande successo, nonché un plebiscito, per la richiesta di conferimento di maggiore autonomia alla Lombardia.

Per ricordare tale evento, e la mai sopita volontà autonomista dei lombardi, proprio sabato 18, con inizio alle 15:30, l’Assemblea Nazionale Lombarda ha organizzato una manifestazione davanti a Palazzo Lombardia a Milano.
Un evento cui ha aderito anche Terre di Lombardia, associazione culturale che avrò il piacere di rappresentare.

Terre di Lombardia resta un’associazione culturale. Ciononostante il tema dell’Autonomia Lombarda resta l’elemento maggiormente distintivo della battaglia per l’affermazione dei principi di libertà e di identità del nostro territorio.

Lo Abbiamo fatto Per tutto il periodo che ha preceduto il referendum e a maggiore lo faremo il prossimo sabato 18 luglio aderendo all'iniziativa che celebra i 1000 giorni trascorsi da quella Consultazione senza che la stessa abbia prodotto risultati istituzionali concreti.

Lo faremo senza vessilli e simboli di partito, ma da cittadini che amano la Lombardia e che sognano l’autonomia della stessa.

Terre di Lombardia continua il suo cammino a fianco del Popolo Lombardo.”


Così il Presidente Gianni Fava

lunedì 16 marzo 2020

CORONAVIRUS | Caro Nord, non dimenticare!


Articolo per "La Voce del Nord"

“Ieri notte due pazienti affetti da COVID19, in gravi condizioni, sono stati trasferiti con aereo militare da Bergamo, dove i posti in terapia intensiva sono finiti, all’ospedale civico di Palermo, che ha prontamente risposto alla richiesta di aiuto arrivata dalla Lombardia. Atto di solidarietà non dovuto e non scontato, considerata la scarsa disponibilità di strutture e posti letto dovuta al fatto che persone e denari si sono mosse sempre in direzione opposta.
Non sono bastati decenni di insulti, di disparità, di sanità regionalizzata (con conseguente enorme spostamento di risorse e di persone da sud a nord) a scalfire l’animo solidale che noi siciliani abbiamo sempre avuto e custodiamo gelosamente.”
Inizia così un delirante post sulla pagina, da 180.000 follower, di tale Ignazio Corrao, esponente siciliano del Movimento 5 Stelle, appaerso sabato 14 marzo alle ore 19.24 (se volete tafazzarvi gli zebedei andate a cercarlo ma non dite che non vi ho avvisato…).
Ma tornando al suddetto, nonché al suo sproloquio, appare del tutto superfluo ricordare come ogni anno in Lombardia arrivano dalle altre regioni ben 40.000 persone per ricevere quelle cure mediche impossibili da ottenere nelle stutture delle regioni di origine per via dell’atavica incapacità delle classi dirigenti di organizzare degnamente la sanità. Dalla Sicilia del Corrao ogni anno sono costrette a cercare altrove cure adeguate 15.000 persone.
Superfluo poi ricordare come i costi sostenuti per assicurare tali cure gravano ogni anno sui bilanci della sanità della Lombardia, e non solo, senza che siano prontamente rimborsati dalle regioni di origine dei malati. Tanto per ricordare al Corrao un numero il “credito” vantato dal Pirellone ammonta a 800.000.000 di euro!?!
Ancor più superfluo per chi ha l’ardire di scrivere scemenze come di un “enorme spostamento di risorse e di persone da sud a nord” poter comprendere un concetto e due numeri. Il concetto è quello di Residuo Fiscale e i numeri sono +54.000.000.000 è quello vantato dalla Lombardia (il più alto in Italia) mentre ammonta a -10.000.000.000 quello della Sicilia (la regione che riceve di più in assoluto).
Superfluo ricordare al Corrao come la solidarietà dimostrata dai lombardi ogni anno avviene nel silenzio e nel rispetto, non certo nel piagnisteo e dell’arroganza di persone come il predetto, fulgido esempio di quella che dovrebbe essere, ma purtroppo non lo è, la nuova classe dirigente che dovrebbe “riscattare” il meridione italiano.
Per nulla superfluo invece il dovere, una volta terminata l’emergenza legata al coronavirus, per la Lombardia e per tutto il Nord, di non dimenticare.
Non dimenticare di difendere l’autonomia sanitaria, grazie alla quale abbiamo costruito un sistema in grado di affrontare l’emergenza, dalle pulsioni centralizzatrici che vorrebbero riportarla nella palude dell’inefficienza romana.
Non dimenticare quanti come il Corrao non mancano di “chiagnere e fottere” in ogni occasione, anche nelle emergenze.
Non dimenticare che ogni anno 54.000.000.000 di euro delle proprie tasse, dalla sola Lombardia, finiscono, senza mia più tornare indietro, nelle casse di uno stato capace di spedire carta igienica al posto di mascherine sanitarie.
Non dimenticare, mai!

lunedì 11 novembre 2019

SPAGNA | Dalle elezioni più forte la contrapposizione tra autonomia e centralismo.


Articolo per "La Voce del Nord"

Nella giornata di ieri, come avrete già letto suo giornali e ascoltato nei notiziari di radio e tv, si sono svolte le elezioni politiche in Spagna, le ennesime consultazioni il cui esito ha generato un parlamento senza una chiara maggioranza.

Da un lato il Partito Socialista ha confermato il 28% delle precedenti consultazioni, i Popolari hanno recuperato terreno superando quota 20% mentre a uscire ridimensionate sono state le due formazioni che avevano caratterizzato con la loro novità il panorama politico spagnolo degli ultimi anni, vale a dire Podemos e Ciudadanos.

Ad uscire rafforzata è stata la destra estrema di Vox, partito guidato da Santiago Abascal, che ha raggiunto il 15% proponendo un programma nel quale chiede un ritorno ad una costituzione che cancelli le autonomie regionali per centralizzare tutto il potere a Madrid.

Gli osservatori sono concordi nel dire che Vox deve molto del suo successo allo «strappo» della Catalogna e la richiesta di indipendenza da parte della Generalitat di Barcellona. Abascal definì il referendum indipendentista « un colpo di stato» e una ferita all’unità della Nazione.

In Catalogna il primo partito è la Sinistra repubblicana, il cui leader Oriol Junqueras è in galera; risalgono gli indipendentisti duri di Junts per Catalunya di Carles Poudjemont. Con gli autonomisti delle Canarie e della Cantabria, si affacciano in Parlamento pure il Blocco galiziano e la lista che ricorda: «Teruel existe!».

Risultati questi ultimi che visti in combinazione con quelli di Vox, che in Galizia e Paesi Baschi non eleggono nessun deputato e sono ai margini in Catalogna, mostrano come una nuova contrapposizione sia emersa dalle urne. Da un lato i popoli oggi rinchiusi nello stato spagnolo che chiedono autodeterminazione, autonomia, libertà e indipendenza e dall’altro la reazione di coloro che da sempre negano libertà e diritti nel nome di un centralismo visto come strumento per proseguire nel controllo delle risorse e ricchezze che galiziani, baschi e catalani producono ogni anno. Con ogni evidenza il concetto di residuo fiscale non è prerogativa esclusivamente lombarda e veneta.

venerdì 19 luglio 2019

POLITICA | L’autonomia “secondo il PD” non è vera autonomia.


Col seguente articolo inizia la mia collaborazione con "La Voce del Nord", buona lettura.

Sul sito www.huffingtonpost.it  è apparso in articolo dal titolo molto chiaro “L’autonomia secondo il PD”, un testo che in poche righe esprime il pensiero del partito oggi di Zingaretti e ieri di Renzi (cui si deve la riforma costituzionale, poi bocciata dal referendum, che restringeva di molto le autonomie n.d.r.) su un tema molto sentito in particolare da lombardi e veneti.

Cosa si evince dallo scritto? Semplicemente che l’autonomia secondo il PD non è la vera autonomia chiesta dai 5.000.000 di elettori che hanno votato a favore dei referendum del 22 ottobre 2017. In particolare gli estensori del testo già dalle prime righe vanno già al nocciolo della questione affermando che: “Le suggestioni leghiste di istituire nuove Regioni a statuto speciale o di trattenere sui territori i cosiddetti residui fiscali hanno avvelenato il confronto di questi mesi, rendendo impossibile qualsiasi concreto passo in avanti.”

In altre parole, la cassa non si tocca e deve gestirla sempre Roma, come è esplicitato nel passaggio che ribadisce come: “Per quanto riguarda l’attribuzione di risorse, riteniamo sia da escludere decisamente qualsiasi ipotesi fondata sul criterio della spesa media procapite – che finirebbe per accentuare i divari territoriali già esistenti – mentre riteniamo necessario individuare, oltre al criterio della “spesa storica”, meccanismi che consentano a tutte le regioni di beneficiare, secondo un principio di solidarietà, di una parte dei vantaggi (anche di carattere finanziario) del recupero di efficienza connessi all’autonomia.”

Un modo come un altro per dire al Nord “taci e paga!” e se risparmi denaro mantenendo buono i livelli dei servizi ai tuoi cittadini quei risparmi dovranno finire a chi non è capace nemmeno di svuotare i cassonetti della propria “monnezza” (ogni riferimento alle perenni crisi dei rifiuti di Roma, Napoli e Palermo è assolutamente voluto…).

Per il resto il testo prosegue con le solite formule tanto care ad una certa sinistra che di evolversi verso modelli di “progressismo” come quelli catalano e scozzese non ne vuole sentire, basta leggere le prime righe dove si afferma che: “Proponiamo un modello di autonomia giusta, che rispetti i principi di solidarietà su cui si fonda la Repubblica, “una e indivisibile”, e che miri al miglioramento e all’efficienza dei servizi nell’intero Paese.”

Delle ataviche inefficienze, degli sprechi, degli sperperi, delle clientele, dell’assistenzialismo, eccetera, eccetera, che attanagliano le regioni meridionali, nonché delle possibili soluzioni di cui necessitano veramente i cittadini onesti del sud nessuna traccia. Peccato, ennesima occasione sprecata.

venerdì 15 febbraio 2019

AUTONOMIA | MAI MULÀ, TÈGN DǗR!


Ordunque il fatidico giorno è arrivato, quel 15 di febbraio posto come scadenza per la presentazione delle proposte del Governo a fronte delle richieste di autonomia di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

Un parto lungo, e alquanto faticoso, sul cui esito non mi esprimo non avendo ancora letto nel dettaglio le singole proposte, ed in particolare quella dedicata alla Lombardia.

Una cosa appare però certa, a fronte di una sempre costante negli anni richiesta, da parte in particolare di lombardi e veneti (iniziata col voto favorevole al referendum del 2006 e confermata in quelli dell'ottobre 2017), di poter gestire maggiori competenze con le relative risorse, specialmente in queste ultime settimane abbiamo assistito al "festival del parassitismo" nel quale, per bocca di doversi loro esponenti (la Carfagna per FI, Zingaretti e De Luca per il PD, nonché buoni ultimi i gruppi parlamentari del M5S), le forze contrarie al progresso e fautrici del mantenimento in essere di un sistema fallito, hanno intasato i social ed i mezzi d'informazione del solito "peana" sulla cattiveria ed egoismo di noi lombardi e veneti, "colpevoli" di voler vedere le cospicue tasse che paghiamo ogni anno restare maggiormente nelle nostre terre per essere spese meglio di quanto faccia oggi lo stato itagliano...

La strada sarà ancora molto lunga, ma una cosa è certa...
MAI MULÁ, TEGN DÜR!

mercoledì 6 febbraio 2019

Carlo Cattaneo | il mio ricordo nel 150° anniversario dalla scomparsa di un grande di Lombardia.


CARLO CATTANEO, storico, economista e uomo politico, (Milano, 15 giugno 1801 – Castagnola, Lugano, 6 febbraio 1869).

Partecipò alle Cinque giornate di Milano; repubblicano e federalista, dovette però cedere il campo ai moderati filo-piemontesi e nel 1848 si ritirò a Parigi e quindi in Svizzera. Eletto nel 1860 deputato, non entrò mai alla Camera per non prestare il giuramento monarchico. Fu consigliere di G. Garibaldi, sperando di affermare il principio federale. Prevalso il partito dell’annessione, ritornò in Svizzera. Nel 1867 accettò di nuovo la candidatura a deputato, sempre tenendosi lontano dai lavori parlamentari. C. diede al positivismo italiano un carattere prettamente sociale. L’attenzione, nei suoi scritti, al legame tra Europa e moto italiano e al significato politico delle vicende del ‘48, rende la sua opera un capitolo molto importante della storiografia sul Risorgimento.

VITA


Alunno di G. D. Romagnosi, laureatosi in diritto a Pavia nel 1824, si dette all'attività pubblicistica; assiduo collaboratore degli Annali universali di statistica (dal 1833 al 1838), si occupò di ferrovie, bonifiche, dazi, commerci, agricoltura, finanze, opere pubbliche, geografia, letteratura, linguistica, storia e filosofia. Nel 1839 iniziò quel “repertorio mensile di studî applicati alla cultura e prosperità sociale”, cui altri diede il nome di Politecnico e che durò fino al 1844. In quest’anno pubblicò le Notizie naturali e civili su la Lombardia. Estraneo alle sette e alle congiure, venne in sospetto all'Austria soprattutto per la sua attività di studioso; nel gennaio 1848, infatti, fu proposto per la deportazione, sospesa per ordine del viceré. Attraverso la ricerca scientifica il C. proponeva un vasto programma di riforme politiche, inteso ad assicurare gradualmente al Lombardo-Veneto l’indipendenza nell'ambito di una federazione di popoli soggetti all'Austria, primo passo verso una federazione indipendente del popolo italiano (programma allargatosi, nel sett. 1848, a quello degli “Stati Uniti d’Europa”). Durante le Cinque giornate di Milano fu a capo del Consiglio di guerra, iniziando così la fase della sua politica attiva; fu parentesi assai breve: repubblicano e federalista, dovette cedere il campo ai moderati filo-piemontesi e nell'agosto si ritirò a Parigi (ove, sempre nel 1848, pubblicò L’insurrection de Milan, tradotta in italiano e ampliata l’anno successivo), poi in Svizzera, a Castagnola, ove restò fino al 1859, insegnando filosofia al liceo cantonale di Lugano. Ritornato a Milano il 25 ag. 1859, fece risorgere il Politecnico; eletto nel 1860 deputato, non entrò mai alla Camera per non prestare il giuramento monarchico. Dal settembre fu a Napoli consigliere di Garibaldi, sperando di affermare il principio federale. Prevalso il partito dell’annessione, ritornò a Castagnola e nel 1861 e nel 1865 rifiutò la candidatura per l’elezione a deputato che nel 1867 invece accettò pur non prendendo parte ai lavori parlamentari per non prestare giuramento.

PENSIERO E OPERE

Scolaro e continuatore di G. D. Romagnosi, il C. iniziò il positivismo italiano, con un carattere prettamente sociale, rifacendosi soprattutto a C.-H. de Saint-Simon. Psicologo più che filosofo, nella Psicologia delle menti associate (1859-66), rimasta allo stato di frammenti, cercò di realizzare un’interpretazione sociale dello sviluppo psicologico dell’individuo. Nelle scienze penali precorse i moderni concetti di responsabilità. Nella linguistica, le sue osservazioni sul fenomeno del “sostrato” furono riprese e sviluppate da G. I. Ascoli; notevoli, inoltre, le critiche mosse alle teorie delle migrazioni dei “popoli” indoeuropei, formulate dalla prima linguistica romantica (critiche confermate dall'ulteriore sviluppo della linguistica indoeuropea). L’aver sottolineato il legame tra Europa e moto italiano, l’aver affrontato vigorosamente, sia pure in forma ovviamente polemica nei confronti dell’incerta e ambigua politica sabauda, il significato politico delle vicende del ’48, fanno dell’opera di C. un momento molto importante della storiografia sul Risorgimento. D’altra parte, il suo federalismo, imperniato sul tema dell’autogoverno, garanzia e fonte di dignità, di civiltà, di libertà concreta, “filo ideale” per comprendere la storia d’Italia (La città considerata come principio ideale delle istorie italiane, 1858), continuò a esercitare un notevole influsso nelle discussioni postunitarie (e oltre) sul decentramento e le autonomie locali.

IL PENSIERO FEDERALISTA

Cattaneo viene ricordato per le sue idee federaliste impostate su un forte pensiero liberale e laico: dopo il 1860 acquisterà prospettive ideali vicine al nascente movimento operaio-socialista. All'alba dell’Unificazione italiana, Cattaneo era fautore di un sistema politico basato su una confederazione di stati italiani sullo stile della Svizzera; avendo stretto amicizia di vecchia data con politici ticinesi come Stefano Franscini, aveva ammirato nei suoi viaggi l’organizzazione e lo sviluppo economico della Svizzera interna che imputava proprio a questa forma di governo.

Cattaneo è più pragmatico del romantico Giuseppe Mazzini, è un figlio dell’illuminismo, più legato a Pietro Verri che a Rousseau, e in lui è forte la fede nella ragione che si mette al servizio di una vasta opera di rinnovamento della società. Pur essendogli state dedicate numerose logge massoniche e un monumento realizzato a Milano dal massone Ettore Ferrari, una sua lettera a Gian Luigi Bozzoni del 7 agosto 1867, consente di escludere la sua appartenenza alla massoneria, per sua esplicita dichiarazione, sovente in quel periodo tenuta segreta e negata.

Per Cattaneo scienza e giustizia devono guidare il progresso della società, tramite esse l’uomo ha compreso l’assoluto valore della libertà di pensiero; il progresso umano non deve essere individuale ma collettivo, attraverso un continuo confronto con gli altri.
La partecipazione alla vita della società è un fattore fondamentale nella formazione dell’individuo: il progresso può avvenire solo attraverso il confronto collettivo. Il progresso non deve avvenire per forza, e, se avviene, avverrà compatibilmente con i tempi: sono gli uomini che scandiscono le tappe del progresso.

Cattaneo nega l’idea di contratto sociale, gli uomini si sono associati per istinto: “la società è un fatto naturale, primitivo, necessario, permanente, universale…”; è sempre esistito un “federalismo delle intelligenze umane”: è sorto perché è un elemento necessario delle menti individuali.
Pur riconoscendo il valore della singola intelligenza, afferma però, che più scambio e confronto ci sono, più la singola intelligenza diventa tollerante; in questo modo anche la società sarà più tollerante: i sistemi cognitivi dell’individuo devono essere sempre aperti, bisogna essere sempre pronti ad analizzare nuove verità.

Così come le menti si devono federare, lo stesso devono fare gli stati europei che hanno interessi di fondo comuni; attraverso il federalismo i popoli possono gestire meglio la loro partecipazione alla cosa pubblica: “il popolo deve tenere le mani sulla propria libertà”, il popolo non deve delegare la propria libertà ad un popolo lontano dalle proprie esigenze.
La libertà economica è fondamentale per Cattaneo, è la prosecuzione della libertà di fare: “la libertà è una pianta dalle molte radici” e nessuna di queste radici va tagliata sennò la pianta muore. La libertà economica necessita di uguaglianza di condizioni, le disparità ci saranno ma solo dopo che tutti avranno avuto la possibilità di confrontarsi.

Cattaneo fu un deciso repubblicano e una volta eletto addirittura rinunciò ad entrare in parlamento rifiutandosi di giurare dinanzi all'autorità del Re.
Oggi Cattaneo viene richiamato quale iniziatore della corrente di pensiero federalista in Italia.
Nel 1839 fondò il periodico Il Politecnico, rivista che divenne un punto di riferimento degli intellettuali lombardi, avente come intento principale l’aggiornamento tecnico e scientifico della cultura nazionale.

Guardando all'esempio degli Stati Uniti d’America (presidenzialista) e della Svizzera cantonale (improntata alla democrazia diretta), definì il federalismo come “teorica della libertà” in grado di coniugare indipendenza e pace, libertà e unità. Cattaneo scrisse a riguardo: “Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d’Europa”. Cattaneo e Mazzini videro negli Stati Uniti d’America e nella Svizzera i due unici esempi di vera attuazione dell’ideale repubblicano.

Federalista repubblicano laico di orientamento radicale-anticlericale, fra i padri del Risorgimento, era alieno dall'impegno politico diretto, e puntava piuttosto alla trasformazione culturale della società. La rivista Il Politecnico fu per lui il vero Parlamento alternativo a quello dei Savoia.
In accordo con il Tuveri redattore del Corriere di Sardegna, Cattaneo intervenne in merito alla questione sarda in chiave autonomistica locale.
In tal senso, denunciò l’incapacità ed incuranza del governo centrale nel trovare una nuova destinazione d’uso al mezzo milione di ettari (più di un quinto della superficie dell’isola) che avevano costituito i soppressi demani feudali, sui quali le popolazioni locali esercitavano il diritto di ademprivio, per usi civici.

sabato 8 dicembre 2018

Festa di a Nazione | Festa della Nazione


Auguri a tutti gli amici di Corsica nella giornata della loro festa nazionale.

La Festa di a Nazione (in italiano Festa della Nazione) è una festa che viene celebrata in tutta la Corsica dal 1735.

Due assemblee generali della Corsica svoltesi nel 1735 e una terza avvenuta nel 1761 proclamarono l'Immacolata Concezione patrona dell'isola e la giornata dell'8 dicembre, festività della patrona festa nazionale.

Il 30 gennaio 1735 la Consulta d'Orezza presieduta da Luigi Giafferi di Talasani, Giacinto Paoli di Morosaglia e da Andrea Ceccaldi di Vescovato riunita in un paese della Castagniccia e voluta da Pasquale Paoli fece entrare in vigore la Costituzione della Corsica, di tipo repubblicano scritta dall'avvocato Sebastiano Costa che proclamò l'8 dicembre "Festa Nazionale" della Corsica sotto la protezione dell'Immacolata Concezione.

Nonostante la fine della Corsica indipendente l'evento è festeggiato dagli indipendentisti corsi e celebrato particolarmente a Morosaglia, paese natale di Pasquale Paoli, a Ponte Nuovo e Borgo, teatro di due battaglie contro i francesi, e a Corte, capitale indipendentista dell'isola sotto Pasquale Paoli.

martedì 4 dicembre 2018

Día Nacional de Andalucía | Festa Nazionale dell’Andalusia


A due giorni dalle elezioni nelle quali un partito (Vox n.d.r.), che ha scritto nel suo programma “...l’assoluta contrarietà ai separatismi (catalano e basco in testa) e il desiderio di riportare maggiore potere al governo centrale smantellando il sistema delle autonomie istituito nel 1978 in Spagna...”, è entrato per la prima volta nel parlamento andaluso, la ricorrenza di oggi assume un significato ancor più importante per tutti gli autonomisti, i federalisti e indipendentisti di ogni terra e nazione.

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// Día Nacional de Andalucía //
// Festa Nazionale dell’Andalusia //


Il 4 dicembre è il giorno dell'anno in cui partiti e organizzazioni del nazionalismo andaluso rivendicano come la festa nazionale dell'Andalusia.

Questa data è stata scelta perché le manifestazioni svolte il 4 dicembre 1977 a favore dell'autonomia dell'Andalusia sono considerate dal nazionalismo come un atto di coscienza nazionale. Durante quel giorno circa due milioni di andalusi scesero nelle strade delle principali città dell'Andalusia, facendo a pezzi, il mito che in Andalusia non si avvertiva alcuna differenziazione o volontà per reclamare le istituzioni di autogoverno. Quel giorno fu ricordato anche il 4 dicembre 1868, quando il popolo di Cadice prese le armi per rivendicare la Repubblica Federale.

In questa data si commemora anche l'omicidio del lavoratore Manuel José García Caparrós per mano della polizia durante la manifestazione autonomista di Malaga.

mercoledì 28 novembre 2018

AUTONOMIA | Lezzi: le richieste di Lombardia e Veneto non saranno strumento per favorire il Nord

Che il “cosiddetto” contratto fosse alquanto lacunoso sul tema dell’autonomia l’ho scritto non appena è stato firmato, ma devo a malincuore ammettere che al peggio non c’è mai limite...

😡🤬😡


SUD, LEZZI: RICHIESTE AUTONOMIA REGIONI NON SARANNO STRUMENTO PER FAVORIRE NORD

Roma, 28 nov - "Le richieste di autonomia" economica regionale "previste nel contratto, non saranno uno strumento per favorire alcune Regioni piuttosto che altre. Il completamento dell'iter non comporterà un surplus fiscale trattenuto al Nord".


Lo ha dichiarato in aula alla Camera la ministra per il Sud Barbara Lezzi in risposta ad un'interrogazione sulla distribuzione delle risorse fra Nord, Centro e Sud, nel corso del question time.

"Quale autorità politica per la coesione - ha aggiunto - lavoro per misure omogenee in tutto il Paese e avrò modo di monitorare l'azione del Governo in modo da assicurare al Sud misure per colmare il gap con il Nord".

venerdì 2 novembre 2018

CATALUNYA | la repressione dei tribunali "franchisti", sotto un governo "socialista ", continua...


Nel mentre, in lungo e in largo per l'italica penisola, è un pullulare di allarmi sul rinascente "fassismo", nella democratica Spagna, retta da un governo socialista, la lunga mano del "FRANSCHISMO" continua nella sua opera di persecuzione e repressione delle libertà.
ANSA - MADRID - La Procura spagnola ha sollecitato una pena a 25 anni di carcere per il presidente di Esquerra Republicana de Catalunya (ErC), Oriol Junqueras, per la sfida culminata con la dichiarazione unilaterale di indipendenza catalana del 27 ottobre 2017, che include il reato di "ribellione". Dopo un anno di istruttoria, il Pubblico Ministero ha presentato oggi le richieste di condanne, che vanno da 25 anni per l'ex vicepresidente della Generalitat, Junqueras, a 16 anni di carcere per i cinque ex 'conseller' Jordi Turull, Raul Romeva, Joaquim Forn, Dolors Bassa e Josep Rull.
Per i leader di Omnium Cultural e dell'Assemblea Nazionale Catalana, Jordi Cuixart e Jordi Sanchez, la Procura chiede condanne a 17 anni di carcere - e 17 anni di interdizione dai pubblici uffici - così come per la ex presidente del Parlamento catalano Carme Forcadell. Sono tutti accusati di "ribellione", un reato punibile fino a 30 anni di reclusione. Per i tre ex 'conseller' attualmente a piede libero, Carles Mundó, Maritxell Borrás e Santiago Vila, le richieste scendono a 7 anni di carcere, essendo loro contestato solo il reato di malversazione.
Nell'argomentare le richieste di condanne, il Pubblico Ministero ritiene gli accusati responsabili di una strategia pianificata per ottenere l'indipendenza della Catalogna come nuovo Stato in forma di repubblica, separandola dalla Spagna, mediante un'azione combinata e sincronizzata su tre pilastri, parlamentare, esecutivo e sociale. "L'azione degli accusati - è detto nell'atto depositato dalla pubblica accusa - mirava a estromettere l'applicazione della legalità costituzionale e statutaria e a impedire l'esecuzione delle risoluzioni amministrative e giudiziarie dettate a suo sostegno, per raggiungere come obiettivo ultimo - con proprie leggi e una propria struttura di Stato - la dichiarazione di indipendenza di questa parte del territorio nazionale e obbligare lo Stato ad accettarne la separazione". Una finalità, osserva il Pubblico Ministero, "che sono stati sul punto di raggiungere con gli atti delittuosi eseguiti, ponendo così in grave pericolo l'ordine costituzionale".
Complessivamente sono 18 le persone rinviate a giudizio, delle quali 9 detenute da un anno in carcere preventivo. I leader indipendentisti andranno alla sbarra accusati anche di malversazione di fondi pubblici, per la celebrazione del referendum indipendentista indetto per il 1º ottobre 2017, dichiarato illegale dalla Giustizia spagnola. Nell'istruttoria dell'alto tribunale dell'Audiencia Nacional, la Procura sollecita 11 anni di carcere per l'ex maggiore dei Mossos d'Esquadra, Josep Lluis Trapero, a sua volta accusato di un presunto reato di ribellione.
Le richieste della pubblica accusa giungono in contemporanea alla decisione dell'Avvocatura dello Stato, dipendente dal ministero di Giustizia e parte lesa, di contestare ai leader indipendentisti solo i reati di sedizione, che prevede pene fino a 15 anni di carcere, e malversazione di fondi pubblici, e non di ribellione. Un diverso orientamento che i partiti all'opposizione, il Partido Popular e Ciudadanos, attribuiscono a "opportunismo politico" del governo socialista minoritario del premier Pedro Sanchez. In dichiarazioni ai media, il presidente del Pp, Pablo Casado, ha accusato Sanchez di "concedere un indulto ai golpisti" e di pagare un prezzo in cambio del decisivo voto sulla Finanziaria dei partiti indipendentisti. E' previsto che il processo cominci a metà gennaio, per arrivare in primavera alla fase dibattimentale, anche se le sentenze non saranno emesse fino a giugno, perché il tribunale non vuole interferire con le elezioni municipali ed europee previste per maggio 2019, informano fonti giuridiche citate dai media.

domenica 2 settembre 2018

L’AUTONOMIA ORMAI E’ VICINA, MA PER BOICOTTARLA LE INVENTANO TUTTE


Articolo di Stefano Bruno Galli, pubblicato su Libero di oggi, nel quale replica alla petizione contro l'autonomia di Lombardia e Veneto lanciata da Gianfranco Viesti.

Nel 1950 – vale a dire due anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana e vent'anni prima della nascita delle Regioni a statuto ordinario – Gianfranco Miglio scriveva Dobbiamo mantenere, per amor di simmetria, gli stessi controlli tutori e le medesime bardature burocratiche sulla Lombardia e sulla Basilicata? Oppure dobbiamo applicare all'amministrazione pubblica gli stessi criteri pratici che si adottano anche nella più umile azienda privata, ove il collaboratore inesperto viene strettamente controllato e quello capace lasciato invece libero della propria iniziativa? Dobbiamo considerarci una specie di convoglio, costretto per l’eternità a camminare alla velocità ridotta della nave meno efficiente, oppure dobbiamo consentire alle regioni più progredite di sviluppare le proprie capacità e le proprie risorse di iniziativa, nell'interesse evidente dell’intera comunità nazionale?

Con la lucidità e l’incisività che gli erano proprie, il professore lariano metteva a fuoco – e con larghissimo anticipo rispetto alla riforma costituzionale del 2001 – l’essenza del regionalismo differenziato. Non parliamo – per carità, ma anche per amore di verità e di rigore teorico . di “federalismo” né di “secessione”, come fanno, assai impropriamente, i quaranta studiosi chiamati a raccolta dal professor Gianfranco Viesti, che hanno promosso la petizione 
No alla secessione dei ricchi. Una petizione che, sull'onda della più becera demagogia anti autonomista, ha raccolto quasi quattromila adesioni. 

I RENDIMENTI

Le trattative intavolate da Lombardia e Veneto – a seguito dei referendum consultivi dello scorso 22 ottobre – e dall'Emilia Romagna, che si è lanciata sulla scia dell’azione delle prime due regioni, si collocano nell'alveo della più stretta e rigorosa lealtà costituzionale. Si tratta di un atto di grande responsabilità istituzionale, finalizzata a sfruttare l’opportunità offerta dall'articolo 116 – al terzo comma – della Costituzione. Deliberatamente ispirato al federo-regionalismo spagnolo, il regionalismo differenziato – costituzionalizzato con la riforma del 2001 – mira a riconoscere a ogni regione dei margini di autonomia coerenti con la sua fisionomia dal punto di vista economico e produttivo, fiscale e culturale. Anche perché il regionalismo ordinario dell’uniformità – praticato dal 1970 in qua – ha creato davvero dei danni molto gravi al paese. Con l’obiettivo di garantire eguali diritti e tutele a tutti i cittadini della Repubblica, ha fatto emergere con chiarezza i differenziali di rendimento istituzionale dei territori. Nel paesaggio del regionalismo italiano, infatti, sono sotto gli occhi di tutti quelle realtà che hanno fatto un uso virtuoso dell’autonomia politica e amministrativa, per quanto – sic stantibus rebus – assai limitata. Hanno incrementato la democrazia di prossimità, ampliando i diritti di welfare e la qualità dei servizi erogati a beneficio dei cittadini, utilizzando altresì le risorse secondo criteri di elevata produttività e alta redditività. E’ quindi giusto premiare queste realtà con maggiori margini di autonomia, nell'interesse esclusivo del Paese. Non v’è nulla di male, anzi.

NUOVE MATERIE

La Costituzione prevede che le regioni in pareggio di bilancio possano chiedere – nel negoziato con il governo – sino a 23 nuove materie: tre competenze esclusive dello Stato e tutte e venti le competenze concorrenti. Non c’è nessuna controindicazione se la Lombardia – regione che ha dato i natali a Carlo Cattaneo e Gianfranco Miglio, ma anche a Giuseppe Ferrari e pure a Gianni Brera – le chiede tutte e 23, con le relative risorse per gestirle. In questo modo sgrava lo Stato di alcune pesanti incombenze , nella prospettiva di erogare servizi – per il proprio territorio – con un minore costo e una maggiore qualità, come comprovato dalle principali agenzie internazionali di rating da parecchi anni in qua. Evitiamo – per piacere – di confondere le idee e di fare illusioni al residuo fiscale, che non è oggetto del negoziato. Non confondiamo le acque, come fanno – pretestuosamente – Viesti e i suoi amici. Non è una questione di orgoglio nordista versus orgoglio sudista. Se la mettiamo su queste basi, ancora una volta perdiamo una grande occasione. La trattativa intavolata da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, ha innescato infatti un vero e proprio effetto-domino, coinvolgendo altre regioni – anche del Sud – che vedono nel modello federo regionalista, fondato sul regionalismo differenziato, un’importante opportunità di sviluppo per il Paese, ricomponendo la sua unità su nuove basi, più aderenti alla sua fisionomia storica e culturale, economica , produttiva e fiscale. Con buona pace dei sottoscrittori della petizione lanciata dal professor Viesti.

sabato 1 settembre 2018

No alla "Secessione dei ricchi", dicono i PARASSITI...

“Il Veneto, la Lombardia e sulla loro scia altre undici Regioni si sono attivate per ottenere maggiori poteri e risorse. Su maggiori poteri alle Regioni si possono avere le opinioni più diverse. Ma nei giorni scorsi è stata formalizzata dal Veneto (e in misura più sfumata dalla Lombardia) una richiesta che non è estremo definire eversiva, secessionista.”
Questo il titolo e l’incipit di una petizione, dal titolo "NO ALLA SECESSIONE DEI RICCHI", che potete trovare su change.org, promossa da tale Gianfranco Viesti, che chiede tra l’altro:
“che nessun trasferimento di poteri e risorse a una Regione sia attivato finché non siano definiti i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (art. 117, lettera m della Costituzione); e che il trasferimento di risorse sulle materie assegnate alle Regioni sia ancorato esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza.”
Tradotto in linguaggio corrente i “parassiti”, come li definirebbe Gianfranco Miglio, non vogliono che la Lombardia ed il Veneto, sulla scorta dei referendum del 22 ottobre 2017, ottengano maggiore autonomia e mantengano a servizio dei propri cittadini una quota maggiore del residuo fiscale che ogni anno lombardi e veneti creano.
È quantomai evidente come lorsignori temano che possa finalmente “finire la pacchia” cit.

Un motivo in più per proseguire nella battaglia autonomista iniziata con il referendum promosso in Lombardia da Roberto Maroni e Gianni Fava, e poi proseguita con Attilio Fontana e Stefano Bruno Galli.

Dimenticavo...

Scorrendo l’elenco delle adesioni alla petizione il primo nome che compare è quello di tale Diego Fusaro, autoproclamato filosofo contemporaneo, alquanto e malauguratamente seguito da molti amici leghisti.
Per quanto mi riguarda ennesima conferma di quanto un idiota...

domenica 20 maggio 2018

CONTRATTO di GOVERNO | quella parola mancante...

In questo fine settimana è stato sottoposto a due diverse "votazioni" il cosiddetto "Contratto per il Governo del Cambiamento" per il via libera alla sua sottoscrizione da parte del Movimento 5 Stelle e la Lega Nord per l'Indipendenza della Padania (così si chiama ufficialmente il movimento di cui Matteo Salvini è Segretario Federale n.d.r.).

In molti, siano essi amici o semplici conoscenti, sapendo bene la mia militanza politica, mi hanno interpellato per un giudizio su testo.

Francamente ho risposto loro che di tutto il documento, che ho letto con attenzione e nel quale ho riscontrato molte parti facilmente sottoscrivibili, l'unica parte che ha raccolto la mia attenzione, ed in base alla quale esprimo un giudizio, è quella che ricade sotto il titolo "Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta", in particolare nel paragrafo che riporto di seguito:
Sotto il profilo del regionalismo, l’impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell'agenda di Governo l’attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte. Il riconoscimento delle ulteriori competenze dovrà essere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse. Alla maggiore autonomia dovrà infatti accompagnarsi una maggiore responsabilità sul territorio, in termini di equo soddisfacimento dei servizi a garanzia dei propri cittadini e in termini di efficienza ed efficacia dell’azione svolta. Questo percorso di rinnovamento dell’assetto istituzionale dovrà dare sempre più forza al regionalismo applicando, regione per regione, la logica della geometria variabile che tenga conto sia delle peculiarità e delle specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale, dando spazio alle energie positive ed alle spinte propulsive espresse dalle collettività locali.
Occorre garantire i trasferimenti necessari agli enti territoriali e una contestuale cessazione delle “politiche di tagli” compiute dagli ultimi Governi.
In altre parole il nascente governo si propone di rispondere positivamente alla richiesta di maggiore autonomia alla base dei referendum di Lombardia e Veneto, svoltisi il 22 ottobre scorso.
Secondo taluni si tratta di un grandissimo risultato, ma considerando che i partiti sottoscrittori del contratto sono gli stessi che i referendum li hanno promossi, e per i quali hanno invitato a votare a favore, l'introduzione nel documento di governo della loro attuazione non è altro che il "minimo sindacale" che ci si poteva aspettare.

Quello che invece manca totalmente è una visione che vada ad incrementare ancor più le autonomie e le libertà dei territori oltre al citato articolo 116.
Una parola in particolare non è mai citata nel documento, una parola che, dalla sua nascita nei primi anni ottanta del secolo scorso, è sempre stata il programma della Lega (Lombarda, Veneta, Nord, ecc...), una parola semplice che ogni leghista vero ha nel cuore: FEDERALISMO.
Una mancanza che pesa come un macigno sul giudizio finale verso il documento che ho manifestato con una croce sulla scheda che ho preso al gazebo sabato mattina. 
Croce che potete facilmente immaginare su quale parola, tra il Sì ed il No, ho apposto.

martedì 6 febbraio 2018

AUTONOMIA | Roberto Maroni: vedrò il presidente del Veneto Luca Zaia per posizione comune.


(LNews - Milano) "Venerdì sera ci è stata trasmessa una bozza di testo d'intesa fra Governo e Regione Lombardia per l'attuazione del sistema di autonomia in base all'articolo 116 della Costituzione. La stiamo valutando. Ci sono i punti che avevamo chiesto, ma servono alcune modifiche a partire da certe precisazioni sulla questione delle risorse". Ne ha dato notizia il presidente della Regione Lombardia durante la conferenza stampa dopo giunta.

ALCUNI CONTENUTI - Il governatore, ha anticipato alcuni aspetti dei contenuti del documento. "C'è - ha detto - la costituzione di una commissione paritetica Stato-Regione Lombardia che possa superare il sistema delle autorizzazioni previsto dai vari ministeri, Cipe, Mit, ecc. E' una novità assoluta, che avrà da una parte Palazzo Chigi nel suo insieme e dall'altro la nostra Regione. Si parla - ha proseguito - di un sistema di compartecipazione al gettito dei tributi erariali in Regione Lombardia, superando così quello dei trasferimenti; della spesa sostenuta dallo Stato nella Regione riguardo le funzioni trasferite o assegnate; dei fabbisogni o costi standard, che sono una nostra battaglia storia, un criterio che avevamo posto come condizione essenziale a tutta la trattativa. Ci sono infine alcune delle materie uscite dai tavoli tecnici, ma noi chiediamo tutte quelle di cui abbiamo discusso ai vertici di Bologna, Milano e Roma. Cioè, in totale, 14 materie".

INCONTRO CON GOVERNATORE VENETO - "Ho sentito, ha proseguito il presidente lombardo, il mio collega presidente della Regione Veneto, che incontrerò nei prossimi giorni, perché anche lui ha ricevuto la proposta e voglio stabilire una posizione comune fra Lombardia e Veneto, insieme naturalmente anche all'Emilia-Romagna".

GRANDE SODDISFAZIONE - "Sono molto soddisfatto - ha concluso il governatore - penso riusciremo a sottoscrivere questo accordo con l'attuale presidente del Consiglio dei ministri entro la fine del mese di febbraio, lasciando così al prossimo Governo nazionale e alla nuova Giunta regionale lombarda il compito di proseguire e concludere questo percorso. Ma qui intanto mettiamo un punto fermo, come dice l'articolo 1 del testo: 'principi generali, metodologia e materie per l'attribuzione alla Regione Lombardia di autonomia differenziata'. Questo vuol dire regionalismo differenziato, si apre davvero una pagina nuova, molto importante e utile, che favorisce il buon governo delle Regioni e delle autonomie locali".

giovedì 11 gennaio 2018

GIANFRANCO MIGLIO | IL CENTENARIO DALLA NASCITA


Nel centenario dalla nascita vi propongo uno scritto lontano nel tempo ma tremendamente attuale, buona lettura.

Ciò che attendiamo dagli Alleati e ciò che loro daremo

Articolo pubblicato su Il Cisalpino, n.1, del 27 aprile 1945.

L’insidia più pericolosa per l’idea federalista è il cosiddetto decentramento amministrativo regionale; più o meno esplicitamente promesso da alcuni partiti. Contro tale insidia mettiamo in guardia soprattutto gli amici del nostro movimento - e sono legione - militanti nella Democrazia Cristiana.

Il decentramento amministrativo regionale è un cavallo di battaglia piuttosto anzianotto, proveniente dalle scuderie del vecchio Partito Popolare, dove da puledro fece bella mostra di sé, senza peraltro riuscire mai a smuovere di una spanna il carro del regionalismo, affondato fino ai mozzi nella ghiaia del lealismo monarchico - e perciò unitario – che quel partito fu indotto ad ostentare per cancellare il ricordo del “non expedit”.

La regione è un’unità con sicuro fondamento nella storia e nelle tradizioni -sottolineano i regionalisti. Ma siffatta affermazione - almeno per la Valpadana - è un ritrito luogo comune, senz'alcun fondamento né storico, né geofisico, né economico. Rileggetevi a tal proposito le storie padane, o, se vi torna più comodo, rileggetevi le opportune voci dell’Enciclopedia Treccani: fonte non sospetta di federalismo. L’unica regione settentrionale che vanti un’unità multi secolare è la Liguria.

Essa sola ci appare configurata all’incirca com’è ora fin dai tempi danteschi (1300), quando la geografia non conosceva ancora né un Piemonte, né una Lombardia, né un’Emilia, né un Veneto, né una Venezia Giulia o Tridentina costituite in unità politiche od amministrative.

Cent’anni più tardi il “ducato” di Milano – ossia la Lombardia politica -comprende 25 “città” e si estende a tutto il Ticino svizzero, a circa un terzo dell’attuale Piemonte, a gran parte dell’Emilia, ad alcune provincie venete, mentre il Veneto veneziano è ancora limitato ad una striscia costiera. Il Piemonte si configura all'incirca come l’attuale regione solo con la pace di Aquisgrana (1748), la quale gli attribuisce però l’intera Lomellina e l’Oltrepo pavese, mentre dal medesimo trattato la Lombardia politica esce ridotta alle sole provincie di Varese, di Como, di Milano ed a porzioni delle provincie di Pavia, di Cremona e di Mantova.

La Venezia Tridentina è sempre limitata alla diocesi di Trento. Il Veneto politico invade largamente la Lombardia, alla quale sottrae Bergamo, Brescia e Crema, il territorio emiliano è ripartito fra tre diversi stati. Napoleone nel 1799 riduce il Veneto all'incirca entro i confini moderni, ma fonde la Lombardia, l’Emilia centrorientale e le Romagne nell'unità politica della Repubblica Cisalpina, mentre col successivo Regno Italico (1810) il Piemonte fino al Sesia, la Liguria, l’Oltrepo pavese, Piacenza e Parma vengono incorporati all'impero francese.

Dov’è dunque la vantata antichità che valorizzi storicamente le circoscrizioni regionali del Settentrione? In realtà la ripartizione dell’Italia nelle attuali 18 regioni venne proposta da Pietro Maestri - l’ostaggio delle cinque giornate - e fu accolta per la prima volta nelle pubblicazioni ufficiali del regno solo nel 1863: conta meno di un secolo: un’inezia per un popolo che vanta millenni di storia.

Noi siamo nettamente contrari al regionalismo “storico”. Esso segnerebbe un regresso nella nostra educazione politica perché riattizzerebbe fatalmente residui motivi campanilistici più di quanto riuscirebbe ad addestrare le nostre masse alle responsabilità dell’autogoverno, ossia alla vera democrazia.
Se noi ci fermassimo ai limitati spazi regionali, noi non potremmo rivendicare che una piccola frazione delle libertà e delle autonomie che ci occorrono per addestrare i cittadini di ciascun “Cantone” italiano al consapevole contemperamento delle aspirazioni di classe e, degli interessi locali con le necessità dell’intera Confederazione Italica e con le esigenze di una pacifica collaborazione internazionale.

Teniamo infatti a ben sottolineare che il nostro federalismo vuol essere tirocinio che prepari gli italiani al progressismo internazionalista. Il mondo marcia verso l’internazionale politica oltre che economica: se così non fosse anche la seconda guerra mondiale sarebbe un’inutile strage.
Urge pertanto di rieducare politicamente gli italiani con sana pedagogia democratica e con intenso addestramento elettorale, il che può ottenersi, meglio e più rapidamente che per ogni altra via, nel circuito di circoscrizioni cantonali che abbiano tanto contenuto politico-amministrativo da richiamare costantemente l’interesse diretto di larghe masse di cittadini.

Ma che cos'è dunque il “Cantone” per il quale si battono i federalisti cisalpini? E’ un razionale spazio geofisico, economicamente e demograficamente individuato e costituito di unità capace di fornire materia per una vita politico-amministrativa autonoma e fattiva, col minimo possibile di ciarpame burocratico. La Liguria, il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia e le Tre Venezie, ossia tutta l’Italia settentrionale nel suo insieme costituisce un’armonica unità geografica, economica, etnica e spirituale, ben degna di governare sé stessa: sarà il “Cantone Cisalpino”, con capitale in Milano, baricentro della Val Padana, sarà il cantone campione che rimorchierà l’Italia intera sull'erta del risorgimento nazionale.

E quali dovrebbero essere gli altri “Cantoni” d’Italia? Ligi al principio democratico i federalisti cisalpini rispetteranno la piena libertà dei fratelli peninsulari di ordinare i rispettivi cantoni nel modo che essi riterranno migliore. Non è tuttavia chi non veda come la Sicilia e la Sardegna abbiano dalla natura stessa, oltre che dalla storia, dall'indole della popolazione, dal proprio dialetto, dal propri interessi economici il diritto di costituirsi a “Cantone Siculo” e “Cantone Sardo”, rispettivamente con capitale a Palermo ed a Cagliari.

Con altrettanta evidenza Napoli – metropoli intellettuale e storica del Mezzogiorno - ha ben diritto di costituirsi a capitale d’un “Cantone” che difenda ed armonizzi ed acceleri la rinascita economica della Calabria, della Lucania, delle Puglie, della Campania, del Molise e fors’anche dell’Abruzzo.
Meno evidente è invece l’interesse delle regioni centrali a costituirsi in un unico cantone con capitale in Roma oppure con capitale in Firenze, lasciando l’Urbe retta a Territorio federale autonomo, o piuttosto in un “Cantone” Tosco-Umbro-Marchigiano - il cantone a schietta economia mezzadrile - gravitante su Firenze, ed in un “Cantone” Laziale gravitante su Roma. Ne devono giudicare le popolazioni interessate. L’Urbe - decongestionata dalla pletorica burocrazia che vi si annida e che vi si anniderebbe in qualsiasi Italia a struttura centralizzata – sarà sempre la sede naturale e necessaria dei Governo Federale, la Patria comune delle genti italiche.

Il nostro è un abbozzo. I cisalpini, che la comune fede democratica convoglia nel movimento federalista da diversi partiti politici - non intendono minimamente forzare i fratelli peninsulari e costituirsi in quattro piuttosto che in otto cantoni. La razionalità dei cantoni peninsulari emergerà dalla libera discussione e valutazione degli interessi locali e tale razionalità sarà la migliore garanzia dell’efficienza della futura vita politico-amministrativa dei Cantoni italici.

venerdì 22 dicembre 2017

CATALUNYA | vincono gli Indipendentisti e sparisce Rajoy


Ieri si è votato in Catalogna, alla fine di una delle campagne elettorali più eccezionali e imprevedibili degli ultimi anni in Europa. Le elezioni erano state convocate dal primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, dopo l’inizio di una grave crisi tra governo catalano e stato spagnolo: cioè dopo il referendum sull'indipendenza della Catalogna dell’1 ottobre e la successiva dichiarazione d’indipendenza approvata dal Parlamento catalano, entrambe giudicate illegali dal governo spagnolo. Il voto di ieri, nelle intenzioni di Rajoy, avrebbe dovuto disinnescare il progetto indipendentista, ma le cose sono andate diversamente.

Il blocco indipendentista – formato da Junts per Catalunya (JxCat), la lista dell’ex presidente Carles Puigdemont, Esquerra Republicana (ERC), la sinistra indipendentista dell’ex vicepresidente Oriol Junqueras, e la CUP, la sinistra radicale – ha ottenuto di nuovo la maggioranza parlamentare: 70 seggi, due in più di quelli necessari per controllare il Parlamento catalano.

La lista più votata del blocco indipendentista è stata quella dell’ex presidente Carles Puigdemont, che ha dichiarato: "In qualità di Presidente legittimo, mi complimento con i cittadini catalani per la partecipazione record. Il risultato non può essere messo in dubbio: la Repubblica Catalana ha battuto la monarchia del 155. Mariano Rajoy Brey ha perso, il Governo legittimo deve tornare a guidare il paese e tutti i prigionieri politici devono essere liberati. L'Europa deve prendere nota che la ricetta di Rajoy non funziona"

Primo partito Ciudadanos che, per bocca del suo leader nazionale Alberto Rivera, lascia trasparire chiaramente l'impronta neofranchista che gli ha permesse di svuotare il seppur esiguo bacino elettorale del Partito Popolare di Rajoy che ha raccolto solo tre seggi. 

Ha dichiarato infatti Rivera: “Non siamo stati duri noi, ma molle il Pp che per 35 anni ha costruito il proprio potere a Madrid scendendo a patti con i nazionalisti e concedendo loro quel che volevano", punta il dito il leader del primo partito catalano, sostenendo che "quando si passano tre decenni a cedere spazio a chi cerca di occuparlo tutto, finisci per trovarti fuori. Ed è quello che è successo".

Per la seconda volta in pochi giorni, la prima è avvenuta in Corsica, un vento caldo di libertà sferza un'Europa incapace di comprendere come il modello dello "stato-nazione" si stia incrinando ogni giorni di più.

Un vento che ostinatamente soffia anche in un certo NORD, quello della Valle del Grande Fiume.

lunedì 11 dicembre 2017

CORSICA | grande vittoria dei nazionalisti



Domenica scorsa, 10 dicembre, la coalizione autonomista e indipendentista “Pe’ a Corsica” di Gilles Simeoni e Jean-Guy Talamoni ha vinto il secondo turno delle elezioni territoriali in Corsica con il 56,5 per cento dei voti, e 41 su 63 dei nuovi consiglieri dell'assemblea.

Le altre tre liste che avevano superato il primo turno sono arrivate molto indietro : quella di Jean-Martin Mondoloni (destra regionalista) ha ottenuto il 18,29 per cento, quella de La République en Marche – il partito del presidente francese Macron – guidata da Jean-Charles Orsucci il 12,67 e quella de Les Républicains di Valérie Bozzi – cioè il tradizionale centrodestra francese – il 12,57.
Il candidato del Front National non pervenuto al primo turno...

Quelle di domenica sono state elezioni anticipate, perché dal primo gennaio del 2018 ci sarà una riorganizzazione territoriale della Corsica: la nuova “Assemblea della Collettività” – che sarà formata da 63 rappresentanti – sostituirà i due dipartimenti in cui è stata finora divisa l’isola.

Gilles Simeoni diventerà il primo presidente di questa nuova Collettività: figlio di uno dei “padri” del nazionalismo corso, Edmond Simeoni, che nel 1975 vicino ad Aleria guidò con il fratello la prima azione del movimento autonomista: con circa 30 uomini armati di fucili da caccia occupò una cantina vinicola appartenente a un importante imprenditore di origine pieds-noirs, un ex colono francese in nord Africa, per protestare contro una truffa che minacciava di rovinare centinaia di piccoli viticoltori. Gilles Simeoni militò nel movimento fondato dal padre e divenne famoso per aver difeso in tribunale l’indipendentista corso militante Yvan Colonna, condannato all’ergastolo perché accusato di essere l’autore dell’omicidio del Prefetto Claude Érignac il 6 febbraio 1998 ad Ajaccio. Nel 2014 Gilles Simeoni è stato poi eletto sindaco di Bastia e ha contribuito ai successi elettorali della coalizione nazionalista dei successivi due anni.

Dopo la vittoria Gilles Simeoni ha detto che «Parigi avrà oggi una misura di ciò che sta accadendo in Corsica». Domenica notte il primo ministro Edouard Philippe ha chiamato il leader autonomista inviandogli le proprie «congratulazioni repubblicane» e dicendo di essere disponibile «a riceverlo». Anche il ministro dell’Interno del governo Macron, Gérard Collomb, ha voluto assicurare «ai nuovi eletti la disponibilità del governo, in uno spirito di ascolto, dialogo e rispetto reciproco». Simeoni ha spiegato ai rappresentanti del governo Macron che «al di là della cortesia formale, ci aspettiamo e speriamo in un dialogo autentico: le condizioni non sono mai state così favorevoli per la questione corsa da risolvere in modo pacifico e duraturo con una soluzione politica».

giovedì 23 novembre 2017

IL NORD E L’AUTONOMIA | Le regioni e un’intesa necessaria


dal Corriere della Sera di oggi alcuni stralci di un interessante editoriale firmato da Dario Di Vico riguardante il percorso intrapreso dopo i referendum per l'autonomia di Lombardia e Veneto.
È già passato un mese dal referendum sull'autonomia che ha visto pronunciarsi in due distinte consultazioni gli elettori della Lombardia e del Veneto. Partecipazione e risultato sono stati difformi, a Est si è superato addirittura il quorum che gli organizzatori si erano auto-imposti mentre a Ovest l’affluenza è stata significativamente più bassa e ha visto aprirsi una notevole divaricazione tra la grande città e i territori. In sede di bilancio del voto è stato già sottolineato come questa distanza non fosse meramente statistica ma rimandasse a differenti culture e soprattutto dipendesse dal maggiore/minore grado di apertura internazionale delle rispettive comunità. Ma a questo punto la pur lodevole indagine sociologica deve lasciare il passo alla ricerca di soluzioni percorribili che sappiano far tesoro del clima di grande civiltà nel quale si è votato e che ci ha visto primeggiare su altri sventurati esempi europei.
Per una volta poi la politica non è rimasta con le mani in mano e il tempo passato dalla conta dei consensi a oggi è stato impiegato per costruire un negoziato nel quale ha fatto il suo ingresso un’altra regione, l’Emilia-Romagna. Quali che siano state le scelte a monte oggi il governo ha avviato con la stessa Emilia-Romagna e la Lombardia un percorso che, incrociando le dita, ha tutti i numeri per rivelarsi virtuoso.
Ci sono le condizioni, infatti, da qui al termine dell’attività dell’esecutivo presieduto da Paolo Gentiloni per arrivare a due differenti intese che potrebbero consentire un passo in avanti nella cultura amministrativa italiana, coniugando devolution e responsabilizzazione degli enti regionali. Le procedure prevedono che accordi di questo genere — assimilati a quelli che vengono stipulati con le confessioni religiose — debbano essere sottoposti al vaglio del Parlamento nazionale ma in questo caso, per obiettivi motivi di tempo, stiamo parlando delle prossime assemblee e non di quelle in carica. Le Camere a quel punto potranno ratificare o meno le intese con Lombardia ed Emilia-Romagna, non modificarle.
E’ possibile però che il bilancio di questo percorso federalista di fine legislatura sia positivo senza fare i conti fino in fondo con le istanze del Veneto? La regione nella quale la passione autonomista è più largamente presente e condivisa anche da quei segmenti della società più abituati per il loro lavoro a confrontarsi con i mercati globali? Certo che no. E di conseguenza il governo dovrà far ricorso a tutta la capacità di mediazione per incrociare la sua rotta con quella del presidente del Veneto, Luca Zaia. Per onestà bisogna dire che il percorso si presenta tutt'altro che agevole. Le 23 materie di decentramento decisionale che Zaia propone, messe tutte assieme, rappresentano un macigno per la trattativa e in più il governo non potrebbe accogliere la richiesta veneta di trattenere sul territorio i 9/10 del prelievo fiscale. Esiste, infatti, in proposito un pronunciamento negativo della Corte Costituzionale che lega le mani al presidente del Consiglio.
Tocca dunque a Zaia, per certi versi, la prossima mossa. Può lasciare il segno contribuendo anche personalmente a far avanzare la cultura federalista in Italia o può scegliere di far saltare il tavolo del possibile negoziato. Nessuno può obbligarlo ad abiurare i suoi convincimenti più profondi, gli si chiede solo di utilizzare come bussola il suo collega di partito Roberto Maroni.