martedì 13 gennaio 2015

IDEE & RIFLESSIONI | Vogliono uccidere la nostra anima

Gli autori dell’attacco al «Charlie Hebdo» non sono pazzi criminali, li muove un’ideologia politica. Più l’Occidente si autocensura, più diventeranno audaci

di Ayaan Hirsi Ali
Dopo la carneficina di mercoledì, forse l’Occidente metterà finalmente da parte le tante scuse artificiose impiegate finora per negare ogni nesso tra violenza e Islam radicale.

Questo non è stato un attacco sferrato da uno squilibrato, da un lupo solitario. Non è stata un’aggressione per mano di delinquenti qualunque. Era stata programmata per fare più morti possibile, durante una riunione di redazione, con armi automatiche e un piano di fuga. Gli assassini volevano seminare il terrore, e ci sono riusciti. Ma di cosa ci sorprendiamo? Se c’è una lezione da imparare, è che tutto ciò che noi crediamo dell’Islam non ha alcun peso. Questo tipo di violenza, la jihad, rappresenta quello in cui credono gli islamisti. Il Corano è disseminato di appelli alla jihad violenta, ma non solo. In troppa parte dell’Islam, la jihad si è evoluta in un’ideologia moderna. La «bibbia» del jihadista del ventesimo secolo è «Il concetto coranico della guerra», scritto dal generale pakistano S.K. Malik.

Nella sua analisi l’anima umana - e non il campo di battaglia fisico - rappresenta il centro dove portare il conflitto. E il modo migliore di colpire l’anima è attraverso il terrore, «il punto in cui il mezzo e il fine si ricongiungono». Ogni volta che giustifichiamo la loro violenza in nome della religione, ci pieghiamo alle loro richieste. Nell'Islam, è un grave peccato rappresentare o denigrare il profeta Maometto. I musulmani sono liberi di crederci, ma perché devono imporlo ad altri? L’Islam, con i suoi 1.400 anni di storia e un miliardo e mezzo di fedeli, dovrebbe riuscire a tollerare qualche vignetta. L’Occidente deve costringere i musulmani, specie quelli della diaspora, a rispondere a questa domanda: che cosa è più offensivo per un credente, l’uccisione, la tortura, la schiavitù, la lotta armata e gli attacchi terroristici in nome di Maometto, o la produzione di disegni, film e libri che si fanno beffe degli estremisti e della loro visione di ciò che Maometto rappresenta?
Per rispondere a Malik, la nostra anima in Occidente crede nella libertà di coscienza e parola. Sono le libertà che formano l’anima della nostra civiltà. Ed è proprio in questo che gli islamisti ci hanno attaccato. Tutto dipende da come reagiremo. Se ci convinciamo di combattere contro un manipolo di pazzi criminali, non saremo in grado di fornire risposte. Dobbiamo riconoscere che gli islamisti di oggi sono motivati da un’ideologia politica, radicata nella dottrina fondante dell’Islam. Sarebbe un notevole cambiamento di rotta per l’Occidente, che troppo spesso ha reagito alla violenza jihadista con tentativi di conciliazione. Cerchiamo di blandire i capi di governo islamici che premono per costringerci a censurare stampa, università, libri di storia, programmi scolastici. Loro alzano la voce, e noi obbediamo. In cambio cosa otteniamo? I kalashnikov nel cuore di Parigi. Più ci sforziamo di attenuare, placare, conciliare, più ci autocensuriamo, più il nemico si fa audace ed esigente.

C’è una sola risposta a questo vergognoso attacco jihadista contro Charlie Hebdo : l’obbligo di media e leader occidentali, religiosi e laici, di proteggere i diritti elementari di libertà di espressione, che sia la satira o altro. L’Occidente non deve più inchinarsi, non deve più tacere. Dobbiamo inviare ai terroristi un messaggio univoco: la vostra violenza non riuscirà a distruggere la nostra anima.
tratto da www.corriere.it del 9 gennaio 2015

Chi è Ayaan Hirsi Ali (da wikipedia)

è una politica e scrittrice somala naturalizzata olandese, nota soprattutto per il suo impegno in favore dei diritti umani e in particolare dei diritti delle donne all'interno della tradizione Islamica.

Figlia del signore della guerra somalo Hirsi Magan Isse, ha vissuto in Somalia, Etiopia, Kenya e Arabia Saudita. A cinque anni fu sottoposta ad infibulazione. Nel gennaio 1992 il padre conosce in moschea un giovane somalo (residente in Canada e tornato in patria per procurarsi una donna da sposare) e in un'ora decide di dargli in moglie Ayaan che aveva 22 anni. La ragazza rifiuta, ma le nozze si combinano ugualmente. Il marito appartiene al clan Osman Moussa, uno tra i più in vista nella società somala. Dopo le nozze organizza il viaggio in aereo alla volta del Canada, per la giovane moglie. Giunta in Germania per uno scalo intermedio, Ayaan decide di scappare. Prende un treno per i Paesi Bassi e chiede asilo politico come rifugiata. Motivo: essere stata costretta ad un matrimonio combinato che l'ha privata della libertà. Per non essere rintracciata dalla famiglia, sceglie di non usare più il suo vero cognome, Magan, ed opta per Ali (il nome originario del nonno).

Ottiene lo status A, il migliore, che comprende il diritto di rimanere in Olanda per tutta la vita e di richiedere la cittadinanza dopo cinque anni. Ayaan si iscrive all'Università e consegue la laurea in Scienze politiche. Un giorno dell'estate del 2001 guardando il telegiornale apprende che in una scuola alcuni insegnanti gay sono stati molestati da allievi musulmani. Il servizio mostra anche un imam che li difende: secondo lui l'omosessualità è una malattia contagiosa in grado di infettare gli studenti. Di getto scrive una lettera e la indirizza ad uno dei quotidiani più letti in Olanda, NRC Handelsblad. Nella lettera sostiene che quell'atteggiamento non appartiene a un solo imam, ma è molto diffuso nel mondo islamico e spiega che l'islam è una religione che non accetta la libertà individuale, fino a giustificare i soprusi contro le donne e contro i diversi.

Quel gesto istintivo segna l'inizio del suo impegno politico. Nel 2002 diventa famosa nel paese attraverso alcune apparizioni televisive dove esprime con nettezza il suo pensiero critico sull'islam. I suoi interventi destano scalpore presso la comunità musulmana perché per la prima volta a criticare l'islam è una di loro e, per giunta, una donna. In ottobre di quell'anno cade il governo e il paese è chiamato alle elezioni anticipate. Neelie Kroes, importante esponente del partito liberale "Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia" (VVD), chiede a Hirsi Ali se vuole candidarsi nella sua lista. Ayaan accetta, viene collocata al numero 16 (in Olanda si vota su liste bloccate), che le dà la sicurezza di essere eletta. Decide che la sua missione sarà inserire il problema delle donne musulmane nell'agenda politica del suo Paese d'adozione.

A tutti quelli che glielo chiedevano, rivelava apertamente che al suo arrivo in Olanda si era firmata con un cognome diverso dal suo e non aveva detto tutta la verità sui motivi che l'avevano portata a lasciare il suo paese d'origine. La cosa però non crea scandalo e Hirsi Ali viene eletta il 22 gennaio 2003 al parlamento olandese. Nel 2004 scrive la sceneggiatura del film cortometraggio "Sottomissione" (Submission), in cui si denunciano gli abusi che subiscono le donne nel mondo islamico. Il 2 novembre dello stesso anno il regista del film Theo van Gogh viene assassinato. Da allora Hirsi Ali vive protetta da una scorta armata. In poco tempo diventa una persona scomoda. Per i suoi vicini di casa è una persona troppo ingombrante: notano che la sua abitazione è perennemente sorvegliata da una scorta armata. Si rivolgono al tribunale affinché dia ordine alla Hirsi Ali di cambiare domicilio. Nel 2006 la Corte d'appello di L'Aia, con una sentenza senza precedenti, dà ragione ai vicini di casa della scrittrice, intimandole di cambiare quartiere.

Capito il vento che tira, Ayaan Hirsi Ali si dimette da deputata e lascia volontariamente l'Olanda, per trasferirsi negli Stati Uniti, a Washington. Ritorna nei Paesi Bassi, anche se solo per brevi periodi, ma nell'ottobre del 2007 il governo olandese decide che le scorte armate debbano essere riservate ai cittadini residenti nel territorio nazionale, facendole capire che se rientra in patria lo fa a suo rischio e pericolo. Immediatamente la vicina Danimarca le ha offerto protezione, sulla base di un programma volto a sostenere gli scrittori minacciati di morte dai terroristi islamici. La scrittrice ha ringraziato ma ha affermato di voler rimanere negli Stati Uniti. Oggi lavora nell'American Enterprise Institute, un importante centro studi.