lunedì 21 novembre 2016

Heysel | in memoriam

Ed anche l'ennesima trasferta in terra belga è passata, una due giorni tra amici vecchi e nuovi, grandi birre e un calcio vissuto con passione.

Sono ormai dieci anni che seguo, non solo a Bruxelles ma in giro per il Belgio, l'Union Saint Gilloise, tante partite con ogni sorta di risultato e tutte quelle casalinghe viste dagli spalti dello Stade Marien, la casa Unionista.

Tutte sino a ieri sera. In questa stagione, per via di regolamenti che definire ridicoli è il minimo, l'Union si è dovuta cercare una nuova casa.

La scelta è caduta su uno stadio molto grande, ristrutturato per i campionati europei del duemila, cui è stato dato un nuovo nome, quello di un Re molto amato.

Altre volte lo avevo visto, ma solo da fuori, e sabato sera per la prima volta ci sono entrato.
Non è stato come entrare in altri stadi che ho visitato negli anni passati.
Dalla tribuna, quella centrale dove si ritrovano i tifosi di casa lo si vede bene, è proprio accanto, vuoto come la gran
parte di tutti gli altri settori dello stadio, forse per altri vuoto ma non per me.

Ogni volta che giravo lo sguardo erano altre le immagini che vedevo, immagini sgranate come trasmesse da un vecchio televisore, uno dei primi a colori.
Ma i colori che vedevo era pochi.
Il bianco, il nero, il rosso e il verde di un campo di calcio dove non correvano calciatori ma si riversavano persone.


Guardavo e ricordavo.
Ricordavo un ragazzino di nove anni seduto davanti ad un televisore che non capiva cosa stesse accadendo.
Ricordavo quel ragazzino che, voltandosi, vedeva il proprio padre seduto in poltrona fermo a fissare quella scatola senza dire nulla.


Ricordavo e pensavo...
Quel ragazzino ero io, lo stadio l'Heysel, il settore quello "zeta".