lunedì 9 agosto 2010
"I veri nemici del federalismo" di Luca Ricolfi
editoriale, MOLTO INTERESSANTE, di Luca Ricolfi pubblicato oggi sul quotidiano "La Stampa".
Non so se ci avete fatto caso, ma da un po’ di tempo nel mondo della politica ci sono due parole che attirano irresistibilmente chi vuole creare un nuovo marchio. Sono la parola «futuro» e la parola «nazione». Tra le fondazioni politico-culturali, ad esempio, da tempo si distinguono per il loro attivismo «Fare futuro», il pensatoio degli uomini legati a Gianfranco Fini, e «Italia Futura», il pensatoio di quelli legati a Montezemolo. Periodicamente, specie in vista di elezioni, si sente evocare il progetto di una «lista civica nazionale». Quanto alle formazioni politiche vere e proprie, il gruppo dei finiani ha appena scelto di denominarsi «Futuro e libertà», mentre l’Udc di Casini pare intenzionata a dar vita a un «Partito della Nazione». E anche chi, come Rutelli, ha appena fondato un movimento senza ricorrere alle due magiche parole, futuro e nazione, ha finito per scegliere dei sinonimi, che evocano la medesima preoccupazione per il futuro del Paese: il nuovo partito si chiama Api, che significa Alleanza per l’Italia.
Sarà perché l’economia e la società sono ferme - per non dire congelate - da almeno una decina d’anni, sarà perché la macchina del federalismo sta lentamente entrando in funzione, sarà perché l’anno prossimo si festeggia il centocinquantenario dell’Unità d’Italia, sta di fatto che sul destino dell’unità nazionale è iniziata una riflessione importante. La preoccupazione per la coesione del Paese sembra, in particolare, essere il vero collante ideologico che tiene insieme le quattro forze intorno alle quali si sta delineando il cosiddetto «terzo polo»: l’Udc di Casini, l’Api di Rutelli, Futuro e libertà di Fini, il Movimento per le Autonomie di Lombardo.
Ma in che cosa si sostanzia questa preoccupazione per il futuro del Paese? Qual è l’idea dell’interesse nazionale coltivata dai leader di questa area politica?A me pare che l’unico robusto collante politico che tiene insieme queste quattro forze sia l’ostilità per il progetto federalista della Lega. Un’ostilità che usa gli espedienti retorici più diversi, compreso quello di dichiararsi fautori di un federalismo «vero», contrapposto al federalismo farlocco della Lega, ma dietro la quale si riconosce facilmente un’unica vera preoccupazione di fondo: il timore che - giunti al dunque, ossia ai decreti delegati - il federalismo danneggi il Sud, e che per questa via spacchi il Paese. Il programma minimo del nascente Terzo polo è frenare il federalismo, il programma massimo è bloccarlo definitivamente.
Vorrei dire subito che questa preoccupazione «meridionalista», a mio parere, è del tutto rispettabile. Il pericolo che la lotta politica, che oggi si svolge fra il fantasma della destra e quello della sinistra, domani si riduca a un tiro alla fune fra gli interessi del Nord e quelli del Sud, è molto concreto, come giustamente rilevava Francesco Alberoni qualche giorno fa sul Corriere della Sera. Il punto, però, è che non è detto che annacquare ulteriormente il federalismo sia la strada migliore per evitare quel pericolo. In poche parole, è tutto da dimostrare che il futuro della nazione, la coesione del Paese, si tutelino meglio boicottando il federalismo piuttosto che impegnandosi per farlo funzionare nel modo più incisivo possibile. Eppure è questo che sembrano pensare i teorici del Terzo polo. L’Udc di Casini è l’unica forza politica che ha votato contro il federalismo. Fini, già prima della rottura, è arrivato addirittura a chiedersi se dobbiamo proprio farlo, questo benedetto federalismo. Rutelli non perde occasione per demonizzare la Lega, accusata di secessionismo. E attenzione, quel che colpisce in queste critiche è che non entrano mai nel merito dei dettagli, dei meccanismi, delle cifre. In breve, non cercano di contribuire a far funzionare il federalismo, ma soltanto a impedire qualcosa che considerano un male per il Paese, una sciagura per il futuro della nazione.
E allora vediamolo, questo futuro della nazione senza il federalismo. I dati di partenza del federalismo sono tre: 130 miliardi di evasione fiscale e contributiva, 80 miliardi di sprechi della Pubblica amministrazione, una pressione fiscale sull’economia regolare fra le più alte del mondo. Per il Nord significano un assegno di 50 miliardi all’anno staccato al resto del Paese, e un blocco della crescita che dura ormai da un decennio. Il Nord, anche se lo volesse, non è più in grado di sostenere i consumi e gli sprechi delle aree deboli, perché già fatica a stare a galla per conto suo. E il bello è che di questo, sia pure lentamente e dolorosamente, si stanno rendendo conto anche molti amministratori del Mezzogiorno, spesso più avanti di tanti leader nazionali nella comprensione del dramma che attraversa il nostro Paese. Certo gli uomini e le donne del Sud vogliono che lo Stato centrale faccia la sua parte, innanzitutto nel campo delle infrastrutture. Ma sempre più si rendono conto che nulla potranno chiedere se prima non dimostreranno di sapersi amministrare meglio. Ci sono tanti politici e amministratori del Mezzogiorno che la sfida del federalismo l’hanno già accettata, e che non vogliono una guerra civile strisciante fra Nord e Sud, bensì una competizione virtuosa fra territori, fra regioni, fra amministrazioni locali, ben sapendo che le principali vittime del malgoverno sono proprio i ceti deboli che tutti dicono di voler difendere.
Di fronte a queste realtà, che già ci sono e già stanno operando, a me pare molto miope, e per niente in sintonia con l’interesse nazionale, prendersela con il federalismo e con la Lega. Anziché accusare la Lega di separatismo, dovremmo semmai chiederci se un suo ritorno a tentazioni separatiste non sia precisamente quello che, affossando il federalismo, i suoi nemici rischiano di provocare. È paradossale, ma visto da questo angolo visuale l’interesse nazionale è tutelato assai meglio dal Pd e dal Pdl, che non dal Terzo polo. Pd e Pdl, infatti, hanno dato un contributo essenziale a trasformare le istanze autonomiste della Lega in qualcosa di compatibile con l’unità nazionale. Ora la furia antileghista del «terzo polo», più che salvare il Sud dalla sciagura del federalismo, rischia semplicemente di provocare la ribellione del Nord. E questo non perché il Nord stia tutto con la Lega, ma perché, al Nord, le differenze fra gli elettori della Lega e quelli del Pd sono meno grandi di quanto credano i leader del Terzo polo. Si può ritenere che il federalismo sia una cattiva idea, ma è bene sapere che farlo saltare significa perdere il Nord. Vale per i partiti del Terzo polo, ma vale anche per quelli del secondo, innanzitutto per il Partito democratico. E non è detto che, per l’unità del Paese, o per il futuro della nazione, questa sia la strada migliore.