giovedì 19 febbraio 2015

IDEE & RIFLESSIONI | Perché la #Lombardia dice basta

Il padre della battaglia per il referendum autonomista, appena approvato dal Consiglio Regionale, ci spiega il senso della proposta.

di Stefano Bruno Galli

Almeno tre sono i dati politici che emergono dal voto dell’altro ieri nel Consiglio regionale lombardo per l’approvazione del referendum autonomista. Anzitutto il Governatore, Roberto Maroni, s’è confermato un vero leader: ha tenuto compatta e coesa la sua maggioranza attorno a sé in una partita davvero difficile. E l’ha vinta, facendo leva sul “modello lombardo” di aggregazione del centrodestra. Un modello che a questo punto aspira a trasformarsi in una formula politico-istituzionale efficace e di successo, nell'ambito della quale la lista civica del Presidente ha svolto un ruolo non marginale (chi scrive è stato colui che, un anno fa, ha innescato il percorso e poi ha fatto il relatore in aula della proposta referendaria).

Per spuntarla ci volevano 54 voti. Ai 49 della maggioranza si sono aggiunti quelli – anche loro compatti e coesi – del Movimento 5 stelle. I grillini lombardi, vittima per tutta la giornata delle polemiche, degli strali e dei violenti attacchi dei consiglieri del Pd, non si sono persi d’animo. Hanno combattuto la loro battaglia per una procedura di fronte alla quale sono sempre stati sensibili, quella della democrazia diretta, nel nome di un significativo “lombardismo”, anteponendo cioè gli interessi dei lombardi alle rendite partitiche di posizione. Hanno assunto una posizione autonoma e indipendente rispetto alla minoranza, smarcandosi con coraggio e disinvoltura. E hanno dimostrato che la protesta non ha senso se non viene appoggiata su una proposta all'altezza della sfida.
Il terzo elemento politico emerso dal voto referendario è l’isolamento del Pd, relegato in un angolo a fare un’opposizione sterile, infruttuosa e addirittura controproducente. Certo il Pd a Roma governa. E nel segno di un ferreo centralismo cerca di riorganizzare – a colpi di maggioranza e di rissa parlamentare – l’architettura della repubblica, revocando i poteri periferici per ricollocarli al centro. Orrenda e inaccettabile riaffermazione dello Stato burocratico e accentratore. In Consiglio regionale il Pd è dimidiato perché non riesce a conciliare le ragioni di Roma con le giuste ambizioni di autonomia politica e amministrativa della Lombardia. Quando a prevalere sono gli interessi romani su quelli del grande popolo lombardo, il pericolo è in agguato. Si rischia l’autogol, cacciandosi in un angolo dal quale è difficilissimo uscire.
E così è stato. Ridicoli sono allora risultati i proclami di autonomia e di sensibilità territoriale di fronte all'annunciato – e poi confermato – voto contrario al referendum. Così come sterili sono state le polemiche sui costi dell’iniziativa. Sterili perché, quando si tratta di ricorrere alle procedure della democrazia diretta, cioè di consultare il popolo, non v’è costo che tenga. La democrazia non ha prezzo se si tratta di consolidarla con una procedura consensuale e partecipativa. E qui si tratta proprio di consolidarla, chiedendo al popolo lombardo se è d’accordo a procedere risolutamente lungo la strada costituzionale dell’autonomia ingaggiando un braccio di ferro con lo Stato di Roma per ottenere un congruo numero di nuove competenze legislative e amministrative. Il quesito referendario fa leva sull'istituto giuridico-costituzionale del regionalismo a geometria variabile, vale a dire sull'articolo 116, comma 3, della Costituzione, che alle regioni a Statuto ordinario virtuose riconosce l’opportunità di trattare nuove competenze con il governo di Roma sino ad avvicinarsi a un grado di autonomia paragonabile a quello delle regioni a Statuto speciale. La Lombardia ha già provato a percorrere questa strada, senza successo, nel 2007. Le trattative naufragarono perché cadde il governo di allora, ma anche perché alle spalle delle trattative non c’era il più vasto consenso dell’opinione pubblica lombarda. Per questa ragione, ricorrere alla consultazione referendaria è fondamentale: “con il consenso della gente si può fare di “tutto”, ci ammoniva un grande Maestro, Gianfranco Miglio. 
Il consenso è dunque il motore di ogni cambiamento e aprire le trattative con il Governo per ottenere maggiori competenze sulla base dell’esito di un referendum consultivo conferisce una diversa fisionomia al negoziato e alle sue prospettive. Sarà poi la Corte a valutare la qualità dell’autonomia raggiunta e imporrà al Parlamento le ratifiche costituzionali conseguenti. 
La sfida, dal punto di vista giuridico-costituzionale, è quella di valorizzare il regionalismo differenziato, chiedendo allo Stato il riconoscimento della specialità su nuove basi. È del tutto evidente, infatti, che oggi, di fronte alla più grave crisi dell’ultimo secolo, le ragioni di natura economica e sociale sono addirittura più rilevanti e più forti, valgono di più rispetto alle ragioni etniche, storiche, linguistiche, che allora – all'indomani della fine della Seconda guerra mondiale – militarono a favore del riconoscimento della specialità per le cinque regioni autonome.
Questo percorso dovrebbe premiare la “specialità” della Lombardia, che è nella natura delle cose. Ce lo ha detto la Cgia di Mestre qualche giorno fa che i cittadini lombardi sono i più tartassati del Paese (con una cifra devoluta annualmente all'erario nazionale di oltre 11mila euro) e che la Regione ha un residuo fiscale di 54 miliardi di euro, a tanto ammonta infatti il “lascito” allo Stato centrale. Non solo, ma la Lombardia è regione leader a livello europeo, aderisce ai “Quattro motori dell’Europa”, con la Baviera, il Baden Württenberg e la Catalogna, ed è l’epicentro propulsivo della Macroregione alpina. Con le sue attività economiche e produttive copre circa il 21% del Pil nazionale. E lo scorso anno un’autorevole e accreditata agenzia internazionale di rating, Moody’s, ha riconosciuto un titolo di merito creditizio alla Lombardia, superiore a quello dello Stato – ingordo e predatore – di Roma. Appunto. Ecco perché la Lombardia si merita il riconoscimento della sua “specialità”.

Articolo tratto dal sito www.lintraprendente.it