domenica 22 febbraio 2015

LOMBARDIA, Sì al Referendum sull'Autonomia!

Nei prossimi mesi i cittadini lombardi saranno chiamati ad esprimersi sulla richiesta allo Stato di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Il Consiglio regionale nella seduta dello scorso 17 febbraio ha approvato oggi la proposta di referendum consultivo secondo quanto stabilito dallo Statuto Regionale.

Il testo del quesito, condiviso 
all'interno della Commissione Affari istituzionali e poi approvato dall'Aula, è il seguente: Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116, terzo comma della Costituzione?”.

La proposta doveva raccogliere per Statuto i 2/3 dei consensi dell’Aula: a favore si sono espressi 58 consiglieri (Lega Nord, Lista Maroni, Forza Italia, NCD, Fratelli d’Italia, Pensionati, Gruppo Misto e M5S), contrari 20 (PD, ad eccezione del consigliere Corrado Tomasi che ha votato a favore, e Patto Civico). 

Questa Regione ha tutti i motivi di reclamare autonomia politica e amministrativa – ha detto il relatore Stefano Bruno Galli (Lista Maroni) – perché parte dei Quattro motori d’Europa, propulsore della Strategia macro regionale alpina e alla luce del suo peso del 21% del PIL nazionale e dei 54 miliardi di residuo fiscale. La differenziazione deve essere un criterio di premialità”. Galli ha annunciato, poi, l’elaborazione di una risoluzione ad hoc dove esplicitare materie concorrenti e correlate su cui si richiede maggiore autonomia.”

giovedì 19 febbraio 2015

IDEE & RIFLESSIONI | Perché la #Lombardia dice basta

Il padre della battaglia per il referendum autonomista, appena approvato dal Consiglio Regionale, ci spiega il senso della proposta.

di Stefano Bruno Galli

Almeno tre sono i dati politici che emergono dal voto dell’altro ieri nel Consiglio regionale lombardo per l’approvazione del referendum autonomista. Anzitutto il Governatore, Roberto Maroni, s’è confermato un vero leader: ha tenuto compatta e coesa la sua maggioranza attorno a sé in una partita davvero difficile. E l’ha vinta, facendo leva sul “modello lombardo” di aggregazione del centrodestra. Un modello che a questo punto aspira a trasformarsi in una formula politico-istituzionale efficace e di successo, nell'ambito della quale la lista civica del Presidente ha svolto un ruolo non marginale (chi scrive è stato colui che, un anno fa, ha innescato il percorso e poi ha fatto il relatore in aula della proposta referendaria).

Per spuntarla ci volevano 54 voti. Ai 49 della maggioranza si sono aggiunti quelli – anche loro compatti e coesi – del Movimento 5 stelle. I grillini lombardi, vittima per tutta la giornata delle polemiche, degli strali e dei violenti attacchi dei consiglieri del Pd, non si sono persi d’animo. Hanno combattuto la loro battaglia per una procedura di fronte alla quale sono sempre stati sensibili, quella della democrazia diretta, nel nome di un significativo “lombardismo”, anteponendo cioè gli interessi dei lombardi alle rendite partitiche di posizione. Hanno assunto una posizione autonoma e indipendente rispetto alla minoranza, smarcandosi con coraggio e disinvoltura. E hanno dimostrato che la protesta non ha senso se non viene appoggiata su una proposta all'altezza della sfida.
Il terzo elemento politico emerso dal voto referendario è l’isolamento del Pd, relegato in un angolo a fare un’opposizione sterile, infruttuosa e addirittura controproducente. Certo il Pd a Roma governa. E nel segno di un ferreo centralismo cerca di riorganizzare – a colpi di maggioranza e di rissa parlamentare – l’architettura della repubblica, revocando i poteri periferici per ricollocarli al centro. Orrenda e inaccettabile riaffermazione dello Stato burocratico e accentratore. In Consiglio regionale il Pd è dimidiato perché non riesce a conciliare le ragioni di Roma con le giuste ambizioni di autonomia politica e amministrativa della Lombardia. Quando a prevalere sono gli interessi romani su quelli del grande popolo lombardo, il pericolo è in agguato. Si rischia l’autogol, cacciandosi in un angolo dal quale è difficilissimo uscire.
E così è stato. Ridicoli sono allora risultati i proclami di autonomia e di sensibilità territoriale di fronte all'annunciato – e poi confermato – voto contrario al referendum. Così come sterili sono state le polemiche sui costi dell’iniziativa. Sterili perché, quando si tratta di ricorrere alle procedure della democrazia diretta, cioè di consultare il popolo, non v’è costo che tenga. La democrazia non ha prezzo se si tratta di consolidarla con una procedura consensuale e partecipativa. E qui si tratta proprio di consolidarla, chiedendo al popolo lombardo se è d’accordo a procedere risolutamente lungo la strada costituzionale dell’autonomia ingaggiando un braccio di ferro con lo Stato di Roma per ottenere un congruo numero di nuove competenze legislative e amministrative. Il quesito referendario fa leva sull'istituto giuridico-costituzionale del regionalismo a geometria variabile, vale a dire sull'articolo 116, comma 3, della Costituzione, che alle regioni a Statuto ordinario virtuose riconosce l’opportunità di trattare nuove competenze con il governo di Roma sino ad avvicinarsi a un grado di autonomia paragonabile a quello delle regioni a Statuto speciale. La Lombardia ha già provato a percorrere questa strada, senza successo, nel 2007. Le trattative naufragarono perché cadde il governo di allora, ma anche perché alle spalle delle trattative non c’era il più vasto consenso dell’opinione pubblica lombarda. Per questa ragione, ricorrere alla consultazione referendaria è fondamentale: “con il consenso della gente si può fare di “tutto”, ci ammoniva un grande Maestro, Gianfranco Miglio. 
Il consenso è dunque il motore di ogni cambiamento e aprire le trattative con il Governo per ottenere maggiori competenze sulla base dell’esito di un referendum consultivo conferisce una diversa fisionomia al negoziato e alle sue prospettive. Sarà poi la Corte a valutare la qualità dell’autonomia raggiunta e imporrà al Parlamento le ratifiche costituzionali conseguenti. 
La sfida, dal punto di vista giuridico-costituzionale, è quella di valorizzare il regionalismo differenziato, chiedendo allo Stato il riconoscimento della specialità su nuove basi. È del tutto evidente, infatti, che oggi, di fronte alla più grave crisi dell’ultimo secolo, le ragioni di natura economica e sociale sono addirittura più rilevanti e più forti, valgono di più rispetto alle ragioni etniche, storiche, linguistiche, che allora – all'indomani della fine della Seconda guerra mondiale – militarono a favore del riconoscimento della specialità per le cinque regioni autonome.
Questo percorso dovrebbe premiare la “specialità” della Lombardia, che è nella natura delle cose. Ce lo ha detto la Cgia di Mestre qualche giorno fa che i cittadini lombardi sono i più tartassati del Paese (con una cifra devoluta annualmente all'erario nazionale di oltre 11mila euro) e che la Regione ha un residuo fiscale di 54 miliardi di euro, a tanto ammonta infatti il “lascito” allo Stato centrale. Non solo, ma la Lombardia è regione leader a livello europeo, aderisce ai “Quattro motori dell’Europa”, con la Baviera, il Baden Württenberg e la Catalogna, ed è l’epicentro propulsivo della Macroregione alpina. Con le sue attività economiche e produttive copre circa il 21% del Pil nazionale. E lo scorso anno un’autorevole e accreditata agenzia internazionale di rating, Moody’s, ha riconosciuto un titolo di merito creditizio alla Lombardia, superiore a quello dello Stato – ingordo e predatore – di Roma. Appunto. Ecco perché la Lombardia si merita il riconoscimento della sua “specialità”.

Articolo tratto dal sito www.lintraprendente.it 

lunedì 16 febbraio 2015

La LOMBARDIA e la “RAPINA” FISCALE

Nelle ultime settimane, sulle pagine del Corriere prima e Repubblica dopo, hanno trovato spazio due ricerche elaborate dal centro studi della Cgia di Mestre, guidata da Giuseppe Bortolussi, incentrate sul gettito fiscale  la prima e sul residuo fiscale delle regioni italiane la seconda.
Due studi il cui risultato congiunto porta a rendere ancor più palese una realtà di cui da troppi anni si parla, vale a dire la costante “rapina fiscale” sui sono sottoposti i cittadini lombardi.

Dal Corriere apprendiamo come siano i lombardi i contribuenti più tartassati d’Italia. Lo rileva l’Ufficio studi della Cgia che ha messo a confronto il gettito fiscale versato dai lavoratori dipendenti, dagli autonomi, dai pensionati e dalle imprese di tutte le regioni d’Italia. Ogni residente della Lombardia corrisponde all'Erario e ai vari livelli di governo locali mediamente 11.386 euro.

“Questi dati - sottolinea Giuseppe Bortolussi della Cgia di Mestre - dimostrano come ci sia una corrispondenza tendenzialmente lineare tra il gettito fiscale, il livello di reddito e, in linea di massima, anche la qualità/quantità dei servizi offerti in un determinato territorio. Dove il reddito è più alto, il gettito fiscale versato dai contribuenti è maggiore e, in linea di massima, gli standard dei servizi erogati sono più elevati. Essendo basato sul criterio della progressività, è ovvio che il nostro sistema tributario pesa di più nelle regioni dove la concentrazione della ricchezza è maggiore”.

Altro aspetto interessante che emerge dall'analisi condotta dagli Artigiani di Mestre è la distribuzione del gettito tra i vari livelli di governo. Su 100 euro di tasse pagate dagli italiani ne finiscono nelle casse dello Stato centrale 81 alle Regioni 10 e solo 9 confluiscono nelle casse degli Enti locali (Comuni, Province e Comunità montane), questo a riprova di come in questo paese di “federalismo fiscale” non vi sia traccia.

Se il Corriere c’informa di quante tasse paghiamo, Repubblica riportando un altro studio degli artigiani di Mestre che non fa altro che ribadire una situazione che in Lombardia conosciamo bene dal 1861.
Parliamo del “residuo fiscale”, in altre parole la differenza tra le tasse pagate da un territorio e quanto ritorna in termini di spesa pubblica, servizi e trasferimenti agli enti locali.

In un quadro dove le Regioni a statuto ordinario del Nord danno oltre 100 miliardi di euro all'anno come contributo di solidarietà al resto del Paese, in base ai dettami del Patto di Stabilità, è la Lombardia a fare su malgrado la parte del leone, seppur in gabbia, nella classifica dei “contribuenti” registrando un residuo fiscale annuo positivo pari a 53,9 miliardi di euro, che in valore pro capite è pari a 5.511 euro, neonati compresi (dati riferiti all'anno fiscale 2012, nel frattempo il residuo è aumentato...).

Un quadro desolante che rischia di peggiorare come sostiene Bortolussi se: “come ha fatto nell'ultimo decennio, lo Stato centrale continuerà nella politica dei tagli lineari, facendo mancare risorse e costringendo le Autonomie locali ad aumentare le tasse, anche al Nord la qualità delle infrastrutture, della sanità, del trasporto pubblico locale e della scuola potrebbe venir meno, alimentando la rabbia e la disaffezione nei confronti della politica nazionale”.

Un pericolo reale, stante le politiche economiche sostenute dal Governo Renzi, che la proposta di revisione della Costituzione all'esame del Parlamento non potrà che rendere ancor più concreto essendo la stessa imperniata su di una visione neo centralista dell’architettura istituzionale italiana.

Come ha ben detto lo stesso Bortolussi a Repubblica: “La questione settentrionale, purtroppo, non si è dissolta: soprattutto a Nordest (ed anche in Lombardia N.d.R.) cova ancora sotto la cenere. Per questo è necessario riprendere in mano la riforma del federalismo fiscale è portarla a termine, premiando i territori più virtuosi e penalizzando chi, invece, gestisce in maniera scriteriata la cosa pubblica”.

martedì 10 febbraio 2015

Terre di Lombardia | una nuova avventura tra cultura, autonomia e identità


Nel tardo pomeriggio di oggi, insieme agli amici Cedrik Pasetti, Michela Bettinelli, Donato Novellini e Matteo Bernardelli, ho posto la mia firma in calce all'atto costitutivo di una nuova associazione culturale chiamata "Terre di Lombardia".
Una nuova avventura dedicata alla Lombardia che si dipanerà tra cultura, autonomia e identità con lo sguardo rivolto al futuro senza per questo dimenticare quello che siamo e coloro che questo territorio hanno costruito nei secoli.
Per saperne di più non vi resta che continuare a leggere il post...


CULTURA, AUTONOMIA E IDENTITÀ

L’Associazione Culturale “Terre di Lombardia” ha come scopo la valorizzazione e la divulgazione della conoscenza della cultura della Lombardia nonché della sua storia e la tutela del suo territorio. 
In particolare l’Associazione intende promuovere e gestire attività culturali, nel campo della politica, dell’economia e delle discipline artistiche nonché contribuire allo sviluppo socio-economico della regione Lombardia ispirato ad un riformismo fondato su principi di autonomia, identità, sussidiarietà e solidarietà.

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sabato 7 febbraio 2015

#MOSCHEA | cosa fare dopo il #consiglioaperto? alcune idee (del tutto personali...)

E adesso??? Una domanda semplice che in molti si stanno ponendo, ed io per primo, dopo la seduta di venerdì scorso del consiglio comunale aperto incentrato sulla questione moschea (che qualcuno continua a preferire di chiamare musalla quando differenze tra le due sono solo per le dimensioni).

Un consiglio aperto il cui intento con il quale era stato proposto dal Comitato Cremasco No Moschea, vale a dire concedere la parola ai cremaschi per poter parlare senza filtri all'amministrazione di un progetto che crea, e sarebbe sciocco e superficiale negarlo, preoccupazioni e timori, alcuni ben fondati e altri magari sovrastimati, è scemato via senza che questo abbia potuto aver luogo.
Le numerose e concordi testimonianze e ricostruzioni mostrano, senza pochi dubbi, come la sinistra sia stata “bravissima” ad orientare l’andamento del consiglio per far apparire una realtà ben diversa da quella che si respira ogni giorno in città. Sinistra brava ed anche furba, una furbizia però resa possibile anche da una colpevole distrazione delle minoranze.

Non poteva, almeno un consigliere comunale di centrodestra presentarsi in comune, ben prima dell’apertura delle porte ai cittadini, e verificare che non vi fossero “portoghesi” entrati prima??? Si, no, forse. Ma tutto questo appartiene al passato, seppur molto recente, e perdersi dietro accuse e repliche non fa altro che distrarre dal vero problema, vale a dire la persistente pervicacia con la quale l’amministrazione vuole proseguire sulla strada intrapresa da oltre due anni.

L’esordio del discorso del Sindaco Bonaldi è stato da questo punto di vista esemplare nel negare ogni spazio di discussione e auspicabile ripensamento. Come ho twittato di recente “quando la politica indossa i paraocchi dell’ideologia finisce col fare scelte sbagliate, come il si alla moschea”, e quanto pronunciato in consiglio ne è la conferma.

Tutto questo però è IERI, ADESSO che fare?

Partirei da cosa ritengo sommessamente non si dovrebbe fare o proporre. Leggo che le minoranze vorrebbero un altro consiglio aperto, per fare cosa considerando l’esito e la gestione del precedente? Provare a fare quanto messo in pratica dalla sinistra inviando truppe “dromedarie” in luogo di quelle “cammellate” evocate da molti?

Da altre parti (Forza Italia qualche settimana fa) si evoca il discorso referendum. Argomento grazie al quale è facile ricevere l’applauso ma che tutti sanno (o fanno finta di non sapere) non essere possibile stante lo statuto comunale attuale in ottemperanza alle leggi dello stato.
Uno statuto che anche il sottoscritto ha contribuito ad aggiornare nella passata amministrazione per adeguarlo alle normative nazionali cambiate nei dieci anni succeduti alla prima formulazione.

Normative nazionali che non permettono di svolgere tali consultazioni. Qualcuno afferma che potevamo comunque modificare lo statuto per renderle possibili, vero! Peccato che una bocciatura da parte degli organi di controllo sarebbe intervenuta a fare “tabula rasa” prima ancora che lo stesso potesse entrare in vigore, e il sottoscritto di far perdere tempo, e soldi per avvocati, all'amministrazione non ne aveva l’intenzione.

Modificarlo adesso anche alla luce della nuova normativa regionale in tema di luoghi di culto come pare vogliano chiedere i consiglieri del M5S? È una opzione, che però vedo ben lontana dal poter essere messa in atto stante la palese ostilità ideologica che la sinistra ha già espresso nei confronti della legge lombarda.

Cosa fare allora? Premesso che sono solo semplici considerazioni maturate prendendo atto delle forze e convinzioni in campo, il lavoro maggiore ritengo debba essere svolto più all'interno del comune che fuori, senza nulla togliere a coloro che l’opposizione fuori dal palazzo l’hanno fatta e la stanno facendo con impegno e merito.

Come sapete il via libera alla moschea dovrà passare per la variante al PGT, necessaria per cambiare la destinazione dell’area, ed il successivo bando/ convenzione con gli assegnatari dello spazio, dato che si parla di un’area comunale.

Per questo l’attenzione dovrebbe incentrarsi sul verificare il contenuto di tutti i documenti che saranno redatti e la loro conformità alle procedure ed alle leggi, in particolare la nuova legge di Regione Lombardia che ho citato in precedenza. La sinistra farà finta di nulla avanzando una sorta di “obiezione di coscienza” dato che la ritiene incostituzionale? Tenersi pronti a presentare ricorsi al tribunale amministrativo non penso sia un’ipotesi da scartare a priori.

Inoltre, se dovesse passare la variante (dubbi in merito ne ho pochi..), l’attenzione dovrà essere incentrata sul bando e la convenzione, con un occhio di riguardo soprattutto alle clausole di recesso in capo all'amministrazione comunale per un domani provvedere a tornare in possesso dell’area, eliminando il diritto di superficie e, di fatto, provvedere alla chiusura della moschea.

Una convenzione in cui Crema si dovesse trovare con le “mani legate” sarebbe un danno enorme che la sinistra arrecherebbe alla città, oltre a quello di portare avanti la sua politica di integrazione raffazzonata come solo lei è in grado di fare…

Sono solo suggerimenti per i quali è necessario un lavoro primariamente in commissione territorio (che non tutti frequentano come dovrebbero) ed in consiglio alquanto oscuro e poco “mediatico”, ma di maggiore impatto verso l’amministrazione rispetto al titolino sul giornale...

Post Scriptum: che si faccia o meno la moschea/musalla/centro islamico il vero referendum si terrà tra due anni e qualche mese alle prossime elezioni comunali, ma questa è un’altra storia e merita qualche altro post ;-)