La città è in trasformazione, sta diventando un hub della conoscenza e della creatività. Ma anche le élite stanno cambiando, nella loro composizione, nei settori della vita economica che le esprimono e anche nei valori che le animano.Questo l'incipit di un articolo puibblicato sul Corriere della Sera firmato da Dario Di Vico, dedicato all'evoluzione continua del capoluogo lombardo e la sua "distanza" rispetto al resto del paese. Una lontananza sempre più marcata che se da un lato porta il Presidente del Consiglio Renzi a invitare Milano a trascinare il resto del paese, non può da un altro portare ancora in primo piano una annosa "questione", vale a dire quella "settentrionale", fatta di un territorio nel suo complesso dinamico e produttivo che vede certo in Milano la sua vetrina e porta verso l'Europa e il mondo, ma senza il quale la stessa capitale meneghina non potrebbe ricoprire questo ruolo.
In quest'ottica bene ha fatto il Presidente della Regione Lombardia Maroni nel richiamare Renzi, all'indomani della firma del "Patto per Milano", ad allargare lo sguardo su tutto il resto della regione proponendo un "Patto per la Lombardia". Una Regione che da sola vale, è bene ricordarlo, il 20% e oltre di tutta la richcezza prodotta in Italia.
Tornando all'articolo del Corsera vi si legge tra l'altro:
E ancora:Quanto dista Milano dal resto d’Italia? Tanto, viene da rispondere e la stessa percezione la deve aver avuta ieri il premier Matteo Renzi dopo aver ascoltato in Assolombarda la relazione di Gianfelice Rocca.Il guaio è che mentre si riduceva il gap tra Milano e le Londra, le Parigi, le Francoforte, si andava ampliando quello tra la città di Ambrogio e il resto dell’Italia. Il motivo è doppio: da una parte Milano si è messa a correre ma dall’altra il Paese — preso nella sua media — non solo non ha fatto altrettanto ma nel complesso è rimasto fermo.
In ultimo una domanda si pone Di Vico:Sia chiaro, la straordinaria ripartenza di Milano ha sorpreso tutti, non siamo ancora riusciti a ricostruirne molti dei passaggi che l’hanno resa possibile, la chiave del mutamento però non sembra proprio risiedere dentro la dimensione politica. Anzi. È il grado di apertura internazionale della città, la capacità delle sue classi dirigenti di essere dentro le reti globali delle competenze che paiono averle permesso non solo di attraversare i sette anni difficili della Grande Crisi ma addirittura di uscirne più forte e motivata.
La domanda è rivolta direttamente a Renzi ed a lui l'onere della risposta. Ma un'altra la vogliamo fare noi: Per quanto tempo ancora, Milano e tutto il Nord, dovranno trainare i vagoni fatiscenti della buorcrazia romana e dell'arretratezza del mezzogiorno con tutte le sue clientele e sprechi prima di cedere sotto questo peso insostenibile? La "Questione Settentrionale" è ancora aperta come testimonia, anche più di prima e magari involontariamente, l'articolo che abbiamo citato. Dare le risposte adeguate per chiuderla è un imperativo delle classi dirigenti delle regioni della Valle del Po.E così una domanda è rimasta inevasa e ha a che fare anch’essa con la grande distanza che separa Milano e il resto d’Italia. Non pensa il premier che questo gap si sia allargato anche per responsabilità di una politica economica à la carte che passando dalle leggi di Stabilità a quelle di Bilancio ha prodotto molte misure e poche certezze?