In un primo momento ho pensato fosse un fake come tanti, come ipotizzato dall'amico Gianluca Pini, poi è saltata fuori la conferma dell'originalità di questa circolare che si poteva trovare (oggi è stata tolta solo dopo che il bubbone è scoppiato...) sul sito dell'istituto in questione: www.liceoclassicoforli.gov.it
Che una scuola informi gli studenti della presenza in città, in questo caso a Forlì, di uno scrittore per poi organizzare un incontro con lo stesso è cosa non nuova che non sarebbe nemmeno una notizia.
Quello che suona molto male è OBBLIGARE gli studenti all'acquisto del libro. Robe da MINCULPOP...
Mi auguro che il tutto sia avvenuto all'insaputa di Saviano e dei suoi collaboratori, in caso contrario se ne dovrebbe vergognare.
Quanto al dirigente scolastico che ha redatto e firmato la circolare un bel periodo a pulire i cessi della sua scuola non gli farebbe male...
lunedì 16 gennaio 2017
giovedì 29 dicembre 2016
Crema | ultimi "successi" di fine 2016...
Anche in quest'ultimo scorcio di 2016 proseguono i grandi successi della Giunta Bonaldi...
"Prima il rinvio. Poi il responso definitivo: il progetto ciclopedonale di Santa Maria, progettato dall'Amministrazione Bonaldi insieme alla riqualificazione dell'area della stazione, non potrà essere realizzato. Per ottenere i finanziamenti europei, erogati tramite Regione Lombardia, il progetto avrebbe dovuto essere realizzato entro il 2020. E dal momento che il nuovo cronoprogramma messo a punto dal Comune prevedeva una conclusione lavori al 2021, i finanziamenti non possono arrivare, e pertanto il progetto non si farà."
Ricapitolando...
Nei 10 anni di Ceravolo hanno fantasticato sul progetto del sotto passo (per le auto).
Nei 5 di Bruttomesso, nonostante qualcuno li abbia passati fantasticando sul sovrappasso con abbassamento della ferrovia , si è realizzato il sotto passo di Via Indipendenza (grazie ai quei rompicoglioni dei leghisti ).
Questi ultimi 5 della Bonaldi hanno prodotto un misero progettino di sotto passo (solo per biciclette) ormai rimandato alle calende greche...
Meglio sorvolare sugli annunci di un prossimo progetto per realizzare quello per le auto, sempre a Santa Maria, il cui olezzo di pietanza avariata già impregna la campagna elettorale...
Meditate gente, meditate...
mercoledì 28 dicembre 2016
Süd-Tirol Ist Nicht Italien!
Diritto all'Autodeterminazione dei Popoli
Principio in base al quale i popoli hanno diritto di scegliere liberamente il proprio sistema di governo (autodeterminazione interna) e di essere liberi da ogni dominazione esterna, in particolare dal dominio coloniale (autodeterminazione esterna). Proposto durante la Rivoluzione francese e poi sostenuto, con diverse accezioni, da statisti quali Wilson e altri, tale principio implica la considerazione dei diritti dei popoli, in contrapposizione a quella degli Stati intesi come apparati di governo (Stato. Diritto internazionale). In tal senso, si pone potenzialmente in conflitto con la concezione tradizionale della sovranità statale; la sua attuazione deve inoltre essere contemperata con il principio dell’integrità territoriale degli Stati.
Affermato nella Carta Atlantica (14 agosto 1941) e nella Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945; art. 1, par. 2 e 55), il principio di autodeterminazione dei popoli è ribadito nella Dichiarazione dell’Assemblea generale sull'indipendenza dei popoli coloniali (1960); nei Patti sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali (1966); nella Dichiarazione di principi sulle relazioni amichevoli tra Stati, adottata dall'Assemblea generale nel 1970, che raccomanda agli Stati membri dell’ONU di astenersi da azioni di forza volte a contrastare la realizzazione del principio di autodeterminazione e riconosce ai popoli il diritto di resistere, anche con il sostegno di altri Stati e delle Nazioni Unite, ad atti di violenza che possano precluderne l’attuazione.
Nel diritto internazionale, l’affermazione dell’autodeterminazione dei popoli – frutto di un processo graduale a lungo contrastato dai paesi occidentali e fortemente collegato, nella prassi, alla fortunata azione dell’ONU a favore della completa decolonizzazione – è ormai acquisita sul piano consuetudinario limitatamente al divieto di tre specifiche fattispecie, qualificate come crimini internazionali: la dominazione coloniale, l’occupazione straniera e i regimi di segregazione razziale (apartheid) o altrimenti gravemente lesivi di diritti umani fondamentali.
Principio in base al quale i popoli hanno diritto di scegliere liberamente il proprio sistema di governo (autodeterminazione interna) e di essere liberi da ogni dominazione esterna, in particolare dal dominio coloniale (autodeterminazione esterna). Proposto durante la Rivoluzione francese e poi sostenuto, con diverse accezioni, da statisti quali Wilson e altri, tale principio implica la considerazione dei diritti dei popoli, in contrapposizione a quella degli Stati intesi come apparati di governo (Stato. Diritto internazionale). In tal senso, si pone potenzialmente in conflitto con la concezione tradizionale della sovranità statale; la sua attuazione deve inoltre essere contemperata con il principio dell’integrità territoriale degli Stati.
Affermato nella Carta Atlantica (14 agosto 1941) e nella Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945; art. 1, par. 2 e 55), il principio di autodeterminazione dei popoli è ribadito nella Dichiarazione dell’Assemblea generale sull'indipendenza dei popoli coloniali (1960); nei Patti sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali (1966); nella Dichiarazione di principi sulle relazioni amichevoli tra Stati, adottata dall'Assemblea generale nel 1970, che raccomanda agli Stati membri dell’ONU di astenersi da azioni di forza volte a contrastare la realizzazione del principio di autodeterminazione e riconosce ai popoli il diritto di resistere, anche con il sostegno di altri Stati e delle Nazioni Unite, ad atti di violenza che possano precluderne l’attuazione.
Nel diritto internazionale, l’affermazione dell’autodeterminazione dei popoli – frutto di un processo graduale a lungo contrastato dai paesi occidentali e fortemente collegato, nella prassi, alla fortunata azione dell’ONU a favore della completa decolonizzazione – è ormai acquisita sul piano consuetudinario limitatamente al divieto di tre specifiche fattispecie, qualificate come crimini internazionali: la dominazione coloniale, l’occupazione straniera e i regimi di segregazione razziale (apartheid) o altrimenti gravemente lesivi di diritti umani fondamentali.
lunedì 26 dicembre 2016
"PARASSITI" FORESTALI
Puntiali come solo gli svizzeri sanno essere, ma di rossocrociato non hanno nulla, anche con l'avvicinarsi delle scadenze di fine anno arrivano da Roma le ennesime nefaste notizie circa sprechi, assistenzialismo e clientele che proseguono indisturbate nelle terre un tempo borboniche.
Titola il Corriere della Sera per introdurre un articolo a firma di Gian Antonio Stella, che inizia così:La Regione Calabria ha 5.887 forestali stabili contro i 277 (ventuno volte di meno) del Veneto, dove il costo (tutto compreso, anche i 347 «stagionali») è di 21 milioni di euro netti contro i 185 milioni di euro che occorrono per i soli stipendi «forestali».
Uno scandalo non nuovo che il governo Renzi ed il Partito Democratico preseguono indefessi e indisturbati, il tutto alla faccia delle regioni virtuose (sapete bene voi quali...) verso le quali sono annunciati con la legge di stabilità ulteriori e milionari tagli ai trasferimenti.Paletta e secchiello: per mettere in sicurezza la terra più esposta d’Italia al rischio idrogeologico, i «forestali» calabresi sono dotati degli strumenti di un bambino in spiaggia. Basti dire che al suo arrivo, sei mesi fa, il nuovo commissario straordinario trovò un esercito di 5.887 uomini e tre ruspe. Tre. Tutte tre fuori servizio. Chiese una Panda: mancava l’assicurazione. A dispetto di spese per circa duecento milioni. Nascoste in un bilancio intenzionalmente impenetrabile. Dieci volte più pesante di quello dei forestali del Veneto. «Questa volta non ci saranno picchetti e occupazioni. Il governo Renzi, grazie al presidente Oliverio e alla delegazione parlamentare PD, ha inserito in legge di Stabilità 50 milioni per lavori socialmente utili (per foraggiare clientele elettorali aggiungiamo noi) e 130 per i forestali!», esulta sul suo blog la deputata Enza Bruno Bossio, «Avanti sulla strada dei diritti!».
Quanto ai soggetti che "beneficiano" di questo ennesimo spreco di denaro il compianto Gianfranco Miglio aveva dato una definizione decisamente condivisibile: "PARASSITI".
domenica 11 dicembre 2016
la LOMBARDIA vuole AUTONOMIA!
Sul "dopo referendum" in questa settimana ne ho lette di tutti i colori, ma l'unica considerazione che voglio fare è quella che segue...
2006 - la LOMBARDIA vota SÌ ad una riforma che aumenta di molto la sua AUTONOMIA.
2016 - la LOMBARDIA vota NO ad una che cancella la sua AUTONOMIA.
Ancora una volta i Lombardi hanno indicato la strada da seguire, percorrerla sino in fondo un dovere per chiunque ama queste Terre...
P.S. senza fare i bimbiminkia... 😏
mercoledì 30 novembre 2016
#IoVotoNO | le grandi bugie di Renzi sul referendum
1
- NON È VERO CHE CON IL SÌ AL REFERENDUM «QUALCOSA COMINCERÀ A MUOVERSI»
Sarà, al contrario, la paralisi definitiva. La Costituzione
diverrà praticamente intoccabile. Ogni modifica richiederà infatti il voto di
una Camera e di un Senato eletti con leggi diverse, in tempi diversi, da
soggetti diversi. Verosimilmente quindi composti da maggioranze diverse. Il
tutto di fatto a supporto di chi sarà al Governo, che avrà in mano presidenza
della Repubblica, Corte costituzionale e tutti gli organi di garanzia...
2
- NON È VERO CHE CON LA RIFORMA RISPARMIEREMO 500 MILIONI
Quello è il costo dell’attuale Senato che, contrariamente a
quanto racconta Renzi, non sarà soppresso. La Ragioneria dello Stato ha
calcolato minori spese per soli 50 milioni. Presto riassorbiti con gli
interessi dalle nuove incombenze. A fronte di risparmi decisamente modesti, si
renderà infatti necessario assumere ulteriore personale per svolgere i nuovi
compiti di studio, controllo, verifica e proposta attribuiti al Senato.
Inoltre, con la nuova legge elettorale lo Stato spenderà centinaia di milioni
in più. Sono quindi una bufala le risorse che dovrebbero liberarsi per il
reddito di cittadinanza o per aumentare le pensioni minime.
3
- NON È VERO CHE IL BICAMERALISMO PARITARIO ESISTE SOLO IN ITALIA
Il bicameralismo paritario che la riforma ha nel mirino (e
che noi intendiamo aggiornare salvaguardando la rappresentanza dei cittadini,
altrimenti tanto vale sopprimere una Camera), esiste nelle due più grandi
democrazie del mondo: Usa e Svizzera. Il monocameralismo è caratteristica
comune di Paesi autoritari come Cina, Arabia Saudita, Turchia, Indonesia, Corea
del Nord...
4
- NON È VERO CHE LA RIFORMA RISPECCHIA LA VOLONTÀ DEGLI ELETTORI
È stata votata da un Parlamento giudicato illegittimamente
eletto dalla Corte Costituzionale: doveva curare solo l’ordinaria
amministrazione. È passata grazie al voto decisivo di 150 parlamentari eletti
nelle file dell’opposizione, impegnati soprattutto a salvare la legislatura per
conservare lo stipendio fino al 2018.
5
- NON È VERO CHE CON LA RIFORMA LE LEGGI SARANNO APPROVATE PIÙ VELOCEMENTE
Oggi le leggi finanziarie che introducono i principali
interventi economici, vengono approvate mediamente in 50 giorni. Su imprese e
giustizia il tempo medio di approvazione è di 46 giorni. Il decreto
Svuotacarceri ha visto la luce in soli 38 giorni. Con la riforma, il solo
passaggio al Senato (che potrà essere richiesto sistematicamente da 1/3 dei
senatori) impegnerà fino a 40 giorni. Sarà preceduto da un tempo indeterminato
alla Camera e seguito da una seconda lettura per discutere le modifiche
proposte dal Senato.
6
- NON È VERO CHE LA RIFORMA SEMPLIFICHERÀ LE PROCEDURE LEGISLATIVE
L’attuale articolo 70 della Costituzione sulla funzione
legislativa, è composto da sole 9 parole; il nuovo articolo 70 ne avrà ben 451.
Oggi sono utilizzabili 4 percorsi legislativi; con la riforma ne avremo almeno
8. E secondo alcuni costituzionalisti le procedure potrebbero arrivare
addirittura a 9, se non 10 o più. A dimostrazione di come la confusa e
frammentaria formulazione delle norme impedisca di individuare con precisione
tutte le possibili varianti. La riforma contiene fra l’altro svariati rinvii ad
altre leggi su aspetti sostanziali delle nuove norme, che risultano quindi
incomplete nel loro contenuto (vedi l’articolo 57 sulla composizione del
Senato).
7
- NON È VERO CHE INUOVI SENATORI SARANNO SCELTI DAI CITTADINI
Saranno nominati dai consiglieri regionali e il 5% dal
presidente della Repubblica, per giunta con pesanti scompensi di rappresentanza
fra una Regione e l’altra. Inoltre, grazie alla «clausola di supremazia», il
Governo potrà chiedere al Parlamento di modificare o abrogare qualsiasi legge
regionale politicamente sgradita.
8
- NON È VERO CHE I SENATORI NON PERCEPIRANNO PIÙ ALCUNA RETRIBUZIONE
Avranno una diaria, il rimborso delle spese di viaggio,
vitto, alloggio e di segreteria. Trattandosi di figure già impegnate come
sindaco o consigliere regionale, c’è da chiedersi come potranno conciliare gli
impegni in Senato e quelli sul territorio.
9
- NON È VERO CHE LA RIFORMA SEMPLIFICHERÀ I RAPPORTI CON LE REGIONI
Il contenzioso sviluppatosi fra Stato e Regioni all’indomani
della riforma del 2001, in questi 15 anni è stato in gran parte superato dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale. La riforma riaprirà lo scontro,
generando altro caos. L’utilizzo di espressioni generiche come «lo Stato ha
legislazione esclusiva circa le disposizioni generali e comuni» su governo del
territorio, scuola, università, politiche sociali, tutela della salute ecc.,
creerà nuovi conflitti e paralisi decisionale.
10
- NON È VERO CHE LA RIFORMA ATTRIBUISCE AL SENATO FUNZIONI SPECIFICHE E BEN
DELIMITATE
L’articolo 55 comma 4 si limita a disporre che «il Senato
della Repubblica... esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti
costitutivi della Repubblica», senza fornire alcuna indicazione in merito
all’attuazione del principio. Quale può essere l’effettivo contenuto delle
prescritte «funzioni di raccordo»? Quali saranno le modalità per esercitarle?
L’attuale sistema delle Conferenze Stato-Regioni deve ritenersi superato?
Approssimazione e superficialità possono avere pericolose conseguenze.
Soprattutto nell’ambito dei rapporti interistituzionali dove, quando i confini
delle attribuzioni e dei compiti risultano incerti, si sviluppano facilmente
prassi inattese e tutt’altro che efficienti.
11
- NON È VERO CHE LA RIFORMA SCONGIURA POSSIBILI CONFLITTI ISTITUZIONALI FRA
CAMERA E SENATO
Per risolvere problemi relativi ad esempio alla scelta del
procedimento legislativo bicamerale o monocamerale, l’articolo 70 comma 6 si
affida a decisioni prese d’intesa fra i presidenti delle Camere «secondo le
norme dei rispettivi regolamenti». Ma cosa succede se i presidenti non
troveranno l’intesa? Cosa potranno stabilire al riguardo i regolamenti? E quale
sarà l’organo deputato a dirimere in via definitiva il conflitto di competenza
fra Camera e Senato?
12
- NON È VERO CHE LA RIFORMA RIDURRÀ GLI SPRECHI
Il centralismo ha sempre ottenuto l’effetto opposto. Fra
1999 e 2015 la diminuzione di personale è stata consistente in Regioni,
Province e Comuni. Non altrettanto nell’Amministrazione centrale. Una ricerca
di Unimpresa segnala che negli ultimi due anni il debito di Regioni e Comuni è
calato di 15 miliardi. Quello dello Stato è cresciuto di 100 miliardi...
13
- NON È VERO CHE LA RIFORMA RAFFORZERÀ LA PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI
Le firme per presentare disegni di legge di iniziativa
popolare, salgono da 50.000 a 150.000. E i parlamentari potranno ancora
cambiare partito senza mollare la poltrona. Circa i referendum propositivi e di
indirizzo (affinché gli italiani non debbano in particolare continuare a
inchinarsi alle scelte dell’Unione Europea senza mai potersi esprimere), la
riforma rinvia tutto a una futura legge costituzionale. Un’autentica presa in
giro! Per non parlare delle clausole che subordinano l’Italia all’Ue.
giovedì 24 novembre 2016
VINCENZO DE LUCA | 'o parassita della clientela
Alla "commedia napoletana", in ogni sua accezione, positiva o negariva che sia, si deve l'aver proposto nei decenni, accanto a formidabili attori e commediografi, anche personaggi la cui limpidezza è paragonabile alla peggio fogna di Calcutta.
Uno di questi, ribalzato alle cronache in questi giorni per l'augurio di morte a Rosy Bindi, è tal De Luca Vincenzo da Salerno.
Già sindaco di quella città e oggi Presidente della Regione Campania. Un personaggio che avrebbe certamente ispirato Antonio De Curtis per qualche film oppure Eduardo De Filippo per una sua commedia.
Autorevole rappresentante del Partito Democratico.
Un vero, nonché verace, politicante espressione della migliore "elite" del mezzogiorno italico abituata a sguazzare tra clientele, favori in cambio di voti, sprechi, ecc, ecc...
Esemplificativo in tal senso quanto riportato da un articolo del Corriere della Sera da cui ho estratto le parti più succose che riporto di seguito.
La definizione migliore per certi soggetti l'aveva fantasticamente coniata il compiato Gianfranco Miglio che li apostrofava con un semplice, ma efficace, "PARASSITA".
Parassita nei confronti di chi lo potete facilmente immaginare...
«Qui non ci sono giornalisti e possiamo finalmente parlare tra di noi...». Comincia così Vincenzo De Luca.
È martedì 15 ed in un albergo a due passi dalla stazione centrale di Napoli, il governatore arringa più di duecento amministratori. Obiettivo: fare vincere il Sì al referendum. Come? E questo è il punto. In venticinque minuti inneggia tra il divertito e il compiaciuto al clientelismo, parla di fondi pubblici ricevuti e da distribuire, invita i sindaci in sala a preoccuparsi nei prossimi giorni solo ed esclusivamente del referendum, mette a disposizione uomini del suo staff istituzionale. E come se non bastasse, chiede una rendicontazione scrupolosa di quel che si farà, ammette di averla sparata grossa, cioè di «aver fatto demagogia», quando alla presenza di Matteo Renzi ha chiesto duecentomila nuove assunzioni negli uffici pubblici meridionali.
Il senso di tutto il discorso è chiaro. «Vi piace Renzi non vi piace Renzi a me non me ne fotte un c...», dice De Luca. Quel che importa — la vera ossessione — è il risultato referendario. Leggere la sintesi dell’intervento di De Luca ai sindaci, pubblicata da Fabrizio d’Esposito su Il Fatto Quotidiano, però non basta. Bisogna ascoltare l’audio, sul sito dello stesso giornale, per coglierne la portata vera, il machiavellismo ridotto ai minimi termini, la dimensione pragmatica della politica elevata a sistema.
«Abbiamo fatto — dice — una chiacchierata con Renzi. Gli abbiamo chiesto 270 milioni di euro per Bagnoli e ce li ha dati. Altri 50 e ce li ha dati. Mezzo miliardo per la Terra dei fuochi e ha detto sì. Abbiamo promesse di finanziamenti per Caserta, Pompei, Ercolano e Paestum. Sono arrivati fiumi di soldi: 2 miliardi e 700 milioni per il Patto per la Campania, altri 308 per Napoli...Che dobbiamo chiedere di più?». Poi spiega che una sconfitta al referendum potrebbe compromettere questa fruttuosa interlocuzione con il governo.
Quindi suggerisce la strategia. «Dobbiamo parlare con i nostri riferimenti. Il mondo delle imprese. Gli studi professionali: utilizzeremo i fondi europei per finanziarli, non l’abbiamo mai fatto in Campania. Il comparto della sanità: questa non è la Toscana, qui il 25% è dei privati, migliaia di persone. Io credo, per come ci siamo comportati, che possiamo permetterci di chiedere a ognuno di loro di fare una riunione con i propri dipendenti e di portarli a votare».
Infine, ecco l’esempio da seguire. È Franco Alfieri, sindaco di Agropoli, non candidato dal Pd alle regionali perché «impresentabile», poi promosso a consulente della Regione con delega all’agricoltura e alla pesca. De Luca lo introduce col tono del presentatore TV, tra gli applausi del pubblico: «Prendiamo lui, notoriamente clientelare. Come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela organizzata, scientifica, razionale come Cristo comanda. Ah, che cosa bella!».
Il compito di Alfieri sarà «di portare a votare la metà dei suoi concittadini, 4 mila persone su 8 mila». E così lo esorta: «Franco, vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come c... vuoi tu! Ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso».
lunedì 21 novembre 2016
Heysel | in memoriam
Ed anche l'ennesima trasferta in terra belga è passata, una due giorni tra amici vecchi e nuovi, grandi birre e un calcio vissuto con passione.
Sono ormai dieci anni che seguo, non solo a Bruxelles ma in giro per il Belgio, l'Union Saint Gilloise, tante partite con ogni sorta di risultato e tutte quelle casalinghe viste dagli spalti dello Stade Marien, la casa Unionista.
Tutte sino a ieri sera. In questa stagione, per via di regolamenti che definire ridicoli è il minimo, l'Union si è dovuta cercare una nuova casa.
La scelta è caduta su uno stadio molto grande, ristrutturato per i campionati europei del duemila, cui è stato dato un nuovo nome, quello di un Re molto amato.
Altre volte lo avevo visto, ma solo da fuori, e sabato sera per la prima volta ci sono entrato.
Non è stato come entrare in altri stadi che ho visitato negli anni passati.
Dalla tribuna, quella centrale dove si ritrovano i tifosi di casa lo si vede bene, è proprio accanto, vuoto come la gran parte di tutti gli altri settori dello stadio, forse per altri vuoto ma non per me.
Ogni volta che giravo lo sguardo erano altre le immagini che vedevo, immagini sgranate come trasmesse da un vecchio televisore, uno dei primi a colori.
Ma i colori che vedevo era pochi.
Il bianco, il nero, il rosso e il verde di un campo di calcio dove non correvano calciatori ma si riversavano persone.
Guardavo e ricordavo.
Ricordavo un ragazzino di nove anni seduto davanti ad un televisore che non capiva cosa stesse accadendo.
Ricordavo quel ragazzino che, voltandosi, vedeva il proprio padre seduto in poltrona fermo a fissare quella scatola senza dire nulla.
Ricordavo e pensavo...
Quel ragazzino ero io, lo stadio l'Heysel, il settore quello "zeta".
Sono ormai dieci anni che seguo, non solo a Bruxelles ma in giro per il Belgio, l'Union Saint Gilloise, tante partite con ogni sorta di risultato e tutte quelle casalinghe viste dagli spalti dello Stade Marien, la casa Unionista.
Tutte sino a ieri sera. In questa stagione, per via di regolamenti che definire ridicoli è il minimo, l'Union si è dovuta cercare una nuova casa.
La scelta è caduta su uno stadio molto grande, ristrutturato per i campionati europei del duemila, cui è stato dato un nuovo nome, quello di un Re molto amato.
Altre volte lo avevo visto, ma solo da fuori, e sabato sera per la prima volta ci sono entrato.
Non è stato come entrare in altri stadi che ho visitato negli anni passati.
Dalla tribuna, quella centrale dove si ritrovano i tifosi di casa lo si vede bene, è proprio accanto, vuoto come la gran parte di tutti gli altri settori dello stadio, forse per altri vuoto ma non per me.
Ogni volta che giravo lo sguardo erano altre le immagini che vedevo, immagini sgranate come trasmesse da un vecchio televisore, uno dei primi a colori.
Ma i colori che vedevo era pochi.
Il bianco, il nero, il rosso e il verde di un campo di calcio dove non correvano calciatori ma si riversavano persone.
Guardavo e ricordavo.
Ricordavo un ragazzino di nove anni seduto davanti ad un televisore che non capiva cosa stesse accadendo.
Ricordavo quel ragazzino che, voltandosi, vedeva il proprio padre seduto in poltrona fermo a fissare quella scatola senza dire nulla.
Ricordavo e pensavo...
Quel ragazzino ero io, lo stadio l'Heysel, il settore quello "zeta".
giovedì 3 novembre 2016
Spesa pubblica locale, risparmi per 23 miliardi con gli standard della Lombardia
Secondo una ricerca dell'Ufficio Studi Confcommercio, i servizi pubblici locali in Italia potrebbero costare poco più di 102 miliardi di euro contro gli attuali 174, il 13% in meno. Regioni a statuto speciale "regine" della spesa, Lombardia la più virtuosa.
"La
riduzione delle inefficienze e degli sprechi nelle Amministrazioni
pubbliche è la condizione necessaria, sebbene non sufficiente, per
intraprendere un percorso di graduale, sicura e generalizzata riduzione
del carico fiscale su famiglie e imprese".
E' la conclusione contenuta nel Rapporto dell'Ufficio Studi Confcommercio "La spesa pubblica locale", presentato nell'ambito del convegno "Meno tasse meno spesa, binomio della ripresa" svoltosi a Roma presso la sede nazionale della Confederazione.
Dallo studio emerge chiaramente come sia di vitale importanza per il nostro Paese riportare la spesa pubblica sotto controllo, agendo con più incisività attraverso la spending review. E, per una volta tanto, non si parte da zero, visto che negli ultimi anni alcuni progressi sono stati fatti, anche se ancora sufficienti. Come nel caso della spesa per consumi finali, che tra il 2012 e il 2014 si è ridotta di quasi 1,4 miliardi scendendo dal 19,6% al 19,5% in rapporto al Pil. Anche se, nello stesso periodo, le uscite complessive delle Amministrazioni pubbliche sono cresciute di poco più di 6 miliardi, passando dal 50,8% al 51,1% in termini di incidenza sul Pil. Se si sposta il dettaglio sulla spesa delle Regioni, si scopre che quella con la minore spesa pro capite in assoluto (2.963 euro) è la Puglia, seguita dalla Lombardia (2.579 euro) e dalla Campania (2.676 euro).
La spesa massima è appannaggio della Val d'Aosta (6.943 euro), che precede Trentino Alto Adige e Sardegna. Si tratta di un quadro piuttosto eterogeneo, in cui le Regioni a statuto speciale spendono ben più delle altre: mediamente 3.814 euro, cioè il 28,7% sopra la media nazionale e il 36% in più rispetto alle Regioni a statuto ordinario (2.812 euro). Interessante anche il fatto che le tre Regioni a statuto ordinario più piccole, Umbria, Molise e Basilicata, presentano una spesa media (3.137 euro) del 5,8% superiore alla media e in ogni caso emerge che la spesa locale è in qualche misura soggetta a economie di scala: maggiore è la popolazione servita, minore è il costo pro capite.
In totale la spesa pubblica gestita localmente è pari a 176,4 miliardi di euro: secondo l'Ufficio Studi Confcommercio ai livelli attuali dei servizi pubblici si potrebbero risparmiare più di 74 miliardi di euro, pari al 42% del totale nazionale. In altre parole, ai prezzi della Lombardia (la Regione benchmark per il calcolo degli sprechi perché presenta livelli di servizio superiori a tutte le altre Regioni) i servizi pubblici locali in Italia potrebbero costare 102,3 miliardi di euro. Tolto il 70% che andrebbe reinvestito nel miglioramento dell'output pubblico resterebbero quasi 23 miliardi di euro di potenziali risparmi netti, pari al 13% della spesa attuale. Quasi la metà potrebbe provenire dalle Regioni a statuto speciale, nelle quali risiede solo il 15,2% dei cittadini, mentre nelle regioni più grandi si potrebbero risparmiare circa 4,2 miliardi di euro.
E' la conclusione contenuta nel Rapporto dell'Ufficio Studi Confcommercio "La spesa pubblica locale", presentato nell'ambito del convegno "Meno tasse meno spesa, binomio della ripresa" svoltosi a Roma presso la sede nazionale della Confederazione.
Dallo studio emerge chiaramente come sia di vitale importanza per il nostro Paese riportare la spesa pubblica sotto controllo, agendo con più incisività attraverso la spending review. E, per una volta tanto, non si parte da zero, visto che negli ultimi anni alcuni progressi sono stati fatti, anche se ancora sufficienti. Come nel caso della spesa per consumi finali, che tra il 2012 e il 2014 si è ridotta di quasi 1,4 miliardi scendendo dal 19,6% al 19,5% in rapporto al Pil. Anche se, nello stesso periodo, le uscite complessive delle Amministrazioni pubbliche sono cresciute di poco più di 6 miliardi, passando dal 50,8% al 51,1% in termini di incidenza sul Pil. Se si sposta il dettaglio sulla spesa delle Regioni, si scopre che quella con la minore spesa pro capite in assoluto (2.963 euro) è la Puglia, seguita dalla Lombardia (2.579 euro) e dalla Campania (2.676 euro).
La spesa massima è appannaggio della Val d'Aosta (6.943 euro), che precede Trentino Alto Adige e Sardegna. Si tratta di un quadro piuttosto eterogeneo, in cui le Regioni a statuto speciale spendono ben più delle altre: mediamente 3.814 euro, cioè il 28,7% sopra la media nazionale e il 36% in più rispetto alle Regioni a statuto ordinario (2.812 euro). Interessante anche il fatto che le tre Regioni a statuto ordinario più piccole, Umbria, Molise e Basilicata, presentano una spesa media (3.137 euro) del 5,8% superiore alla media e in ogni caso emerge che la spesa locale è in qualche misura soggetta a economie di scala: maggiore è la popolazione servita, minore è il costo pro capite.
In totale la spesa pubblica gestita localmente è pari a 176,4 miliardi di euro: secondo l'Ufficio Studi Confcommercio ai livelli attuali dei servizi pubblici si potrebbero risparmiare più di 74 miliardi di euro, pari al 42% del totale nazionale. In altre parole, ai prezzi della Lombardia (la Regione benchmark per il calcolo degli sprechi perché presenta livelli di servizio superiori a tutte le altre Regioni) i servizi pubblici locali in Italia potrebbero costare 102,3 miliardi di euro. Tolto il 70% che andrebbe reinvestito nel miglioramento dell'output pubblico resterebbero quasi 23 miliardi di euro di potenziali risparmi netti, pari al 13% della spesa attuale. Quasi la metà potrebbe provenire dalle Regioni a statuto speciale, nelle quali risiede solo il 15,2% dei cittadini, mentre nelle regioni più grandi si potrebbero risparmiare circa 4,2 miliardi di euro.
domenica 30 ottobre 2016
CATALUNYA | nel 2017 referendum sull'Indipendenza
Prima la “Separazione” a giugno del prossimo anno e referendum sull’indipendenza a settembre 2017. Questa la "road map" tracciata dal presidente della Catalogna Carle Puigdemont per rilanciare la svolta di libertà del suo paese, nonostante l’annullamento delle mozioni di “disconnessione” da parte della Corte costituzionale di Madrid e nonostante le minacce di destituzione da parte del governo centrale. “Nel giugno 2017 la Catalogna sarà pronta per la disconnessione dallo Stato spagnolo”, ha detto Puigdemont davanti al parlamento di Barcellona, che gli ha confermato la fiducia con i 62 voti del suo partito, Junts Pel Si, e i 10 dei secessionisti radicali della Cup (su un totale di 135). Il presidente ha precisato che a fine luglio convocherà il referendum, che si svolgerà “nella seconda metà di settembre”.
Non è chiaro in che condizioni. Se sarà possibile trovare un accordo con Madrid, ha detto, tanto meglio. Altrimenti, ha avvertito, Barcellona andrà avanti comunque con una formula unilaterale. Per Puigdemont “la maggioranza dei catalani vuole una Repubblica catalana indipendente: non c’è altro progetto politico in Europa con un tale appoggio”.
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