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venerdì 12 gennaio 2018

Addio a Rosaleen, madre di Bobby Sands


TheIrishNews - La madre dell’IRA hunger striker e membro del parlamento Bobby Sands è morta oggi. Rosaleen Sands è stata descritta dal presidente dello Sinn Féin Gerry Adams come “una donna forte e ispiratrice” che ha accompagnato suo figlio “durante i momenti più bui”.

“La dignità e la forza che ha mostrato sono state una testimonianza del suo personaggio e della sua convinzione di difendere ciò che era giusto e giusto, anche se ciò significava grande sofferenza per se stessa, il padre di Bobby John e la loro famiglia. Sotto molti aspetti ha incarnato ciò che hanno sopportato tutte le madri degli scioperanti della fame e il suo sacrificio non sarà mai dimenticato”.

Bobby Sands era il militante dell’IRA che guidò lo sciopero della fame nella prigione di Long Kesh negli anni ’80. Il ventisettenne morì nel maggio del 1981 dopo 66 giorni di sciopero della fame. Durante la sua permanenza in prigione, Sands fu eletto deputato per Fermanagh e South Tyrone.

giovedì 11 gennaio 2018

GIANFRANCO MIGLIO | IL CENTENARIO DALLA NASCITA


Nel centenario dalla nascita vi propongo uno scritto lontano nel tempo ma tremendamente attuale, buona lettura.

Ciò che attendiamo dagli Alleati e ciò che loro daremo

Articolo pubblicato su Il Cisalpino, n.1, del 27 aprile 1945.

L’insidia più pericolosa per l’idea federalista è il cosiddetto decentramento amministrativo regionale; più o meno esplicitamente promesso da alcuni partiti. Contro tale insidia mettiamo in guardia soprattutto gli amici del nostro movimento - e sono legione - militanti nella Democrazia Cristiana.

Il decentramento amministrativo regionale è un cavallo di battaglia piuttosto anzianotto, proveniente dalle scuderie del vecchio Partito Popolare, dove da puledro fece bella mostra di sé, senza peraltro riuscire mai a smuovere di una spanna il carro del regionalismo, affondato fino ai mozzi nella ghiaia del lealismo monarchico - e perciò unitario – che quel partito fu indotto ad ostentare per cancellare il ricordo del “non expedit”.

La regione è un’unità con sicuro fondamento nella storia e nelle tradizioni -sottolineano i regionalisti. Ma siffatta affermazione - almeno per la Valpadana - è un ritrito luogo comune, senz'alcun fondamento né storico, né geofisico, né economico. Rileggetevi a tal proposito le storie padane, o, se vi torna più comodo, rileggetevi le opportune voci dell’Enciclopedia Treccani: fonte non sospetta di federalismo. L’unica regione settentrionale che vanti un’unità multi secolare è la Liguria.

Essa sola ci appare configurata all’incirca com’è ora fin dai tempi danteschi (1300), quando la geografia non conosceva ancora né un Piemonte, né una Lombardia, né un’Emilia, né un Veneto, né una Venezia Giulia o Tridentina costituite in unità politiche od amministrative.

Cent’anni più tardi il “ducato” di Milano – ossia la Lombardia politica -comprende 25 “città” e si estende a tutto il Ticino svizzero, a circa un terzo dell’attuale Piemonte, a gran parte dell’Emilia, ad alcune provincie venete, mentre il Veneto veneziano è ancora limitato ad una striscia costiera. Il Piemonte si configura all'incirca come l’attuale regione solo con la pace di Aquisgrana (1748), la quale gli attribuisce però l’intera Lomellina e l’Oltrepo pavese, mentre dal medesimo trattato la Lombardia politica esce ridotta alle sole provincie di Varese, di Como, di Milano ed a porzioni delle provincie di Pavia, di Cremona e di Mantova.

La Venezia Tridentina è sempre limitata alla diocesi di Trento. Il Veneto politico invade largamente la Lombardia, alla quale sottrae Bergamo, Brescia e Crema, il territorio emiliano è ripartito fra tre diversi stati. Napoleone nel 1799 riduce il Veneto all'incirca entro i confini moderni, ma fonde la Lombardia, l’Emilia centrorientale e le Romagne nell'unità politica della Repubblica Cisalpina, mentre col successivo Regno Italico (1810) il Piemonte fino al Sesia, la Liguria, l’Oltrepo pavese, Piacenza e Parma vengono incorporati all'impero francese.

Dov’è dunque la vantata antichità che valorizzi storicamente le circoscrizioni regionali del Settentrione? In realtà la ripartizione dell’Italia nelle attuali 18 regioni venne proposta da Pietro Maestri - l’ostaggio delle cinque giornate - e fu accolta per la prima volta nelle pubblicazioni ufficiali del regno solo nel 1863: conta meno di un secolo: un’inezia per un popolo che vanta millenni di storia.

Noi siamo nettamente contrari al regionalismo “storico”. Esso segnerebbe un regresso nella nostra educazione politica perché riattizzerebbe fatalmente residui motivi campanilistici più di quanto riuscirebbe ad addestrare le nostre masse alle responsabilità dell’autogoverno, ossia alla vera democrazia.
Se noi ci fermassimo ai limitati spazi regionali, noi non potremmo rivendicare che una piccola frazione delle libertà e delle autonomie che ci occorrono per addestrare i cittadini di ciascun “Cantone” italiano al consapevole contemperamento delle aspirazioni di classe e, degli interessi locali con le necessità dell’intera Confederazione Italica e con le esigenze di una pacifica collaborazione internazionale.

Teniamo infatti a ben sottolineare che il nostro federalismo vuol essere tirocinio che prepari gli italiani al progressismo internazionalista. Il mondo marcia verso l’internazionale politica oltre che economica: se così non fosse anche la seconda guerra mondiale sarebbe un’inutile strage.
Urge pertanto di rieducare politicamente gli italiani con sana pedagogia democratica e con intenso addestramento elettorale, il che può ottenersi, meglio e più rapidamente che per ogni altra via, nel circuito di circoscrizioni cantonali che abbiano tanto contenuto politico-amministrativo da richiamare costantemente l’interesse diretto di larghe masse di cittadini.

Ma che cos'è dunque il “Cantone” per il quale si battono i federalisti cisalpini? E’ un razionale spazio geofisico, economicamente e demograficamente individuato e costituito di unità capace di fornire materia per una vita politico-amministrativa autonoma e fattiva, col minimo possibile di ciarpame burocratico. La Liguria, il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia e le Tre Venezie, ossia tutta l’Italia settentrionale nel suo insieme costituisce un’armonica unità geografica, economica, etnica e spirituale, ben degna di governare sé stessa: sarà il “Cantone Cisalpino”, con capitale in Milano, baricentro della Val Padana, sarà il cantone campione che rimorchierà l’Italia intera sull'erta del risorgimento nazionale.

E quali dovrebbero essere gli altri “Cantoni” d’Italia? Ligi al principio democratico i federalisti cisalpini rispetteranno la piena libertà dei fratelli peninsulari di ordinare i rispettivi cantoni nel modo che essi riterranno migliore. Non è tuttavia chi non veda come la Sicilia e la Sardegna abbiano dalla natura stessa, oltre che dalla storia, dall'indole della popolazione, dal proprio dialetto, dal propri interessi economici il diritto di costituirsi a “Cantone Siculo” e “Cantone Sardo”, rispettivamente con capitale a Palermo ed a Cagliari.

Con altrettanta evidenza Napoli – metropoli intellettuale e storica del Mezzogiorno - ha ben diritto di costituirsi a capitale d’un “Cantone” che difenda ed armonizzi ed acceleri la rinascita economica della Calabria, della Lucania, delle Puglie, della Campania, del Molise e fors’anche dell’Abruzzo.
Meno evidente è invece l’interesse delle regioni centrali a costituirsi in un unico cantone con capitale in Roma oppure con capitale in Firenze, lasciando l’Urbe retta a Territorio federale autonomo, o piuttosto in un “Cantone” Tosco-Umbro-Marchigiano - il cantone a schietta economia mezzadrile - gravitante su Firenze, ed in un “Cantone” Laziale gravitante su Roma. Ne devono giudicare le popolazioni interessate. L’Urbe - decongestionata dalla pletorica burocrazia che vi si annida e che vi si anniderebbe in qualsiasi Italia a struttura centralizzata – sarà sempre la sede naturale e necessaria dei Governo Federale, la Patria comune delle genti italiche.

Il nostro è un abbozzo. I cisalpini, che la comune fede democratica convoglia nel movimento federalista da diversi partiti politici - non intendono minimamente forzare i fratelli peninsulari e costituirsi in quattro piuttosto che in otto cantoni. La razionalità dei cantoni peninsulari emergerà dalla libera discussione e valutazione degli interessi locali e tale razionalità sarà la migliore garanzia dell’efficienza della futura vita politico-amministrativa dei Cantoni italici.

venerdì 22 dicembre 2017

CATALUNYA | vincono gli Indipendentisti e sparisce Rajoy


Ieri si è votato in Catalogna, alla fine di una delle campagne elettorali più eccezionali e imprevedibili degli ultimi anni in Europa. Le elezioni erano state convocate dal primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, dopo l’inizio di una grave crisi tra governo catalano e stato spagnolo: cioè dopo il referendum sull'indipendenza della Catalogna dell’1 ottobre e la successiva dichiarazione d’indipendenza approvata dal Parlamento catalano, entrambe giudicate illegali dal governo spagnolo. Il voto di ieri, nelle intenzioni di Rajoy, avrebbe dovuto disinnescare il progetto indipendentista, ma le cose sono andate diversamente.

Il blocco indipendentista – formato da Junts per Catalunya (JxCat), la lista dell’ex presidente Carles Puigdemont, Esquerra Republicana (ERC), la sinistra indipendentista dell’ex vicepresidente Oriol Junqueras, e la CUP, la sinistra radicale – ha ottenuto di nuovo la maggioranza parlamentare: 70 seggi, due in più di quelli necessari per controllare il Parlamento catalano.

La lista più votata del blocco indipendentista è stata quella dell’ex presidente Carles Puigdemont, che ha dichiarato: "In qualità di Presidente legittimo, mi complimento con i cittadini catalani per la partecipazione record. Il risultato non può essere messo in dubbio: la Repubblica Catalana ha battuto la monarchia del 155. Mariano Rajoy Brey ha perso, il Governo legittimo deve tornare a guidare il paese e tutti i prigionieri politici devono essere liberati. L'Europa deve prendere nota che la ricetta di Rajoy non funziona"

Primo partito Ciudadanos che, per bocca del suo leader nazionale Alberto Rivera, lascia trasparire chiaramente l'impronta neofranchista che gli ha permesse di svuotare il seppur esiguo bacino elettorale del Partito Popolare di Rajoy che ha raccolto solo tre seggi. 

Ha dichiarato infatti Rivera: “Non siamo stati duri noi, ma molle il Pp che per 35 anni ha costruito il proprio potere a Madrid scendendo a patti con i nazionalisti e concedendo loro quel che volevano", punta il dito il leader del primo partito catalano, sostenendo che "quando si passano tre decenni a cedere spazio a chi cerca di occuparlo tutto, finisci per trovarti fuori. Ed è quello che è successo".

Per la seconda volta in pochi giorni, la prima è avvenuta in Corsica, un vento caldo di libertà sferza un'Europa incapace di comprendere come il modello dello "stato-nazione" si stia incrinando ogni giorni di più.

Un vento che ostinatamente soffia anche in un certo NORD, quello della Valle del Grande Fiume.

lunedì 11 dicembre 2017

CORSICA | grande vittoria dei nazionalisti



Domenica scorsa, 10 dicembre, la coalizione autonomista e indipendentista “Pe’ a Corsica” di Gilles Simeoni e Jean-Guy Talamoni ha vinto il secondo turno delle elezioni territoriali in Corsica con il 56,5 per cento dei voti, e 41 su 63 dei nuovi consiglieri dell'assemblea.

Le altre tre liste che avevano superato il primo turno sono arrivate molto indietro : quella di Jean-Martin Mondoloni (destra regionalista) ha ottenuto il 18,29 per cento, quella de La République en Marche – il partito del presidente francese Macron – guidata da Jean-Charles Orsucci il 12,67 e quella de Les Républicains di Valérie Bozzi – cioè il tradizionale centrodestra francese – il 12,57.
Il candidato del Front National non pervenuto al primo turno...

Quelle di domenica sono state elezioni anticipate, perché dal primo gennaio del 2018 ci sarà una riorganizzazione territoriale della Corsica: la nuova “Assemblea della Collettività” – che sarà formata da 63 rappresentanti – sostituirà i due dipartimenti in cui è stata finora divisa l’isola.

Gilles Simeoni diventerà il primo presidente di questa nuova Collettività: figlio di uno dei “padri” del nazionalismo corso, Edmond Simeoni, che nel 1975 vicino ad Aleria guidò con il fratello la prima azione del movimento autonomista: con circa 30 uomini armati di fucili da caccia occupò una cantina vinicola appartenente a un importante imprenditore di origine pieds-noirs, un ex colono francese in nord Africa, per protestare contro una truffa che minacciava di rovinare centinaia di piccoli viticoltori. Gilles Simeoni militò nel movimento fondato dal padre e divenne famoso per aver difeso in tribunale l’indipendentista corso militante Yvan Colonna, condannato all’ergastolo perché accusato di essere l’autore dell’omicidio del Prefetto Claude Érignac il 6 febbraio 1998 ad Ajaccio. Nel 2014 Gilles Simeoni è stato poi eletto sindaco di Bastia e ha contribuito ai successi elettorali della coalizione nazionalista dei successivi due anni.

Dopo la vittoria Gilles Simeoni ha detto che «Parigi avrà oggi una misura di ciò che sta accadendo in Corsica». Domenica notte il primo ministro Edouard Philippe ha chiamato il leader autonomista inviandogli le proprie «congratulazioni repubblicane» e dicendo di essere disponibile «a riceverlo». Anche il ministro dell’Interno del governo Macron, Gérard Collomb, ha voluto assicurare «ai nuovi eletti la disponibilità del governo, in uno spirito di ascolto, dialogo e rispetto reciproco». Simeoni ha spiegato ai rappresentanti del governo Macron che «al di là della cortesia formale, ci aspettiamo e speriamo in un dialogo autentico: le condizioni non sono mai state così favorevoli per la questione corsa da risolvere in modo pacifico e duraturo con una soluzione politica».

venerdì 9 giugno 2017

INDIPENDENZA | La Catalogna sfida Madrid: «Referendum per l'Indipendenza l’1 ottobre».


L'annuncio del presidente Carles Puigdemont: «Ai catalani verrà chiesto se vogliono che la Catalogna sia uno stato indipendente e repubblicano».

Il presidente catalano Carles Puigdemont ha lanciato questa mattina l’ultima sfida allo stato spagnolo annunciando che il referendum sull’indipendenza della Catalogna sarà convocato il primo ottobre prossimo malgrado il veto del governo di Madrid. Ai catalani sarà chiesto, ha detto, se vogliono che la Catalogna sia «uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica».

Rajoy: «Illegale»


L'annuncio di Puigdemont aggrava la crisi in corso con Madrid, dagli sviluppi imprevedibili. Il premier conservatore spagnolo Mariano Rajoy ha dichiarato «illegale» e «anticostituzionale» il referendum catalano, affermando che ne impedirà lo svolgimento. Puigdemont ha annunciato in forma solenne la data della convocazione del referendum nella sede della Generalità catalana, circondato da tutto il governo e dai deputati indipendentisti che hanno la maggioranza assoluta nel parlamento di Barcellona. Per ora non è stato firmato alcun atto ufficiale per evitare che Madrid faccia immediatamente ricorso alla Corte costituzionale spagnola per bloccare la convocazione e chiedere misure contro i dirigenti catalani. Puigdemont ha accusato il governo di Madrid di non avere dato alcuna risposta positiva alle offerte di negoziato da parte della Catalogna. Il «President» ha fatto risalire l'aggravamento del conflitto con la Spagna alla sentenza della corte costituzionale di Madrid di 7 anni fa che aveva bocciato lo «statuto catalano» votato dai parlamenti di Madrid e Barcellona e approvato con un referendum dalla popolazione catalana. Da allora «tutte le nostre proposte sono state respinte», ha detto, e da Madrid è giunta «una lunga serie di no».

lunedì 30 gennaio 2017

45 YEARS AGO, NEVER FORGET "BLOODY SUNDAY"


Bloody Sunday (in gaelico: Domhnach na Fola), letteralmente "Domenica di sangue", è il termine con cui si indicano gli eventi accaduti nella città di Derry, Irlanda del Nord, il 30 gennaio del 1972, quando il 1º Battaglione del Reggimento Paracadutisti dell'esercito britannico aprì il fuoco contro una folla di manifestanti per i diritti civili, colpendone 26.

Tredici persone, la maggior parte delle quali molto giovani (di cui sei minorenni), furono colpite a morte, mentre una quattordicesima morì quattro mesi più tardi per le ferite riportate.

Due manifestanti rimasero feriti in seguito all'investimento da parte di veicoli militari.
Molti testimoni, compresi alcuni giornalisti (tra i quali l'italiano Fulvio Grimaldi), affermarono che i manifestanti colpiti erano disarmati.
Cinque vittime inoltre furono colpite alle spalle. Nel 2003 un ex paracadutista inglese confessò di aver sparato a Barney McGuigan, che sollevava un fazzoletto bianco, uccidendolo.

mercoledì 10 agosto 2016

GIANFRANCO MIGLIO | il ricordo a 15 anni dalla scomparsa


Ogni giornata che viviamo è corredata da diversi anniversari, alcuni lieti come altri fonte di tristezza e ricordo. Quella di oggi ricade nella seconda delle due categorie.

Cade oggi infatti il 15° anniversario dalla scomparsa di Gianfranco Miglio e per ricordarlo vi proponiamo una breve biografia, certo non esaustiva di tutta la storia personale, di uno dei Grandi di Lombardia cui le nostre terre hanno dato i natali.


Buona lettura. 

Nacque a Como l’11 gennaio del 1918, terzo di quattro figli, da Leonida, di professione pediatra, e da Maria Rosa Pagani.

In famiglia – di nobili origini per la parte paterna e da secoli insediata nell’Alto Lario – respirò un clima intriso di positivismo e di passione per la scienza, che ne condizionò la formazione ideale e gli interessi culturali; per tutta la vita, accanto agli studi politici, egli avrebbe coltivato un forte interesse per le discipline naturalistiche, per la geografia e, in particolare, per l’architettura. 

LA FORMAZIONE GIOVANILE 


Dopo gli studi liceali, nel 1936 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università cattolica di Milano, dove ebbe come maestri il giurista G. Balladore Pallieri (con il quale si laureò nel 1940 con un lavoro avente come tema «Le origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche nell’Età moderna») e il filosofo della politica A. Passerin d’Entrèves (che lo avviò allo studio di Th. Hobbes e gli fece conoscere l’opera di C. Schmitt). 

Nel periodo tra la fine del regime mussoliniano e la nascita della Repubblica frequentò gli ambienti dell’antifascismo cattolico lombardo e aderì al gruppo di federalisti che si raccoglieva intorno al periodico Il Cisalpino diretto da T. Zerbi. Nel 1943 si iscrisse alla Democrazia cristiana (DC), nelle cui file militò sino al 1959, quando se ne distaccò polemicamente non condividendone quella che giudicava una deriva clientelare e affaristica. 

Nel frattempo aveva iniziato una brillante carriera accademica all’interno dell’Università cattolica. Libero docente di storia delle dottrine politiche nel 1948, divenne straordinario della stessa disciplina nel 1956, per poi assumere, a partire dal 1959, l’incarico di preside della facoltà di scienze politiche, che mantenne ininterrottamente sino al 1989.

I PRIMI LAVORI 


I suoi primi lavori a stampa – il volume del 1942 dedicato a La controversia sui limiti del commercio neutrale fra G.M. Lampredi e F. Galiani (Milano), il saggio dello stesso anno su Marsilio da Padova (La crisi dell’universalismo politico medioevale e la formazione ideologica del particolarismo statuale moderno, Padova), lo scritto del 1955 su La struttura ideologica della monarchia greca arcaica ed il concetto «patrimoniale» dello Stato nell’Età antica, la prolusione del 1957 sui caratteri che rendono unitaria e peculiare la tradizione politica occidentale – già denotavano alcuni dei temi che sarebbero stati al centro delle sue successive ricerche: la relazione tra la politica e il diritto, entrambi caratterizzati da una reciproca autonomia, basati l’una sul rapporto di obbligazione e l’altro su una logica contrattuale; la dialettica tra l’ordine politico «interno» (fondato sulla concordia civile, sul principio di «esclusione» e sulla distinzione tra governanti e governati, tra comando e obbedienza) e la sfera dei rapporti «esterni» o internazionali (che restano il regno della forza, e dunque della guerra, a dispetto dei tentativi fatti per sottoporre i rapporti tra unità politiche sovrane a forme di regolamentazione giuridica); la tendenza, tipica degli ordinamenti politici, a concentrare il potere e l’autorità nelle mani di gruppi ristretti (l’oligarchia) o di un sovrano (la monocrazia).

Ma mostravano al tempo stesso un approccio allo studio dei fenomeni politici che sarebbe anch’esso rimasto costante nei successivi decenni, caratterizzato – oltre che da un esplicito riduzionismo metodologico, da una visione razionale della storia e da un realismo non privo di agnosticismo – dall’attenzione per i «tempi lunghi» della storia, per le «regolarità» empiriche che scandiscono, al di là delle contingenze spazio-temporali, la vita di ogni comunità politica organizzata e più in generale i comportamenti politici, per l’intreccio tra dottrine e istituzioni politiche, per i caratteri che fondano il «politico» inteso come sfera autonoma e originaria dell’azione sociale.  

L’EVOLUZIONE DEGLI STUDI 

A partire da questi assunti teorici si comprende meglio il passaggio, negli anni Sessanta, dagli studi in chiave storica a una conoscenza, per quanto possibile, freddamente scientifica e oggettiva della politica, che da allora in poi divenne l’obiettivo precipuo del suo impegno intellettuale. 

In questo nuovo quadro vanno inserite, per esempio, le sue ricerche sulla storia e la scienza dell’amministrazione, ispirate alla convinzione che lo sviluppo storico dello Stato moderno, dalla sua fase monarchico-assolutistica a quella costituzionale-sociale novecentesca, sia stato non solo il frutto di una complessa elaborazione «ideologica» le cui radici affondano nella teologia politica della Controriforma e nel mito, anch’esso di natura religiosa, dell’unità del potere sovrano, ma abbia anche obbedito a una intrinseca razionalità di natura tecnico-giuridica, che storicamente si è espressa nel decisivo ruolo di governo assunto, a partire dal XVII secolo, dal ceto dei burocrati di professione nei diversi rami dell’amministrazione statale. 

Su queste tematiche svolse anche un’intensa opera di organizzatore culturale, attraverso la costituzione, nel 1959, dell’Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica e, nel 1961, della Fondazione italiana per la storia amministrativa. Il suo obiettivo, attraverso queste iniziative, la seconda in particolare, fu quello di riformare l’amministrazione pubblica italiana e di creare una grande scuola di governo sul modello dell’École nationale d’administration (ENA) francese. Un tentativo frustrato dalla classe politica del periodo, che finì ben presto per lesinare finanziamenti e sostegno organizzativo a quest’ambizioso progetto. Il che spinse il M., qualche anno più tardi, a spostare la sua attività dal versante «pubblico» a quello «privato» e ad avviare una stretta collaborazione con E. Cefis, per conto del quale diresse la scuola di formazione dell’ENI.

Il suo intendimento, anche in questo caso, fu quello di contribuire alla selezione dei gruppi dirigenti e dei quadri tecnici necessari per il buon funzionamento dell’apparato politico pubblico e, in particolare, di un sistema economico, quello capitalistico-industriale, sempre più segnato dalla presenza delle grandi aziende multinazionali.  


LA SCIENZA POLITICA 

Sempre nel contesto di una scienza della politica che il M. voleva demistificante e avalutativa, sulla scia degli insegnamenti di M. Weber e della tradizione della Staatslehre germanica, va inserita anche la prolusione accademica che tenne nel 1964 sul tema Le trasformazioni dell’attuale regime politico. 

In essa, tra molte contestazioni, egli ipotizzò, partendo da una analisi assai critica della situazione politica italiana, la crisi dell’ordinamento repubblicano vigente (basato sullo Stato di diritto e su una forma di parlamentarismo assoluto o «integrale») e la sua evoluzione verso un modello costituzionale di stampo autoritario e plebiscitario, l’unico a suo giudizio in grado di legittimare una classe politica ideologicamente coesa e sottratta al condizionamento dei partiti e della molteplicità di interessi, spesso divergenti, da questi ultimi rappresentati. Da questa interpretazione del «caso italiano» – considerato emblematico del declino del modello statuale classico e delle trasformazioni che stavano investendo i regimi elettivo-rappresentativi sotto la spinta di un tumultuoso progresso tecnologico – il M. sarebbe partito per le sue ricerche in materia di «ingegneria istituzionale», che lo tennero occupato per circa un decennio e che sarebbero culminate, negli anni Ottanta, in un articolato e ambizioso progetto di revisione costituzionale. Le proposte elaborate dal Gruppo di Milano, dal nome della commissione di studio da lui promossa e coordinata tra il 1980 e il 1983, puntavano a risolvere il deficit di autorità e di capacità decisionale dei governi italiani attraverso l’elezione diretta del primo ministro, il conseguente ampliamento dei poteri dell’esecutivo, il meccanismo della «sfiducia costruttiva» e il rafforzamento dei poteri di garanzia rappresentati dal capo dello Stato (eletto dal Parlamento nella veste di «custode» della Costituzione) e dalla Corte costituzionale. 

Un progetto nel segno del «decisionismo», concetto che il M. aveva mutuato dal pensiero di Schmitt, che egli aveva fatto conoscere in Italia nel 1972 curandone una raccolta di saggi, Le categorie del «politico» (Bologna), che ebbe una grande influenza sul dibattito politico-giuridico di quegli anni e che segnò in modo irreversibile la fortuna del giurista tedesco nella cultura italiana. L’idea era che, stante l’avversione delle forze politiche a un cambiamento radicale dell’assetto istituzionale vigente, che avrebbe finito per ridurre il loro controllo sulla macchina pubblica, si sarebbe dovuto procedere forzando i meccanismi di revisione previsti dall’art. 138 della Costituzione, attuando uno «sbrego», come egli lo definiva, che sarebbe poi stato sanato attraverso lo strumento del referendum popolare.

Le proposte del Gruppo, per quanto oggetto di un ampio dibattito, non ebbero tuttavia alcun seguito politico, rafforzando così il convincimento che nell’Italia dominata dalla «partitocrazia» un cambiamento delle regole del gioco si sarebbe potuto ottenere solo dall’esterno del sistema, attraverso una crisi politica o economica di vasta portata.  


L’IMPEGNO POLITICO 

Lasciato l’insegnamento universitario, nel 1988, l’ultima fase della vita, quella che lo portò a diventare un personaggio assai noto anche presso il largo pubblico, fu segnata dall’avvicinamento al movimento leghista, dall’impegno politico-parlamentare e da una strenua battaglia a favore del federalismo. 

Nel Movimento Lega Nord, dopo le delusioni degli anni precedenti, egli vide ciò che Pareto aveva visto nel fascismo nascente: una forza politica nuova e radicale, popolare e ideologicamente motivata, estranea ai tradizionali giochi di potere, in grado perciò di imprimere una spallata decisiva a un regime politico che egli giudicava in crisi irreversibile e al suo inter;no profondamente corrotto.

Pur senza aderire formalmente alla Lega, il M. accettò di candidarsi al Senato come indipendente nelle sue file, dove venne eletto nelle legislature XI (aprile 1992-aprile 1994) e XII (aprile 1994-maggio 1996). Ma i contrasti insorti ben presto con il leader leghista U. Bossi, che non ne appoggiò la nomina a ministro per le Riforme istituzionali nel primo governo Berlusconi (maggio 1994), lo spinsero a una traumatica rottura, che avrebbe raccontato in un caustico libretto apparso nel settembre di quello stesso anno (Io Bossi e la Lega: diario segreto dei miei quattro anni nel Carroccio, Milano). Dopo l’allontanamento dalla Lega, nel 1995 diede vita al Partito Federalista, del quale fu presidente. L’alleanza con il Polo delle libertà gli consentì di essere nuovamente eletto al Senato per la XIII legislatura (maggio 1996-maggio 2001). 


In questo periodo, segnato da un non facile equilibrio tra analisi scientifica e impegno politico militante, la sua antica polemica contro lo Stato unitario e accentratore lo portò a sostenere la legittimità della rivolta fiscale e della disobbedienza civile e a farsi paladino di un modello federale di matrice contrattualistica che prevedeva, sull’esempio dei cantoni svizzeri, la divisione dell’Italia in alcune grandi aree macroregionali e la nascita di una forma di governo di stampo «direttoriale». Una prospettiva istituzionale e una battaglia politica talmente radicali da accentuare la sua antica fama di studioso eccentrico e solitario.

Morì a Como il 10 agosto 2001.


Biografia tratta da: www.treccani.it – Dizionario Biografico degli Italiani

domenica 6 dicembre 2015

REGIONALES2015 | Liberté Autonomie Fédéralisme

Un sincero augurio per un grande risultato a tutte le liste, movimenti e partiti alsaziani, bretoni, corsi, occitani, baschi, savoiardi e dei territori d'oltremare che in nome della libertà, dell'autonomia, del federalismo e dell'indipendenza si presentano oggi nel primo turno delle elezioni dipartimentali francesi (le nostre regionali).

‪‎Alsazia‬ ‪Bretagna‬ ‪Corsica‬ ‪Occitania‬ ‪Euskadi‬ ‪Savoia‬ ‪Libertà‬ ‪Autonomia‬ ‪‎Federalismo‬ ‪Indipendenza‬ ‪Francia‬ ‪‎Regionales2015‬


sabato 19 settembre 2015

Buon Compleanno Umberto!


Correva l'anno 1992, avevo appena compiuto 16 anni, e si era alla vigilia delle elezioni politiche che avrebbero portato, per la prima volta, ad una presenza importante in parlamento della Lega Nord.

Tra le numerose tappe di quella campagna elettorale ne ricordo una in particolare, il primo comizio di Umberto Bossi che ascoltai dal vivo a Crema in Piazza Garibaldi.

Da quel giorno iniziò l'interesse, cresciuto negli anni fino a sfociare nella militanza arrivata a quasi tre lustri nel movimento, per gli ideali di libertà, autonomia e federalismo nei quali continuo a credere.

Grazie Umberto e Auguri per il tuo 74esimo Compleanno, per tutto quello che è stato col rammarico di cosa poteva ancora essere fatto se la malattia non avesse incrociato la tua strada e tutti quei parassiti che da essa hanno ottenuto prebende, coltivato interessi e sfasciato il movimento non ne avessero approfittato.

Parassiti (cerchisti per gli "amici") che ancora oggi, in molti casi, infestano il movimento...

domenica 22 febbraio 2015

LOMBARDIA, Sì al Referendum sull'Autonomia!

Nei prossimi mesi i cittadini lombardi saranno chiamati ad esprimersi sulla richiesta allo Stato di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Il Consiglio regionale nella seduta dello scorso 17 febbraio ha approvato oggi la proposta di referendum consultivo secondo quanto stabilito dallo Statuto Regionale.

Il testo del quesito, condiviso 
all'interno della Commissione Affari istituzionali e poi approvato dall'Aula, è il seguente: Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116, terzo comma della Costituzione?”.

La proposta doveva raccogliere per Statuto i 2/3 dei consensi dell’Aula: a favore si sono espressi 58 consiglieri (Lega Nord, Lista Maroni, Forza Italia, NCD, Fratelli d’Italia, Pensionati, Gruppo Misto e M5S), contrari 20 (PD, ad eccezione del consigliere Corrado Tomasi che ha votato a favore, e Patto Civico). 

Questa Regione ha tutti i motivi di reclamare autonomia politica e amministrativa – ha detto il relatore Stefano Bruno Galli (Lista Maroni) – perché parte dei Quattro motori d’Europa, propulsore della Strategia macro regionale alpina e alla luce del suo peso del 21% del PIL nazionale e dei 54 miliardi di residuo fiscale. La differenziazione deve essere un criterio di premialità”. Galli ha annunciato, poi, l’elaborazione di una risoluzione ad hoc dove esplicitare materie concorrenti e correlate su cui si richiede maggiore autonomia.”

sabato 4 ottobre 2014

SCOZIA | immagini di libertà

Immagini di una battaglia persa, NON DELLA GUERRA, sulla strada per l'INDIPENDENZA...

















venerdì 23 dicembre 2011

In memoria di Václav Havel

Václav Havel (Praga, 5 ottobre 1936 – Hrádeček, 18 dicembre 2011) è stato uno scrittore, drammaturgo e politico ceco. È stato l'ultimo presidente della Cecoslovacchia ed il primo presidente della Repubblica Ceca.

Havel nacque in una famiglia benestante di Praga. Frequentò la scuola dell'obbligo in un istituto della capitale. Incontrò gravi difficoltà a seguire serenamente gli studi liceali. Nel 1948 il partito comunista prese il potere con un colpo di stato appoggiato dall'Unione Sovietica. Il regime accusò la famiglia di Havel di simpatie filo-tedesche.

Vaclav riuscì tuttavia a frequentare i corsi serali dell' Università Tecnica Ceca di Praga fino al 1957. Dopo il servizio militare lavorò (1960) come macchinista in alcuni teatri di Praga, fra cui il Divadlo Na zábradlí, dove rappresentò alcune delle sue prime opere, e studiò drammaturgia per corrispondenza. Il suo primo lavoro messo in scena fu La festa in giardino (1963), mentre l'opera più conosciuta in Occidente è il Largo Desolato. Il suo teatro, fortemente impegnato sul profilo politico, intende "provocare l'intelligenza dello spettatore, appellarsi alla sua fantasia, costringendolo a riflettere su questioni che lo toccano direttamente in maniera da vivere intimamente il messaggio teatrale".

Sull'onda della repressione seguita alla fine della Primavera di Praga nel 1968 fu bandito dal teatro e iniziò un'intensa attività politica, culminata con la pubblicazione del manifesto Charta 77, la cui scrittura prese spunto dall'imprigionamento dei componenti la formazione musicale ceca di musica psichedelica dei Plastic People of the Universe. Il suo attivismo politico di dissidente gli costò cinque anni di prigione. In una delle opere che lo hanno reso celebre, Il potere dei senza potere, Havel ha brillantemente teorizzato il cosiddetto Post-totalitarismo, termine usato per descrivere il moderno ordine socio-politico che ha fatto sì che la gente potesse, per usare le sue parole, "vivere all'interno di una menzogna".

Sostenitore appassionato della non-violenza, è stato uno dei leader della cosiddetta Rivoluzione di Velluto del 1989 contro il regime comunista, durante la quale fu arrestato di nuovo, il 28 ottobre. Il 29 dicembre 1989, nella sua qualità di capo del Forum Civico, fu eletto presidente dall'Assemblea Federale.
La sua presidenza fu caratterizzata da un orientamento politico anti-comunista di destra moderata e liberale, favorevole ad un'economia di mercato.

sabato 2 gennaio 2010

libertà di espressione


Tenta di uccidere il disegnatore delle vignette su Maometto: somalo arrestato
Cerca di introdursi in casa di Kurt Westergaard con un'ascia. La polizia lo cattura: «Collegato ad Al Qaeda»

COPENAGHEN - La polizia danese ha ferito e arrestato un uomo armato che si era introdotto nella casa dell'autore delle vignette su Maometto, nella tarda serata di ieri, presso la cittá di Arhus. L'aggressore, un 28enne di origine somala, aveva con sé un ascia e un coltello e gridava: «vendetta», «sangue». Il vignettista, Kurt Westergaard, 74 anni, è riuscito a salvarsi chiudendosi e barricandosi in una stanza e riuscendo a chiamare polizia. Gli agenti intervenuti hanno poi fatto fuoco, ferendo il somalo ad una mano e un ginocchio.

Kurt Westergaard (Ansa)MINACCIA SERIA - L'episodio è direttamente legato alla feroce polemica sulle vignette satiriche che toccavano anche Maomentto. Secondo i servizi danesi di sicurezza, l'aggressore è collegato ai miliziani islamisti somali Al Shabab e al ramo di al Qaeda in Africa orientale. «Consideriamo la vicenda molto seriamente», ha commentato il responsabile, Jakob Scharf. Diverse unitá di sicurezza sono intervenute nella casa di Westergaard e il vignettista è stato subito trasferito in un altro luogo. La vignetta di Westergaard -Maometto con le bombe nascoste nel turbante- è uno dei 12 disegni satirici che furono pubblicati nel 2005 dal quotidiano danese Jyllands-Posten, provocando un'ondata di violente proteste nei paesi musulmani nel 2006. Da allora Westergaard ha ricevuto diverse minacce di morte ed è sotto la protezione della polizia. In ottobre le autoritá americane hanno arrestato due presunti terroristi negli Stati Uniti accusati fra l'altro di un complotto per un attentato contro il Jyllands-Posten. Ma già nel febbraio del 2008 altri quattro arresti riuscirono a sventare un piano per uccidere il vignettista.

sabato 25 aprile 2009

25 Aprile. Grazie ragazzi!

...
Dopo aver partecipato questa mattina alle celebrazioni ufficiali a Crema, con il deprecabile corollario della presenza dei soliti trinariciuti con musica a tutto volume, volantini deliranti e insegne di una ideologia criminale, ritengo doveroso rivolgere un pensiero a tutti coloro senza i quali non vi sarebbe stata nessuna liberazione.

Arrivarono da paesi diversi ed anche molto lontani.

Le loro bandiere, la nostra memoria.