Articolo per "La Voce del Nord"
In queste giornate di fermento sul tema dell’autonomia, chiesta a gran voce da Lombardia e Veneto, il terreno di scontro principale rimane sempre lo stesso, le risorse a disposizione delle regioni che compongono lo stivale, molte delle quali incapaci di spenderle in maniera adeguata.
Nel merito uno degli scogli principali che emerge nel dibattito tra il governo e le regioni padane riguarda i risparmi generati da una maggiore efficienza amministrava nella gestione delle competenze trasferite che il governo vorrebbe tenersi in cassa a Roma, se non redistribuire alle regioni meridionali, i cui esponenti di ogni grado e impenitenza non passano giorno senza piangere miseria, puntando perennemente il dito contro i cattivoni del nord che hanno l’ardore di chiedere di poter gestire una quota maggiore delle tasse che pagano grazie al proprio lavoro.
Tasse che nell’ex Regno delle Due Sicilie si guardano bene dal pagare, come emerge da uno studio dell’Università della Tuscia (non il primo peraltro n.d.r.) riportato brevemente sul sito del Corriere della Sera di sabato 20 luglio, la cui lettura consiglio a tutti per comprendere per l’ennesima volta, se mai ve ne fosse bisogno, come il detto napoletano “chiagni e fotti” sia l’unico vero e proprio “programma politico” che anima tutti coloro che, da certe latitudini, si scagliano contro la voglia di autonomia di lombardi e veneti.
Ecco l’articolo, buona e incazzata lettura…
L’economia sommersa non dichiarata dalle persone fisiche ammonta in Italia a circa 119 miliardi di euro. E nelle regioni del Sud il fenomeno è più accentuato, specie in Campania, Calabria e Sicilia. È quanto emerge da uno studio del Dipartimento Economia impresa e società dell’università della Tuscia che ha esaminato i dati delle ultime dichiarazioni dei redditi, relative al 2017, confrontandoli con i consumi delle famiglie nello stesso anno. Esiste, rileva l’indagine, un divario del 17,5% tra il reddito disponibile degli italiani ed i loro consumi. In pratica il valore del sommerso Irpef è 5 volte superiore ai 23 miliardi che servono per evitare gli aumenti Iva.
In sostanza, spiega lo studio, pur ipotizzando che non sia stato risparmiato nulla da nessuno in Italia nel 2017, si sono spesi 118,8 miliardi in più di quanto è stato dichiarato (e che al massimo poteva essere speso). La ricerca non considera l’intera casistica delle società di capitali (che non distribuiscono utili ai soci persone fisiche) né l’Iva, quindi il divario individuato attiene solo il mondo delle persone fisiche. Guardando alle singole Regioni, al primo posto la percentuale di divario più alta si registra in Campania (29,02%), segue la Calabria (26,77%) e la Sicilia (26,51%); la percentuale più bassa è invece rilevata nelle Marche (1,17%). Considerando il biennio 2016/2017, il sommerso vale circa 217 miliardi, ed è sempre la Campania al primo posto con la percentuale più alta (24,97%), seguita da Lazio (22,59%) e Molise (22,56%); la percentuale più bassa è invece nelle Marche in cui è negativa (-0,22%): la spesa media complessiva è cioè inferiore al reddito disponibile.