sabato 6 dicembre 2014

La Lezione Scozzese | Smettere di chiedere la libertà è il modo migliore per non ottenerla mai.

Poco meno di tre mesi sono trascorsi dalla giornata di settembre in cui gli eredi di William Wallace hanno avuto l’opportunità di scegliere se restare o meno sotto la corona della regina Elisabetta.
Sappiamo tutti come è andata a finire, con circa il 55% dei voti ha prevalso il no all'indipendenza della Scozia.

Un risultato sul quale si sono sprecate analisi interessanti e commenti superficiali, questi ultimi spesso influenzati dalla voglia di creare un parallelo con le istanze indipendentiste presenti nelle regioni del Nord quali Lombardia e Veneto con intento denigratorio.

Anche uno dei primi articoli postati su “la Voce del Nord” era dedicato all'argomento e potevate leggere un passaggio come questo: “un possibile esito negativo del referendum, infatti, non bloccherà il processo di devoluzione in atto già da tempo nel Regno Unito, e che si sviluppa secondo programmi e tempistiche predeterminate. Già nei prossimi mesi, per esempio, è prevista l’entrata in vigore di una serie di norme approvate dal Parlamento di Londra nel 2012 che assegneranno alle autorità di Edimburgo la facoltà d’influire sulla determinazione delle aliquote d’imposta applicabili ai propri cittadini, le quali verranno così determinate sulla base dei livelli di reddito scozzesi e non di quelli complessivi (mediamente più alti) del Regno Unito”.

I mesi sono passati e sul “Corriere della Sera”, a firma di Fabio Cavalera, abbiamo letto nei giorni scorsi di come il passaggio di poteri e competenze da Londra a Edimburgo non si sia affatto arrestato e le prospettive citate si stiano realizzando. 
Scrive Cavalera: “quanto propone la commissione interpartitica Smith, insediata dopo il referendum per dare risposta al 45% indipendentista prefigura un ribaltone costituzionale. L’accordo raggiunto sarà trasformato in legge a Westminster e prevede alcuni punti chiave in materia fiscale e politica: il gettito delle tasse sul reddito sarà gestito da Edimburgo, buona parte del welfare e dell’assistenza passeranno sotto la giurisdizione del governo scozzese”. 

Tutto questo a dimostrazione del fatto che il processo di accrescimento dell’autonomia di un territorio non si arresta di fronte alle sconfitte, come avvenuto per la campagna indipendentista portata avanti dallo Scottish National Party, ma deve proseguire per contemplare e dare soddisfazione alla domanda di libertà che parti importanti, e numerose, della società reclamano.

Una “lezione”, quella scozzese, che riteniamo debba essere ben studiata da quei partiti, movimenti e associazioni che all'indipendentismo, al federalismo e all'autonomismo di rifanno (o per meglio dire in alcuni casi si rifacevano) nella loro azione politica e sociale specialmente in Lombardia e Veneto.
Smettere di chiedere libertà è il modo migliore per non ottenerla mai.

articolo, a firma di Theo Underwood pubblicato, su www.lavocedelnord.it