domenica 9 settembre 2018

SVEZIA | Alby, la piccola Bagdad dove anche la polizia ha paura a entrare. Il fallimento del "modello" immigrazionista svedese.


Sul Corriere della Sera di oggi un reportage su Stoccolma, ma in passato ne abbiamo già letti su Londra, Parigi e Bruxelles tanto per citare alcune grandi città del vecchio continente, che certifica ancora una volta il fallimento di diversi “modelli” di gestione del fenomeno dell’immigrazione e della seguente integrazione, ammesso che sia possibile, nelle varie comunità delle diverse “generazioni” dei “nuovi europei” ancora a cavallo con la vecchia patria di origine e culture tanto differenti tra loro.

Fallimento le cui ricadute negative quotidiane colpiscono sia le popolazioni “autoctone” sia quelle cosiddette “migranti”, il cui riconoscimento, purtroppo negato specialmente a sinistra, dovrebbe essere alla base di ogni seria riflessione sul tema da cui possa nascere una risposta nuova e coerente con la realtà odierna.
Alby, la piccola Bagdad svedese dove anche la polizia ha paura.Viaggio in una «no go zone» di Stoccolma, dominata da gang e spacciatori. Qui la socialdemocrazia ha fallito.
Era una bella Saab. «L’avevo comprata coi soldi che m’aveva lasciato mio padre». Una sera gliel’hanno incendiata proprio sotto casa, dietro il piazzale dell’Alby Centrum. «Ci sono stati degli scontri con la polizia». Dalla finestra, l’impiegata di banca Tove Friedriksson ha visto tutto: le proteste degli iracheni, le molotov, i lampeggianti blu, le cariche casco&manganello, gli arresti. «Non sono uscita di casa, perché ho avuto paura. Ma la mattina dopo, sì. Vado a fare la denuncia dei danni. E siccome all’assicurazione servono i dettagli, chiedo qualcosa degli arrestati». Niente nomi, dice la polizia. «E quelli dei loro avvocati?». Niente. «Ma sono stati gli arabi o gli africani?». È a quel punto che il poliziotto alza gli occhi: che razza di domanda, «l’etnia non possiamo comunicarla». Vietato chiedere: «Ho rischiato una denuncia per razzismo e xenofobia. Dichiarare che è stato un immigrato a bruciare l’auto, è un’informazione impropria. Va contro la legge».
Se domattina vi chiederete perché la Svezia alle urne ha castigato dopo un secolo i socialdemocratici della tolleranza totale, premiando la destra intollerante, Tove ha qualche risposta. Indovinate oggi per chi vota lei. Ad Alby fa sorridere l’altissima media nazionale d’accoglienza dei profughi, uno ogni cinque svedesi: in questo sobborgo alla penultima fermata della linea rossa, venti chilometri a ovest e migliaia d’anni luce dal centro di Stoccolma, gli svedesi-svedesi come Tove sono uno su dieci. L’11 per cento. Mosche bianche. Sperdute fra alveari marroni edificati negli anni delle guerre balcaniche, dei massacri africani, delle fughe afghane, delle agonie mediorientali. Diecimila abitanti, cinquemila appartamenti riservati ai rifugiati: Alby, Norsborg, Hallunda ormai li chiamano Little Bagdad, Little Mogadiscio, Little Sudan. La squadra di calcio del quartiere è il Konya, come la città dei dervisci, e ha la stessa divisa biancoverde del Konyaspor turco. Nella scuola elementare non si festeggia mai il Natale, per non discriminare la stragrande maggioranza musulmana. Nei fast food non si trova il bacon. E se negli anni 80 c’era un asilo no gender fiorito dalla pedagogia egualitaria e socialdemocratica, di quelli che proibiscono di fare distinzioni discriminatorie e politicamente scorrette fra maschietti e femminucce, ora in piscina si nuota separati per sesso e le mamme ci entrano velate. La disoccupazione è al 70 per cento, contro la media nazionale del sei. Un tempo, qui si veniva a fare il bagno sulle rive dell’Albysjon, a pedalare nei boschi, a vedere dove aveva la villa il signor Ericsson, quello dei telefonini.
Oggi, Alby è stata dichiarata una delle otto «no go zone» vulnerabili del Paese, gang e spaccio, dove la sera i pompieri non sempre vanno se li chiamano e anche i poliziotti stanno all’occhio: «L’auto di servizio non dobbiamo mai posteggiarla lontana — dice l’agente Roger Kampe, in servizio da sette anni —, perché te la trovi danneggiata. E l’ordine è di girare sempre in due o tre, mai da soli». In un garage, a marzo è stato scoperto un deposito d’esplosivo, «roba da professionisti». Sugli ascensori dei palazzoni, le scritte in arabo inneggiano a qualche guerra santa. Un ragazzino di 16 anni è stato accoltellato in pieno giorno, un mese fa, davanti al centro commerciale: «C’erano almeno trenta testimoni, nessuno ha visto nulla».
Ad Alby, governano da sempre le sinistre. Ma stavolta non si sa. I postfascisti di Svezia Democratica, annunciati vincitori di queste elezioni politiche, qui non mettono piede. Non si vede un manifesto di Jimmie Akesson, il Salvini che vuole rispedire a casa i migranti e sull’esistenza di posti così sta costruendo la sua fortuna politica. L’imam non ha voglia di parlare coi giornalisti, da quando l’hanno messo in mezzo con una telecamera nascosta (si vede un candidato locale della sinistra garantire tremila voti sicuri a un alleato di lista, «alla preghiera l’imam convincerà i musulmani a votare te, e tu in cambio gli costruirai la nuova moschea...»: tutta acqua al mulino di Jimmie lo spaventastranieri). Venerdì sera il sobborgo era mezzo deserto, tutti a guardare Jimmie Akesson nell’ultimo confronto elettorale in tv. E sentirlo parlare di posti come Alby. Parole pesanti: «Lo sapete perché quella gente non trova lavoro? Perché non s’adattano alla Svezia. E non sono svedesi». Urla, fischi, buuu. Nessuno ad Alby voterà mai Jimmie. «Ma qui siamo in Medio Oriente», dice Tove. E fuori di qui c’è una Little Svezia che non vuole diventare una grande Bagdad.

domenica 2 settembre 2018

L’AUTONOMIA ORMAI E’ VICINA, MA PER BOICOTTARLA LE INVENTANO TUTTE


Articolo di Stefano Bruno Galli, pubblicato su Libero di oggi, nel quale replica alla petizione contro l'autonomia di Lombardia e Veneto lanciata da Gianfranco Viesti.

Nel 1950 – vale a dire due anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana e vent'anni prima della nascita delle Regioni a statuto ordinario – Gianfranco Miglio scriveva Dobbiamo mantenere, per amor di simmetria, gli stessi controlli tutori e le medesime bardature burocratiche sulla Lombardia e sulla Basilicata? Oppure dobbiamo applicare all'amministrazione pubblica gli stessi criteri pratici che si adottano anche nella più umile azienda privata, ove il collaboratore inesperto viene strettamente controllato e quello capace lasciato invece libero della propria iniziativa? Dobbiamo considerarci una specie di convoglio, costretto per l’eternità a camminare alla velocità ridotta della nave meno efficiente, oppure dobbiamo consentire alle regioni più progredite di sviluppare le proprie capacità e le proprie risorse di iniziativa, nell'interesse evidente dell’intera comunità nazionale?

Con la lucidità e l’incisività che gli erano proprie, il professore lariano metteva a fuoco – e con larghissimo anticipo rispetto alla riforma costituzionale del 2001 – l’essenza del regionalismo differenziato. Non parliamo – per carità, ma anche per amore di verità e di rigore teorico . di “federalismo” né di “secessione”, come fanno, assai impropriamente, i quaranta studiosi chiamati a raccolta dal professor Gianfranco Viesti, che hanno promosso la petizione 
No alla secessione dei ricchi. Una petizione che, sull'onda della più becera demagogia anti autonomista, ha raccolto quasi quattromila adesioni. 

I RENDIMENTI

Le trattative intavolate da Lombardia e Veneto – a seguito dei referendum consultivi dello scorso 22 ottobre – e dall'Emilia Romagna, che si è lanciata sulla scia dell’azione delle prime due regioni, si collocano nell'alveo della più stretta e rigorosa lealtà costituzionale. Si tratta di un atto di grande responsabilità istituzionale, finalizzata a sfruttare l’opportunità offerta dall'articolo 116 – al terzo comma – della Costituzione. Deliberatamente ispirato al federo-regionalismo spagnolo, il regionalismo differenziato – costituzionalizzato con la riforma del 2001 – mira a riconoscere a ogni regione dei margini di autonomia coerenti con la sua fisionomia dal punto di vista economico e produttivo, fiscale e culturale. Anche perché il regionalismo ordinario dell’uniformità – praticato dal 1970 in qua – ha creato davvero dei danni molto gravi al paese. Con l’obiettivo di garantire eguali diritti e tutele a tutti i cittadini della Repubblica, ha fatto emergere con chiarezza i differenziali di rendimento istituzionale dei territori. Nel paesaggio del regionalismo italiano, infatti, sono sotto gli occhi di tutti quelle realtà che hanno fatto un uso virtuoso dell’autonomia politica e amministrativa, per quanto – sic stantibus rebus – assai limitata. Hanno incrementato la democrazia di prossimità, ampliando i diritti di welfare e la qualità dei servizi erogati a beneficio dei cittadini, utilizzando altresì le risorse secondo criteri di elevata produttività e alta redditività. E’ quindi giusto premiare queste realtà con maggiori margini di autonomia, nell'interesse esclusivo del Paese. Non v’è nulla di male, anzi.

NUOVE MATERIE

La Costituzione prevede che le regioni in pareggio di bilancio possano chiedere – nel negoziato con il governo – sino a 23 nuove materie: tre competenze esclusive dello Stato e tutte e venti le competenze concorrenti. Non c’è nessuna controindicazione se la Lombardia – regione che ha dato i natali a Carlo Cattaneo e Gianfranco Miglio, ma anche a Giuseppe Ferrari e pure a Gianni Brera – le chiede tutte e 23, con le relative risorse per gestirle. In questo modo sgrava lo Stato di alcune pesanti incombenze , nella prospettiva di erogare servizi – per il proprio territorio – con un minore costo e una maggiore qualità, come comprovato dalle principali agenzie internazionali di rating da parecchi anni in qua. Evitiamo – per piacere – di confondere le idee e di fare illusioni al residuo fiscale, che non è oggetto del negoziato. Non confondiamo le acque, come fanno – pretestuosamente – Viesti e i suoi amici. Non è una questione di orgoglio nordista versus orgoglio sudista. Se la mettiamo su queste basi, ancora una volta perdiamo una grande occasione. La trattativa intavolata da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, ha innescato infatti un vero e proprio effetto-domino, coinvolgendo altre regioni – anche del Sud – che vedono nel modello federo regionalista, fondato sul regionalismo differenziato, un’importante opportunità di sviluppo per il Paese, ricomponendo la sua unità su nuove basi, più aderenti alla sua fisionomia storica e culturale, economica , produttiva e fiscale. Con buona pace dei sottoscrittori della petizione lanciata dal professor Viesti.

sabato 1 settembre 2018

No alla "Secessione dei ricchi", dicono i PARASSITI...

“Il Veneto, la Lombardia e sulla loro scia altre undici Regioni si sono attivate per ottenere maggiori poteri e risorse. Su maggiori poteri alle Regioni si possono avere le opinioni più diverse. Ma nei giorni scorsi è stata formalizzata dal Veneto (e in misura più sfumata dalla Lombardia) una richiesta che non è estremo definire eversiva, secessionista.”
Questo il titolo e l’incipit di una petizione, dal titolo "NO ALLA SECESSIONE DEI RICCHI", che potete trovare su change.org, promossa da tale Gianfranco Viesti, che chiede tra l’altro:
“che nessun trasferimento di poteri e risorse a una Regione sia attivato finché non siano definiti i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (art. 117, lettera m della Costituzione); e che il trasferimento di risorse sulle materie assegnate alle Regioni sia ancorato esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza.”
Tradotto in linguaggio corrente i “parassiti”, come li definirebbe Gianfranco Miglio, non vogliono che la Lombardia ed il Veneto, sulla scorta dei referendum del 22 ottobre 2017, ottengano maggiore autonomia e mantengano a servizio dei propri cittadini una quota maggiore del residuo fiscale che ogni anno lombardi e veneti creano.
È quantomai evidente come lorsignori temano che possa finalmente “finire la pacchia” cit.

Un motivo in più per proseguire nella battaglia autonomista iniziata con il referendum promosso in Lombardia da Roberto Maroni e Gianni Fava, e poi proseguita con Attilio Fontana e Stefano Bruno Galli.

Dimenticavo...

Scorrendo l’elenco delle adesioni alla petizione il primo nome che compare è quello di tale Diego Fusaro, autoproclamato filosofo contemporaneo, alquanto e malauguratamente seguito da molti amici leghisti.
Per quanto mi riguarda ennesima conferma di quanto un idiota...

domenica 12 agosto 2018

CATALUNYA | Llibertat Presos Polítics


Da 300 giorni Jordi Cuixart e Jordi Sànchez, presidenti delle associazioni indipendentiste catalane Assemblea Nacional Catalana e Òmnium Cultural, sono rinchiusi nelle carceri spagnole accusati del "reato" di lottare per la Libertà e l’Indipendenza della loro Patria, la Catalunya.
Accade ancora oggi nella “democratica” Spagna, nella “civile” Europa.
Nel silenzio di molti, col compiacimento di troppi...

venerdì 29 giugno 2018

EUROPA | le conclusioni (giuste, sbagliate, vere o false...) del Consiglio Europeo sul tema migranti/profughi/clandestini


Nemmeno il tempo di approfondire il testo, di cui al link nel post, con le conclusioni del Consiglio Europeo dei Capi di Stato e di Governo di ieri (terminato peraltro stamane all'alba) che già è un intasare faccialibro con tonanti e spellicanti dichiarazioni, analisi e sentenze sul suo contenuto e gli effetti concreti che potrà avere.

Francamente il solito teatrino dove ognuno parteggia per partito preso sminuendo oppure esaltando il documento.


Volendo essere oggettivi se il testo, come ogni documento politico, produrrà gli effetti che si propone lo si saprà nei prossimi mesi quando le misure e gli intenti prenderanno forma di leggi, delibere, direttive, ecc... in altre parole si tramuteranno in atti concreti.

Una cosa mi pare incontrovertibile però, sperare di recuperare in una sola seduta quanto non fatto, o fatto male (basti ricordare l'accordo secondo il quale Renzi ottenuto qualche punto percentuale flessibilità sul deficit col quale finanziare gli ormai celeberrimi 80 euro in cambio dell'accordo per cui ogni profugo/migrante/clandestino doveva essere fatto sbarcare in italia n.d.r.), negli ultimi sette anni dai vari Letta, Bonino, Renzi, Alfano e Gentiloni, era e resta un atto di presunzione da un lato e pregiudizio dall'altro. 
🧐🤨😏

A seguente link il testo approvato:

venerdì 22 giugno 2018

SCORTE | ecco chi le assegna e le revoca.


Nel mezzo di inutili e superficiali sproloqui su un tema delicato prendersi due minuti per leggere e approfondire il tema sarebbe stato utile e molti, vediamo di rimediare.
L’assegnazione e la revoca delle scorte è materia regolata per legge (approvata all'epoca anche col voto della Lega n.d.r.), che ne attribuisce la gestione a professionisti ed esperti quali non siete certo tutti voi carissimi ANALFABETI da TASTIERA...

“Dopo l’uccisione da parte delle Nuove Brigate Rosse del giuslavorista Marco Biagi nel marzo del 2002, per il quale era stata decisa la rimozione della scorta alla fine del 2001, il governo Berlusconi II stabilì con un decreto legge l’istituzione dell’Ufficio Centrale Interforze per la Sicurezza Personale (UCIS). Il nuovo organismo, formalizzato poi nella successiva legge n. 133 del luglio 2002, ha il compito di gestire e coordinare l’assegnazione della scorta da parte del ministro dell’Interno “per la protezione delle personalità istituzionali nazionali ed estere, nonché delle persone soggette, per funzioni o per altri comprovati motivi, agli specifici pericoli o minacce individuati dalla norma”; successivi decreti hanno chiarito meglio compiti e organizzazione dell’UCIS.

L’UCIS è suddiviso in quattro uffici diretti da dirigenti della Polizia di Stato o generali dei Carabinieri, che fanno capo a un dirigente generale.

• Ufficio analisi: raccoglie e valuta le informazioni sulle situazioni personali a rischio, che a loro volta sono state messe insieme dalle varie forze di polizia e di intelligence. Sulla base delle informazioni raccolte a livello locale, i Prefetti inviano all’UCIS le loro proposte per assegnare la scorta a qualcuno, oppure per revocarla o modificarla.

• Ufficio servizi di protezione e vigilanza: si occupa di pianificare la protezione della persona interessata e delle risorse che devono essere assegnate per farlo.

• Ufficio formazione e aggiornamento del personale: forma e aggiorna il personale delle forze di polizia che si occupa di protezione e di vigilanza, con iniziative che sono spesso coordinate con quelle di altri paesi dal punto di vista dell’addestramento.

• Ufficio per l’efficienza dei mezzi e degli strumenti speciali: è dedicato alla verifica dei mezzi usati dalle forze di polizia per la loro attività di scorta; ha anche il compito di fare ricerca su nuovi sistemi e tecnologie per i programmi di tutela delle persone a rischio.

Semplificando, sulla base delle normali attività di indagine e su particolari segnalazioni da parte delle forze di polizia, un prefetto può segnalare all’UCIS che Tizio ha bisogno della scorta. Nella segnalazione spiega in base a quali analisi e indagini si è arrivati alla conclusione che quella persona possa essere a rischio. L’UCIS esamina la richiesta e sulla base di altri accertamenti dispone che sia assegnata una scorta, stabilendo inoltre con quale modalità (numero di agenti, mezzi a disposizione e via discorrendo). Quindi non è la persona ritenuta a rischio a dotarsi di una scorta, l’assegnazione compete all’UCIS.”

venerdì 15 giugno 2018

MOSCHEA | storia di una presa in giro... (per i cremaschi)


Sulla vicenda della moschea / musalla / centro islamico di Via Rossignoli a Ombriano (il tutto abusivo) ecco una sintesi perfetta, che condivido e sottoscrivo, del "Comitato No alla Moschea a Crema".

"Dopo aver modificato il PGT per inserire un’area per la moschea, aver lanciato un bando pubblico fallito per inaffidabilità della comunità islamica (quella sempre ben accolta in comune) e aver dormito per mesi nonostante numerose segnalazioni finalmente a Palazzo Comunale si sono destati dal torpore...

Meglio tardi che mai!

Ricordiamo, e rimarchiamo, che se la chiusura della moschea abusiva avverrà sarà in ottemperanza alle disposizioni approvate dalla Regione Lombardia durante l’amministrazione di Roberto Maroni (sostenute e difese in primis dalla Lega Nord - Lega Lombarda n.d.r.)
Norme perennemente avversate da diversi esponenti dell'attuale e passata amministrazione comunale targata Partito Democratico."

domenica 20 maggio 2018

CONTRATTO di GOVERNO | quella parola mancante...

In questo fine settimana è stato sottoposto a due diverse "votazioni" il cosiddetto "Contratto per il Governo del Cambiamento" per il via libera alla sua sottoscrizione da parte del Movimento 5 Stelle e la Lega Nord per l'Indipendenza della Padania (così si chiama ufficialmente il movimento di cui Matteo Salvini è Segretario Federale n.d.r.).

In molti, siano essi amici o semplici conoscenti, sapendo bene la mia militanza politica, mi hanno interpellato per un giudizio su testo.

Francamente ho risposto loro che di tutto il documento, che ho letto con attenzione e nel quale ho riscontrato molte parti facilmente sottoscrivibili, l'unica parte che ha raccolto la mia attenzione, ed in base alla quale esprimo un giudizio, è quella che ricade sotto il titolo "Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta", in particolare nel paragrafo che riporto di seguito:
Sotto il profilo del regionalismo, l’impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell'agenda di Governo l’attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte. Il riconoscimento delle ulteriori competenze dovrà essere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse. Alla maggiore autonomia dovrà infatti accompagnarsi una maggiore responsabilità sul territorio, in termini di equo soddisfacimento dei servizi a garanzia dei propri cittadini e in termini di efficienza ed efficacia dell’azione svolta. Questo percorso di rinnovamento dell’assetto istituzionale dovrà dare sempre più forza al regionalismo applicando, regione per regione, la logica della geometria variabile che tenga conto sia delle peculiarità e delle specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale, dando spazio alle energie positive ed alle spinte propulsive espresse dalle collettività locali.
Occorre garantire i trasferimenti necessari agli enti territoriali e una contestuale cessazione delle “politiche di tagli” compiute dagli ultimi Governi.
In altre parole il nascente governo si propone di rispondere positivamente alla richiesta di maggiore autonomia alla base dei referendum di Lombardia e Veneto, svoltisi il 22 ottobre scorso.
Secondo taluni si tratta di un grandissimo risultato, ma considerando che i partiti sottoscrittori del contratto sono gli stessi che i referendum li hanno promossi, e per i quali hanno invitato a votare a favore, l'introduzione nel documento di governo della loro attuazione non è altro che il "minimo sindacale" che ci si poteva aspettare.

Quello che invece manca totalmente è una visione che vada ad incrementare ancor più le autonomie e le libertà dei territori oltre al citato articolo 116.
Una parola in particolare non è mai citata nel documento, una parola che, dalla sua nascita nei primi anni ottanta del secolo scorso, è sempre stata il programma della Lega (Lombarda, Veneta, Nord, ecc...), una parola semplice che ogni leghista vero ha nel cuore: FEDERALISMO.
Una mancanza che pesa come un macigno sul giudizio finale verso il documento che ho manifestato con una croce sulla scheda che ho preso al gazebo sabato mattina. 
Croce che potete facilmente immaginare su quale parola, tra il Sì ed il No, ho apposto.

lunedì 16 aprile 2018

CATALUNYA | A Barcellona in 350mila alla manifestazione per “liberare i prigionieri politici”


Al grido di "libertà per i prigionieri politici", almeno 350mila persone hanno manifestato domenica a Barcellona protestando contro la detenzione di 17 figure dell’indipendentismo catalano, accusati di "ribellione". Tra le richieste di chi protestava, c’è quella di aprire un dialogo politico. La polizia municipale ha fatto sapere che la folla si è dispersa nel pomeriggio senza particolari incidenti.

La protesta è stata convocata da organizzazioni indipendentiste non partitiche, l’Assemblea nazionale catalana (Anc) e Omnium Cultural, e dai sindacati Cc.Oo e Ugt Catalunya. Il presidente del Parlament catalano, Roger Torrent, citato dai media spagnoli, ha definito la manifestazione "dimostrazione di unità in difesa dei nostri diritti, di fronte alla minaccia alle libertà".

I manifestanti hanno esposto le foto degli altri leader in carcere, tra cui Oriol Junqueras, ex vicepresidente catalano, Joaquim Forn, ex ministro degli Interni, e Carme Forcadell, ex presidente del Parlamento catalano, e di quelli in esilio, tra cui Puigdemont. Tra le richieste dei manifestanti, come da mesi a questa parte, c’era anche la liberazione dei “due Jordi”, cioè Jordi Sánchez e Jordi Cuixart, i due popolari leader indipendentisti arrestati lo scorso ottobre.

Secondo Elsa Artadi, una portavoce della coalizione di partiti guidata da Puigdemont, Junts pel Catalunya, il corteo che c’è stato a Barcellona dimostra che non è vero che il movimento indipendentista catalano ha perso forza. L’ex presidente catalano Carles Puigdemont, uno dei leader in esilio, ha scritto su Twitter commentando la manifestazione: "Siamo solo cittadini europei che vogliono vivere in pace, liberi e senza paura".

venerdì 9 marzo 2018

Politica (con la P maiuscola) e politica (politicante)...


La Politica (con la P maiuscola) è fatta di battaglie sui valori e gli ideali per i quali si ricerca il consenso degli elettori.

Consensi che talvolta non bastano per raggiungere il traguardo, ma che non vengono "usati" per arrivarci tramite vie traverse.

Vie traverse usate invece da quella politica (con la p minuscola) che cerca in ogni modo di arrivare ad un risultato anche operando "sottotraccia".
Modi di fare che al cittadino-elettore fanno ribrezzo, cui non credo proprio i candidati citati nel titolo vorranno fare ricorso.


Se proprio si vuole parlare di "premiare" con una promozione alla carica di assessore chi si è cimentato nelle elezioni di domenica scorsa perché non farlo con chi è stato confermato a Palazzo Pirelli?

In un quadro dove la maggior parte dei consiglieri eletti sono alla prima esperienza, e molti degli assessori della giunta uscente sono stati eletti parlamento, la vera scelta importante e forte per il "territorio" è una sola, la "promozione" del rieletto consigliere regionale Federico Lena a sedere nella nuova giunta del Presidente Fontana.

tutto il resto è "politica politicante"...